2025-11-01
La nobile Europa ha un vizio secolare: innamorarsi di armi e conflitti
A Wall Street e nelle borse Ue volano gli indici dell’industria bellica. Un’immagine delle tensioni dell’uomo, tra vita e morte.Alle armi, siamo europei! Il grido risuona nelle Borse d’Europa, sotto lo sguardo perplesso degli altri continenti. Il fascino della guerra, soprattutto in terraferma, sembrava definitivamente tramontato dopo il disastro della Prima e Seconda guerra mondiale, dono poco gentile della raffinata cultura e sensibilità del 1900 europeo al resto del mondo. Invece no. Le cose non stanno andando affatto così e siamo ancora qui, anzi lì. Lo prova l’impennarsi dei valori di borsa degli indici dei titoli di armi e strumenti bellici: in una settimana Wall Street è salito dell’82,8% e quello europeo del 126%. Il resto del mondo, in confronto ha proporzioni ridicole. È infatti soprattutto l’Europa ad eccitarsi per la guerra e i suoi variegati ordigni. Per fortuna però, come si è visto in questi giorni, la cosa dà sui nervi a molti, non è solo Orbàn ad arrabbiarsi per queste fregole europee. Va però ricordato che la passione della nobile Europa per le guerre è un vizio plurisecolare, che ha prosciugato la gola ai molti che in tutto il mondo hanno cercato di convincere gli sfortunati contemporanei ad abbandonare questa funerea passione per la distruzione e la morte. Tra l’altro condannata con notevole precisione e chiarezza dallo stesso Gesù Cristo, venuto alla luce nel corso del tempo, ispiratore della religione divenuta negli ultimi millenni più diffusa nel mondo e ostinatamente pacifista tranne che verso il diavolo. Forse anche per questo però il cristianesimo è oggi in Europa piuttosto in difficoltà, soprattutto e proprio per il suo pacifismo, come aveva spiegato già dal 1500 Erasmo da Rotterdam. Grande saggio inascoltato, nominato frettolosamente e soltanto verso la fine del Novecento «padrino ufficiale dell’Europa» moderna da politici anche allora in cerca di effetti speciali e un po’ di pubblicità, ingredienti sempre molto ambiti dai guerrafondai. D’altronde, proprio Erasmo non si privava di denunciare la situazione, se nel suo lucidissimo Lamento della pace (1516) descrive così perfettamente la realtà del potere: «Povera me (qui è la Pace che parla). Fra quella gente non c’è posto per la Pace; anzi: è proprio in essi che dobbiamo riconoscere la fonte e il semenzaio di tutte le guerre». Il Lamento della Pace di Erasmo - riconosciamolo, nella sua franchezza nell’attribuire i disastri e la stupidità delle guerre alle ambizioni e interessi smodati e avidi di «quella gente» dei governanti, descrive soltanto con maggiore chiarezza e precisione il cinismo degli amici della guerra. Come appunto dimostra oggi l’impennata delle azioni delle aziende che producono armi, aerei e tutto ciò che serve alla guerra e ai suoi disastri e crudeltà verso coloro che la guerra non la fanno ma devono subirla, prima, durante e dopo lo scoppio amato dall’inferno. Il fatto è che la guerra, con le sue armi così apprezzate in borsa anche se temute fuori da lì, è un’eloquente rappresentazione del sempre attuale rischio di vittoria delle spinte e pulsioni verso la distruzione, anziché di quelle verso l’amore. Un fenomeno che fa venire in mente l’infinità di coltellate che oggi troppi fidanzati piantano nel corpo della donna amata o il veleno somministrato da madri poco generose alla figliolina ingombrante. Si tratta sempre dell’egoismo omicida del disgraziato furbo che non vuole donare nulla: tutto è solo per sé, e il resto deve morire. Dopo la scoperta poi dell’energia atomica la potenzialità distruttiva bellica ha fatto dei conflitti il principale strumento di possibile annientamento del mondo vivente. Così la guerra non è più solo un prodotto individuale o di gruppo ma è diventata un tema ontologico, sull’esistenza stessa, che riguarda tutto e tutti. È il mondo vivente che è in pericolo, e la psiche non dovrebbe limitarsi a trattare la vicenda con gli strumenti commerciali consueti nel calcolo Profitti/Perdite. Si tratta di un’altra battaglia: quella per la Vita/Morte del mondo. Nella competizione economica però, con le attuali possibilità e ritualità produttive, è proprio lì, nella potenza distruttiva, che il mondo tecnoscientifico sta ottenendo i suoi più straordinari e lucrosi risultati, accompagnati però da rischi di distruzione globale. Compresa la diffusione incontrollata dei disturbi psichici che in ogni modo accompagnano ovunque e in tutte le età dell’uomo lo sviluppo mortifero della guerra. Come rimediare? Non è semplice, e oggi in gran parte proprio per gli interessi coinvolti, come dimostrano le statistiche d’oro delle aziende impegnate nella guerra. Che la faccenda non sarebbe stata semplice da risolvere si era capito già da tempo, non molto dopo la fine della prima guerra mondiale. Il 30 luglio 1932 Albert Einstein scrisse a Sigmund Freud, su richiesta delle Società delle Nazioni (l’Onu di allora), chiedendogli aiuto sulla possibilità di curare l’uomo dalla «follia dell’odio e della distruzione espressa dalla guerra». Dopo un primo imbarazzatissimo scambio, Freud rispose che in linea di principio, grazie al «processo di civilizzazione» allora in voga nell’umanità (e rimastoci fino a pochi anni fa), la guerra non avrebbe potuto che retrocedere, ammettendo anche i limiti della psicoanalisi verso la soluzione della questione. Ma alla fine dello scambio sputò il rospo e concluse: «Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che alle persone come noi è imposto dal processo di civilizzazione, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più. Per noi pacifisti non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, si tratta di un’intolleranza costituzionale, della massima idiosincrasia. Mi sembra che le degradazioni estetiche della guerra non abbiano nel nostro rifiuto, suo e mio, una parte molto minore delle sue crudeltà». Insomma la guerra era brutta e scomoda, infastidiva la sua notevole capacità di godersi la vita, e ciò era insopportabile. Ed educatamente concluse: «La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa. Suo Sigm. Freud».Sfilarsi dalla passione per la guerra è difficile. Infatti c’è sempre stato chi ci ha guadagnato un sacco di soldi.
Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico della Regione Lombardia (Ansa)