2018-07-02
«Ero il re dei sondaggi ma ora penso siano inutili»
Gianni Pilo è l'uomo dei numeri che nel '94 previde la vittoria di Silvio Berlusconi. Oggi si occupa di intelligenza artificiale. «I miei colleghi in tv? Inutili. Se li vedo cambio canale».Cambiare vita restando nello stesso posto. Resettare il server e ricominciare da capo, rimanendo nel cuore di Milano, a due passi dal Duomo. Non dev'essere stato facile. Un cambio professionale ed esistenziale. Una rivoluzione, anzi, una palingenesi; ma composta e ordinata. Gianni Pilo, «il sondaggista di fiducia». «L'uomo dei numeri». «Il consigliere fidato». «Lo stratega della discesa in campo». «Il mago della statistica» che con la sua Diakron azzeccò sia la vittoria di Silvio Berlusconi nel 1994, sia quella successiva di Romano Prodi, nel 1996. Una creatura del primo berlusconismo. Deputato di Forza Italia per due legislature, fino al 2001. Poi più nulla, o quasi. Riflettori spenti. Telefono silente, giornalisti spariti. «Ho preso la mia agendina con 3.000 numeri e l'ho buttata. Dovevo cercarmi un nuovo lavoro, in un nuovo ambiente». Oggi Pilo è un signore di 63 anni con bretelle americane e retroaccento sardo, che ha messo tra il presente e la prima vita alcuni gradi di separazione.È stato difficile ricominciare senza cambiare città o Paese?«Milano rispetta e aiuta chi lavora: è stato facile far capire che volevo essere dimenticato».Smettere di occuparsi di politica rimanendo nella capitale del berlusconismo. «La passione era forte. Ci sono voluti alcuni anni per smettere di pensare a quel mondo. Tuttavia, rivisto con gli occhi di oggi non è stato così faticoso. Non c'è nulla di più fastidioso di un ex che si sente indispensabile, e io non mi sentivo indispensabile».A distanza di tempo le sembra meno doloroso?«Avrei fatto meglio a restare un tecnico che si occupava di politica. Oggi è una figura accettata, ci sono stati Steve Bannon e Gianroberto Casaleggio, tanto per fare dei nomi. Ma ero molto inesperto e quando si disse “candidiamoci tutti" accettai. Dal 1996 al 2001 siamo stati all'opposizione, un'esperienza dura per chi aveva sognato la rivoluzione liberale. Non ero fatto per la politica politicante».C'è stato un momento che ha causato il distacco?«Più che un episodio preciso è stato un lento allontanarsi. Forse la più grande delusione fu il mancato riconoscimento del mio contributo nel successo di Giorgio Guazzaloca a Bologna nel 1999. L'avevo incoraggiato io a candidarsi. Era una grande figura, un gigantesco politico locale che sconfisse per la prima volta la sinistra nella sua roccaforte. Fu un'esperienza esaltante. Mi amareggiò il fatto che non venne riconosciuto il mio ruolo».Che bilancio ne trasse?«Pensai che era giusto fermarsi. Cercare posti di sottogoverno come parziale risarcimento o magari cambiare casacca per continuare non fa parte della mia indole. Nel 2001 non ho chiesto di ricandidarmi e nessuno lo ha chiesto a me».Il successo di Guazzaloca fu la caduta del muro di Bologna. Oggi che sono cadute molte altre città e Regioni rosse che cosa pensa?«Sono stato uno dei primi a vedere le crepe in quel sistema… Ma, senza autocompiacimenti, il punto oggi è capire dove questa crisi porterà. Non è scontato: i vincitori di oggi non devono farsi illusioni». Lei fu il primo statistico prestato alla politica?«Non credo che i politici della Prima repubblica non disponessero di dati statistici. Probabilmente i sondaggi restavano nei cassetti dei capi di partito. La mia attività ha avuto una notorietà inaspettata».Con l'arrivo di Berlusconi e la nascita della Seconda repubblica però ci fu un cambiamento radicale.«Le elezioni del 1994 portarono una novità sia in altro, sia in questo. Fino agli anni Novanta c'era una forte vischiosità. I mutamenti erano omeopatici, quando un partito perdeva o guadagnava tanto era il 2 o il 3%. Con la dissoluzione della Dc, la previsione riguardava schiere di elettori centristi che non si sapeva come si sarebbero schierati in un sistema bipolare. Era una previsione molto più difficile, che richiedeva cercare risposte a domande non solo di natura politica».Servivano analisi molto più ampie e inedite? «Nella Prima repubblica il posizionamento dei partiti poggiava sulla terra ferma. Dopo Tangentopoli, stava nell'aria o sull'acqua. Una grande fetta di elettori era quasi indifferentemente disponibile al centrodestra e al centrosinistra, a condizione che cambiasse qualcosa. Berlusconi ebbe l'intuizione di scegliere il centrodestra. Ma la buona parte del lavoro la fece Achille Occhetto, spostando a sinistra il blocco progressista. Noi cogliemmo quella situazione. Il bipolarismo non lo volle solo Berlusconi, ma per sua fortuna anche gli i suoi avversari».Così Berlusconi poté accentuare i toni anticomunisti?