2023-09-10
Extraprofitti bancari, dal Senato allerta sull’incostituzionalità
Il servizio bilancio di Palazzo Madama promuove vari punti della legge, però paventa una bocciatura della Consulta.Sta per cominciare una settimana decisiva per le sorti del decreto legge (cosiddetto decreto Asset) che, tra numerose altre cose, ha introdotto a inizio agosto una imposta straordinaria sulle banche. Mercoledì 13 alle 13 scadrà il termine per la presentazione degli emendamenti e si definiranno le posizioni in campo. Conosceremo finalmente il punto di vista dell’Abi che si riunirà domani per definire la linea ufficiale da esporre in audizione martedì davanti alle commissioni riunite Ambiente e Industria del Senato, che ascolterà anche Assopopolari e Federcasse. A quel punto tutti i tasselli saranno al loro posto e si comprenderà cosa sarà rimasto in piedi di un decreto legge annunciato nel Consiglio dei ministri di lunedì 7 agosto con propositi ambiziosi e toni trionfalistici, accolti con malcelata sorpresa dal mondo delle banche dal quale, pur non avendo mai assunto una posizione ufficiale, abbiamo raccolto una reazione indispettita, motivata soprattutto dalla promessa che il governo guidato da Giorgia Meloni non avrebbe mai adottato un provvedimento del genere, oltre che dalla mancanza di un confronto preventivo.Nel frattempo, i senatori delle commissioni coinvolte avranno consultato la nota di lettura pubblicata qualche giorno fa dal servizio bilancio del Senato che analizza i dettagli della norma e formula sostanzialmente gli stessi rilievi che abbiamo anticipato ai nostri lettori già all’indomani della pubblicazione del decreto, a partire dai numerosi potenziali vizi di incostituzionalità. In sintesi, nelle condizioni date, una imposta supplementare sulle banche è del tutto legittima, sia giuridicamente sia economicamente, ma è stata comunicata e articolata in un modo che offre alle banche una comoda autostrada per depotenziarla. Sorvoliamo sull’infelice annuncio infrasettimanale quando, data la sensibilità dei mercati a quella decisione, sarebbe stato preferibile un annuncio a mercati chiusi il venerdì sera, con tutto il fine settimana a disposizione per spiegare e limare i dettagli. Nel merito, i tecnici del Senato rimarcano che si tratta di una norma a saldo zero per la finanza pubblica. E quindi nemmeno un centesimo sarà disponibile per fornire coperture per la prossima legge di bilancio. Infatti il gettito ancora non ufficialmente noto andrà integralmente destinato a un unico fondo che eroga garanzie per i finanziamenti per l’acquisto della prima casa e per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese. Poiché gli stanziamenti al fondo di garanzia assorbono sempre una quota limitata in termini di cassa (in Italia i debitori tendono generalmente a pagare i mutui), nel documento si chiede al governo di quantificare il gettito e soprattutto dividerlo tra due destinazioni così eterogenee.Ma è sul «possibile rischio di incompatibilità costituzionale» che i tecnici contemplano anche l’ipotesi di «restituzione» alle banche delle risorse incassate, con conseguente peggioramento del saldo di bilancio.Innanzitutto, il governo dovrebbe spiegare come e perché il margine di interesse è rappresentativo di quella maggiore e straordinaria capacità contributiva che si vorrebbe - a ragione - colpire. Ci saranno banche che, a parità di utile di bilancio, hanno un maggior peso del margine di interesse rispetto alle commissioni (non colpite dall’imposta straordinaria) e sarebbero quindi penalizzate. Positiva invece la valutazione sulla temporaneità del prelievo - con buona pace delle infondate preoccupazioni avanzate da chi teme il contrario - e sulla finalità solidaristica che giustificherebbe la deroga al principio di uguaglianza. Invece sorgono perplessità per quanto riguarda la misura dell’imposizione. In particolare, si dubita che tutto ciò che nel 2023 (o 2022 in rari casi) eccederà il margine di interesse del 2021 aumentato del 10% sia la misura corretta del «profitto ingiusto e immeritato». Rischiando così di prelevare l’imposta anche su profitti derivanti da «adeguate capacità gestionali». Da ultimo, si segnala il rischio che la sovraimposta induca le banche a modificare la propria politica dei tassi, favorendo i depositanti con tassi più alti, ma sottraendo base imponibile anche alla tassazione ordinaria.Una serie di domande a cui il governo dovrà necessariamente rispondere. Avendo dalla sua parte i solidi argomenti portati da un recente articolo del Financial Times, in cui si accerta la condizione di particolare favore in cui si sono trovate le banche in conseguenza del repentino rialzo dei tassi (ben 9 in 12 mesi) operato dalla Bce. In condizioni normali, la Banca centrale europea sarebbe riuscita a prosciugare la liquidità che eroga direttamente agli istituti di credito e quindi a stimolare anche la concorrenza tra le banche nel disputarsi, a suon di aumento dei tassi, i depositi di famiglie ed imprese. Ma, dopo otto anni di liquidità abbondante e con il bilancio della Bce ancora attestato intorno a 7.000 miliardi, a Francoforte hanno perso il controllo sui tassi che le banche offrono ai loro depositanti. Quindi nessuna avidità particolare, ma una condizione di mercato particolare in cui non c’è concorrenza tra le banche per una merce di cui dispongono in abbondanza grazie alla Bce. La classica situazione eccezionale di carattere esogeno che, in teoria giustificherebbe la sovraimposta. Ma ora è il momento di stringere i bulloni intorno a una norma che fa acqua, altrimenti è probabile che sarà il governo a scendere a compromessi con le banche, pur di non farsi portare davanti al temuto giudizio della Corte costituzionale.
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