Peggiora la penuria già denunciata dalla «Verità» un anno fa, quando la carenza riguardava 700 medicinali. La politica cerca di dare la colpa ai cittadini, ma la realtà è che la produzione dei principi attivi si è spostata in Cina e in India. E noi restiamo a secco.
Peggiora la penuria già denunciata dalla «Verità» un anno fa, quando la carenza riguardava 700 medicinali. La politica cerca di dare la colpa ai cittadini, ma la realtà è che la produzione dei principi attivi si è spostata in Cina e in India. E noi restiamo a secco.Sono 2.500 i farmaci attualmente in carenza in Italia. Un’emergenza iniziata più di un anno fa (ne scriveva La Verità a novembre 2021) e la lista contava circa 700 prodotti carenti. Oggi la situazione invece di migliorare è peggiorata. Dopo un anno, si può fare un bilancio dei farmaci che sono mancati dagli scaffali più spesso nel nostro Paese (ma non solo). Nell’elenco troviamo gli antibiotici (principalmente Augmentin a base di amoxicillina e Zitromax, a base di azitromicina), il paracetamolo, l’ibuprofene e altri. Ciclicamente, ma costantemente irreperibili dalle nostre farmacie. L’allarme è stato riportato da quasi tutte le testate, ma sulle ragioni di questo shortage poco o nulla è stato detto. Nelle ultime settimane si è fatto riferimento ai rincari energetici che hanno messo in difficoltà i trasporti e quindi l’approvvigionamento. Senza dubbio la crisi dei prezzi dell’energia fa salire i costi operativi e molti produttori non riescono ad assorbire i rincari. Secondo Nomisma, il costo di principi attivi ed eccipienti risulta in crescita del 26,5%, quello dei trasporti del 100% (il prezzo di noleggio di un container ha subito un incremento del 131% tra il primo semestre 2020 e il primo semestre 2022), quello dell’energia del 300%. Questo dopo un triennio nel corso del quale le aziende hanno dovuto assorbire importanti pressioni di prezzo lungo la catena di approvvigionamento. Ma l’offshoring dei principi attivi è iniziato già da anni e, per quanto riguarda il paracetamolo, ad esempio, l’ultimo stabilimento europeo che lo produceva ha chiuso nel 2008.La filiera farmaceutica è globale e complessa: per produrre il farmaco finale, sia prescritto dal medico sia acquistabile liberamente in farmacia, servono materie prime, ovvero ingredienti farmaceutici attivi ed eccipienti provenienti da tutto il mondo. In passato l’Europa era il fulcro globale per lo sviluppo e la produzione di medicinali, ma ha gradualmente perso la sua importanza, acquisita nel frattempo da altre regioni del mondo.Oggi l’Europa dipende al 74% dalle forniture provenienti dall’Asia, principalmente India e Cina. L’India a sua volta, maggior produttore mondiale di farmaci generici, dipende dalla Cina per l’80% dei suoi principi attivi farmaceutici. Durante l’epidemia di Covid-19 è emerso in modo lampante che questa condizione mette a rischio i sistemi sanitari europei. Ma oggi sappiamo che questa crisi è ormai strutturale ed è difficile tornare indietro. E l’Europa non è sola. Negli Stati Uniti l’80% degli antibiotici proviene dalla Cina, secondo le stime del dipartimento del Commercio. Di questi, il 95% dell’ibuprofene, il 91% dell’idrocortisone e il 45% della penicillina. Negli ultimi 20 anni la Cina ha raggiunto una capacità di produzione di principi attivi farmaceutici (Api) pari al 70% della capacità (l’India si attesta al 40%). Questo permette a Pechino, nonostante l’aumento del costo del lavoro e la recente applicazione di norme ambientali più severe, di ottenere prezzi dal 30 al 40% inferiori alla media globale. In totale la produzione cinese di farmaci ha raggiunto 9,5 milioni di tonnellate (2,5 per i soli Api) nel 2019, di cui 1,9 milioni sono andati all’Europa. Le esportazioni sono cresciute in media del 3,8% negli ultimi anni, per un valore di circa 30 miliardi di dollari. I produttori cinesi godono di generose sovvenzioni pubbliche e di sostegno bancario sotto forma di prestiti a tassi d’interesse minimi per alimentare questa produzione. Ad esempio, la Zhejiang huahai pharmaceutical (Zhp), il principale produttore di componenti utilizzati nei farmaci per la pressione e per il morbo di Alzheimer, ha ricevuto 44,4 milioni di dollari di finanziamenti statali solo nel 2018. Insomma, grazie a questi aspetti e alle minori restrizioni in termini di sicurezza dei lavoratori e sicurezza ambientale, nei Paesi asiatici i costi di produzione si abbattono del 20-40% rispetto al resto del mondo. In Europa, d’altro canto, non si premiano in nessun modo gli investimenti in miglioramenti ambientali o, appunto, in termini di sicurezza.In questi mesi però tutte le volte che si è parlato di carenze in Italia si è fatto riferimento all’alta richiesta di farmaci dovuta a presunte psicosi dei cittadini che si fissavano con un medicinale piuttosto che un altro. Sicuramente la domanda influisce in qualche modo, ma in questo caso la carenza è frutto di una mancata offerta. Infatti, non è un caso che proprio i medicinali che sono mancati di più sono quelli a base di principi attivi prodotti in India e Cina come l’amoxicillina (Augmentin), azitromicina (Zitromax) il diclofenac (Voltaren), il paracetamolo e l’ibuprofene. Insieme con antiepilettici come il levetiracetam. Dare la colpa all’alta richiesta dei farmaci consente alle istituzioni di scappare dalle proprie responsabilità, quando per affrontare questo problema ci vorrebbero politiche attive e investimenti strategici. Per il Roosevelt institute, un think tank americano con sede a New York, il problema si potrebbe risolvere con le case farmaceutiche. Sette delle dieci più grandi aziende farmaceutiche negli Stati Uniti, si legge nel rapporto dell’istituto, hanno speso oltre il 100% dei loro profitti per premiare gli azionisti. Tra queste, le giganti Abbvie (318%), Eli Lilly (202%), Merck (232%) e Pfizer (182%). Aprire agli investimenti strategici, magari stimolati da politiche che li favoriscano, potrebbe invece invertire la rotta. Lo stesso modello si potrebbe applicare naturalmente anche in Europa. Senza questo tipo di approccio, senza un confronto tra privato e pubblico teso a risolvere queste criticità, è difficile che la situazione carenze migliori nel breve-medio termine ed è quindi improbabile che si recuperi l’indipendenza farmaceutica necessaria a mettere in sicurezza i servizi sanitari.
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Piero Grasso (Ansa)
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