2018-05-22
Femministe unite per difendere i privilegi
Petizioni, sit in, mozioni in Senato, proteste e un diluvio di tweet: la sinistra si schiera compatta a favore della Casa delle donne. Le attiviste devono 833.000 euro al Comune di Roma, ma vogliono continuare a fare i comodi loro, battaglie ideologiche comprese.La mobilitazione è generale, e non c'è fine intellettuale progressista che non partecipi. Il messaggio è uno solo: la Casa delle donne di Roma non deve chiudere. In difesa del celebre centro femminista è stata lanciata una scintillante petizione su Change.org, prontamente firmata dalla crema delle attiviste italiche (tra le altre Ambra Angiolini, Lucia Annunziata, Asia Argento, Michela Murgia, Loredana Lipperini, Paola Cortellesi, Norma Rangeri, Alba Rohrwacher...).Su Twitter e i social si sprecano i commenti indignati («Vergogna!», tuonava ieri Ricky Tognazzi). Sulla polemica si è subito gettato a pesce Walter Veltroni, dichiarando che «per decenni la Casa internazionale delle donne è stata un riferimento per la coscienza civile della città. Generazioni di donne hanno vissuto lì la battaglia politica per affermare i propri diritti e hanno fatto della Casa un luogo di ricerca culturale aperta. Non deve chiudere». Ovviamente si è schierata anche la Cgil. In Senato, invece, è toccato a Liberi e uguali - tramite Loredana De Petris - lanciare una mozione, che ha immediatamente raccolto l'appoggio di Monica Cirinnà del Partito democratico e dell'immancabile Emma Bonino. La Regione Lazio ha fatto sapere, per bocca di Massimiliano Smeriglio, di essere «pronta, se necessario, a fare la propria parte per il bene di Roma». Del resto, il governatore del Pd, Nicola Zingaretti, aveva definito la Casa delle donne «una presenza irrinunciabile». Infine, non poteva mancare il sit in di protesta, che è stato organizzato ieri alle 18 davanti all'assessorato Roma semplice. Curiosa città, Roma. Se un'associazione pro life si permette di affiggere un manifesto contro l'aborto, il fronte progressista strepita e ringhia finché non viene rimosso. Se si organizza una marcia per la vita, gli intellettuali la accusano di fascismo, estremismo e intolleranza. Ma guai a sfiorare le femministe, anche se a gestire la pratica sono due donne, ovvero il sindaco della Capitale, Virginia Raggi e il consigliere del M5s Gemma Guerrini. Quest'ultima ha presentato una mozione che, la settimana scorsa, è stata approvata con 27 voti favorevoli e 2 contrari dall'Assemblea capitolina, tra le urla delle manifestanti riunite per l'occasione (la seduta è stata poi sospesa per disordini). La mozione in questione chiede di «riallineare e a promuovere il Progetto casa internazionale della donna alle moderne esigenze dell'Amministrazione e della cittadinanza, attraverso la creazione di un centro di coordinamento gestito da Roma Capitale e prevedendo con appositi bandi, il coinvolgimento delle associazioni». Ma vediamo di spiegare la questione per sommi capi. La Casa delle donne è la storica sede delle organizzazioni femministe. «Nel 1987 Il Movimento femminista romano», si legge sul sito, «a seguito dello sfratto dalla Casa delle Donne di via del Governo vecchio - Palazzo Nardini occupa la parte seicentesca di via della Lungara 19, rivendicando la prevista destinazione e dando inizio ad una lunga trattativa con il Comune per il restauro e la consegna dell'edificio all'associazionismo femminile». In sostanza, le femministe si sono stabilite nel palazzo secentesco del Buon Pastore, che è di proprietà del Comune di Roma. Negli anni, le varie associazioni hanno gestito la struttura in autonomia, accumulando un debito di 833.000 euro, mica bruscolini. Secondo la la presidente della Casa, Francesca Koch, i soldi dovuti sarebbero molti meno, circa 330.000 euro, poiché negli anni sarebbero stati effettuati lavori di manutenzione e le varie associazioni avrebbero svolto un servizio pubblico indispensabile. Virginia Raggi, tuttavia, ha fatto notare un particolare non irrilevante, e cioè che la Casa ha «beneficiato di un abbattimento del 90% del canone concessorio», cioè ha «ottenuto uno sconto ulteriore rispetto a tutte le altre associazioni (altrettanto meritorie, che svolgono ad esempio servizi in favore dei disabili, delle persone con la Sla, dei bimbi autistici, ecc.) che invece hanno un abbattimento dell'80% di detto canone». Un efficace riassunto della situazione lo ha fatto ieri, su Repubblica, la filosofa Michela Marzano, pure lei schierata a sostegno delle femministe (e ci mancherebbe, visto quante presentazioni dei suoi libri hanno organizzato nella Casa). «Per anni, di fronte al debito che si è era accumulato, il Comune ha deciso di chiudere un occhio: c'era un patto implicito tra il Campidoglio e la Casa delle donne che si fondava sul riconoscimento del valore simbolico, culturale e sociale di questo luogo», ha scritto la Marzano. «Con Ignazio Marino era stato addirittura raggiunto un accordo per la cancellazione del debito in cambio di questi servizi sociali e culturali offerti alla cittadinanza femminile. Con l'arrivo al potere del M5s, però, il patto sembra essersi definitivamente rotto». Minuzie burocratiche a parte, viene da chiedersi dove stia il problema. La giunta Raggi non ha chiesto lo sfratto delle associazioni femministe. Semplicemente, ha fatto presente che esiste un debito gigantesco, frutto di una gestione autonoma e discutibile di uno spazio pubblico. Per quale motivo il Comune di Roma, il cui bilancio è già abbastanza disastrato, non dovrebbe rivendicare una gestione più controllata della Casa delle donne? La domanda - chiaro - è retorica. Le associazioni femministe vogliono continuare a gestire il palazzo - che ospita anche un ristorante, una biblioteca e una foresteria - a modo loro. Pretendono uno sconto, e la riduzione dell'affitto (attualmente è di 88.000 euro l'anno, nemmeno troppo per una sede del genere). Soprattutto, però, intendono mantenere il totale controllo della Casa. Niente bandi, niente coordinamento gestito del Comune: si deve fare come vogliono le attiviste. E siano i cittadini a pagare. Pagare per cosa, poi? Per finanziare conferenze a cui partecipano le solite note e i soliti noti? Persino vari esponenti di centrodestra - pur di attaccare la Raggi - si sono schierati con le sinistrissime militanti, spiegando che svolgono un lavoro prezioso. Certo: una fondamentale opera di diffusione dell'ideologia. State tranquilli, la Casa delle donne verrà salvata. La Marzano potrà continuare a presentare i suoi libri, le femministe potranno continuare a definire «oscene» le critiche alla legge 194, potranno attaccare i medici obiettori e la «sessualità maschile irresponsabile». Si continuerà a organizzare eventi sul gender, e a pubblicare appelli pro migranti. Le attiviste potranno ancora chiedere le dimissioni di Roberto Calderoli (come fecero nel 2013), potranno mandare lettere di congratulazioni a Laura Boldrini e potranno gridare in piazza: «Levate la Raggi metteteci una donna» (se lo dicesse un uomo lo accuserebbero di molestie). Il tutto a spese dei romani, e degli italiani tutti. La Casa delle donne non si tocca, il privilegio deve rimanere tale.