2023-01-02
Federico Palmaroli (Osho): «I più ridicoli? I virologi in politica»
Federico Palmaroli, Osho (Ansa)
Il vignettista: «Si sono presi la poltronite acuta. Con che coraggio adesso parleranno ancora di scienza? Sono in lutto per l’addio di Di Maio. Si arrabbiava molto per le mie battute. Un’intoccabile? La Segre».«Il Qatargate è gravissimo, ma da umorista vorrei non finisse mai. La sinistra attira la satira, perché continua a maneggiare il potere anche quando non è più al governo. Il Pd resta comunque un centro di potere. E poi, con quella miriade di contraddizioni al suo interno, fare satira diventa quasi un obbligo». Non è come sparare sulla croce rossa?«Forse sì, ma credo che il 2023 sarà ancora l’anno degli scandali tra Europa e Qatar. Anzi, ho la sensazione che la tempesta possa abbattersi anche su altri partiti. Una nuova Tangentopoli che non sappiamo fin dove arriverà». E l’anno appena trascorso? «Lo confesso, sono ancora in lutto per l’addio alla politica di Luigi Di Maio. Il 2022 lo ha portato via dalla ribalta. Mi manca. Anche perché ormai rappresentava la mia comfort zone».Addirittura? «Con Di Maio l’approccio satirico viene naturale, grazie ai suoi numeri pazzeschi. Lui e Renzi sono due garanzie». È vero che Di Maio reagì male a una sua vignetta?«Successe qualche anno fa: la battuta riguardava in realtà la sua fidanzata, e tutto sommato non era neanche troppo divertente. Si incazzò moltissimo».E i virologi non le mancano?«Effettivamente sono un po’ orfano del Cts: più la gente si prende sul serio, e più fa ridere quando la dileggi».Dalla Cina non arrivano buone notizie…«Nella sventurata ipotesi di un ritorno pandemico, c’è un unico lato positivo: se non altro ci siamo tolti dalle scatole qualche virologo. Quelli che sono scesi in politica, candidandosi nelle file dei partiti, non avranno mica la faccia tosta di ripresentarsi in tv a parlare di scienza, giusto?». Federico Palmaroli, in arte Osho, apprezzatissimo inventore di un nuovo genere di satira, a metà tra la vignetta e il fotoromanzo, tutto condito con abbondanti spolverate di romanità, ha pubblicato la sua ultima raccolta, con il nuovo premier in copertina e un titolo anche questo romanissimo: Come dice coso (Rizzoli). Anzitutto, chi sarebbe «coso»? «“Coso” è tutto ciò che a Roma non ha un nome preciso. In pratica, è Ignoto Uno. È la parola magica che ti fa uscire dall’impasse. Un intercalare provvidenziale che risolve i vuoti di memoria». Con gli occhi del vignettista, l’anno appena concluso non è stato una passeggiata…«La guerra ha complicato le cose. All’inizio per me è stato arduo satireggiare: poi però le questioni politiche ed economiche legate al conflitto hanno preso il sopravvento rispetto agli aspetti militari. E pian piano si sono create delle occasioni».Ha osato scherzare su Zelensky. Lo ha immortalato in tuta mimetica mentre proferisce queste parole: «Totty e Ilary si separano, e noi per una guerra facciamo una tragedia». Un po’ troppo?«Era ovviamente una provocazione verso il nostro paese, che indugiava sulle storie di gossip mentre in Ucraina si consumava un massacro. Un po’ come accaduto con il Covid, dopo le prime settimane in cui non erano ammesse voci fuori dal coro, anche sulla guerra si sono creati spazi di satira». In realtà il 2022 è partito con la maratona delle elezioni quirinalizie. «E quello è stato un momento d’oro: il ritorno trionfale della politica allo stato puro, dopo il monopolio mediatico del virus. Tanti spunti: Berlusconi che sognava il Colle, i maneggi di Renzi, i litigi nel centrodestra. Ho quasi nostalgia del clima di quei giorni».Poi una campagna elettorale lampo, quella per le politiche, con sfumature di comicità.«Sì. Letta e Calenda, con la loro travagliata love story, hanno giocato per me il ruolo di protagonisti. Le vicende erano così esilaranti in partenza, che mi veniva da dire: “Ma io qui che ci sto a fa’”?».Come vive Osho il passaggio da Draghi a Meloni?«In realtà quando arriva un nuovo governo bisogna aspettare che i personaggi si caratterizzino. Devono decantare come il vino, e anche il pubblico deve imparare a conoscerli meglio. Per dire, anche un Piantedosi o una Bernini in futuro potrebbero riservare delle sorprese».Spesso sono soprattutto i ministri tecnici a rivelarsi ottimi bersagli?«Sì, ricordo che l’ex ministro Tria, ai tempi del governo gialloverde, diventò un personaggione. Strattonato da Salvini e Di Maio, costretto a far quadrare i conti, spedito a trattare in Europa, insomma mi pareva un po’ bullizzato. Se ci aggiungiamo la somiglianza fisica con il ragionier Filini, il collega di Fantozzi, il risultato era eccellente. Ecco, spero che da questo governo emerga un outsider di questa caratura». E Giorgia Meloni? Osho ha già detto di pendere a destra: non farà sconti? «In realtà Meloni già tende autonomamente alla battuta romanesca, fa parte del suo modo di essere. Metterci il carico della satira di Osho non è semplice, perché si rischia di essere ridondanti. A me piace la staffilata in dialetto, in ossequio ad Alberto Sordi e Mario Brega, ma con il premier serve la battuta studiata, valida anche in italiano». Enrico Letta?«Una persona perbene che tuttavia incarna il fallimento della sinistra. Politicamente non è un fenomeno, e paga l’errore di aver giocato tutta la campagna elettorale sul rischio fascismo. Adesso è diventato l’agnello sacrificale del Pd».Un altro tormentone del 2022 è stato il caso Soumahoro. «Ennesimo mito di plastilina della sinistra, sgretolatosi in pochi giorni. Come sempre, chi esagera troppo nella forma nasconde difetti nella sostanza. Ho goduto nel tirarlo giù dal piedistallo. In una vignetta si vede Soumahoro con gli stivali ai piedi, e ai carabinieri che gliene chiedono conto lui risponde: “Dopo vado a funghi”. Per quella battuta innocente sono stato assalito». Quando scherza sul politicamente corretto c’è più gusto? «Ti da più soddisfazione ma è una sfida complessa, perché sai già che andrai a toccare corde sensibili. Ricordo una vignetta con Liliana Segre in Senato. Stringeva un pacchetto in mano e le ho fatto dire: “Ditemi quando c’avete fame che scaldo le lasagne”. Una stupidaggine quasi affettuosa, che però a molti non piacque, perché la Segre rientra nella categoria dei tabù». L’obiettivo insomma è desacralizzare. Ecco perché le vignette su Mattarella sono particolarmente apprezzate. «Quando vai a colpire il personaggio iconico e istituzionale facendolo parlare in romanesco, l’effetto comico scaturisce spontaneo. Per questo il Papa resta in cima alle preferenze. Di paletti politically correct purtroppo ce ne sono ancora troppi: come diceva Cristian De Sica, oggi Vacanze di Natale non potrebbe uscire nelle sale». E lei, si diverte facilmente?«No, sono davvero poche le cose che mi fanno ridere. Un tipo di comicità che mi piace è quella di Nino Frassica. Ma in generale la creatività si sta spegnendo, e il livello di umorismo soprattutto su internet si è appiattito verso il basso. Questo vale anche nella tv e nella pubblicità». Leggendo le sue vignette, come reagiscono gli interessati?«Nel Pd, che pure prendo di punta, reagiscono sempre con sportività. I 5 stelle fondamentalmente si divertono sempre, a differenza del loro elettorato. Renzi pare mi segua assiduamente. E ogni tanto spedisco una vignetta a Giorgia Meloni: si ammazza dalle risate. Ma diciamocelo: io non voglio mai ferire nessuno. Anzi. Nelle mie battute c’è sempre un fondo di romanissima tenerezza».
Volodymyr Zelensky (Getty Images)