«Occhetto sbagliò a estremizzare. Ma forse l'errore più grande fu di Mario Segni che rifiutò la logica bipolare e si alleò con la sinistra solo dopo il voto. Se l'avesse fatto prima e si fosse proposto lui come leader, avrebbero vinto i progressisti».Buttata l'agendina con 3.000 numeri cosa fece?«Mi sono cercato un nuovo lavoro. Dopo aver fatto politica, non volevo più rimanere nel mondo dei media che gli era troppo contiguo».Cosa fece?«Creai una start up. Nel 2000 il decreto Letta aveva liberalizzato il mercato dell'energia. Nelle fasi di cambiamento si aprono spazi più che proporzionali alle proprie forze. Era l'esperienza che mi portavo dietro dai tempi della liberalizzazione delle telecomunicazioni, con la nascita di Videolina, nella mia Sardegna. Ci sarà da sbattersi e da lavorare, mi sono detto. Però sarò indipendente. Così nacque Enoi che vendeva energia elettrica e gas, e divenne il primo operatore indipendente nell'energia in Italia nel giro di dieci anni».Da dove importavate il gas?«La liberalizzazione in Europa è cominciata in Olanda e Gran Bretagna. Noi facevamo commercio all'ingrosso: compravamo il gas, principalmente in Olanda. Fummo tra i primi ad avere le licenze per passare sui tubi di Eni e Gas de France. Le nuove normative consentivano a tutti i player di utilizzare i tubi delle ex aziende di Stato, come avviene oggi per le infrastrutture dei trasporti e delle telecomunicazioni».Si parlò di strani affari con la Russia di Putin e la Tunisia.«Facendo politica mi ero inevitabilmente procurato dei nemici. Sono stato coinvolto in vicende con le quali non c'entravo nulla, e anche in provocazioni goffamente congegnate. Si è parlato di importazioni di gas dalla Russia orchestrate da Berlusconi. Ma io non c'entravo più con Berlusconi (sempre ammesso che quell'operazione ci sia stata). Quanto alla Tunisia, consideri che in quel Paese di gas non ce n'è. Fu una vera e propria trappola organizzata da alcuni provocatori. Fui invitato a una riunione in cui si parlò di gas tunisino, e c'erano degli spioni che scattavano segretamente fotografie. Ma io non ho fatto niente di male. Inoltre in Tunisia non si produce gas. La mia incriminazione si è conclusa con un non luogo a procedere».Ma ha lasciato il mondo dell'energia?«Nel 2014 ho venduto la mia partecipazione in Enoi e ho creato Energia crescente, investendo i proventi in una piattaforma di algoritmi che presiedono alla creazione di intelligenza artificiale». Più precisamente? «Con la nostra piattaforma si possono creare numerosi programmi, come per esempio Matrix, che è un programma di sicurezza informatica. Un sistema di sentinelle che monitora i comportamenti informatici potenzialmente pericolosi per la sicurezza delle aziende».Per esempio?«Un dipendente che accede senza autorizzazione a dati riservati, oppure copia o stampa un database della sua azienda».Sembra uno scenario da Michel Foucault quando parlava di sorvegliare e punire?«Non esagererei. Le nostre sentinelle sono come i vigili urbani che registrano una violazione del codice della strada, mica sparano alle persone».Quanti clienti avete?«Finora 120 tra grandi società, aziende e qualche ente locale. La nuova normativa europea sulla privacy con l'applicazione del Gdpr è un settore in espansione. Ha presente il caso di Facebook e Cambridge Analityca?».Certo.«La vicenda è tramontata perché Cambridge Analityca è fallita, ma con il nostro programma si sarebbe potuto sapere con certezza se e quali erano le colpe di Cambridge Analityca, e quali quelle di Facebook».Come opera Energia crescente?«Facciamo ricerca e sviluppo. È una piccola società di una dozzina di ingegneri, matematici e statistici, con un fatturato di 2,5 milioni». Cosa pensa della piattaforma Rousseau del Movimento 5 stelle?«È un sistema che non ho capito. Ho provato a studiarlo, ma c'è qualcosa che mi sfugge, di opaco».Guarda i programmi di politica in televisione?«I talk show no. Non si riesce a seguire un ragionamento compiuto con un punto di partenza e uno d'arrivo. Si salva un po' Otto e mezzo, favorito dalla brevità».Cosa pensa quando vede i sondaggisti e gli statistici in tv?«Le dico la verità: cambio canale. Lavorano con budget troppo piccoli per avere campioni attendibili. Il margine d'errore è superiore alle percentuali che misurano, infatti adottano sempre le forchette. Oggi i sondaggi sono completamente surclassati dai monitoraggi in rete delle preferenze degli utenti».Che però sono illegali.«No, se si fanno le cose correttamente. Basta separare i comportamenti informatici dall'identità dei soggetti monitorati, rispettandone la privacy».Mi dica un ricordo positivo nel quale si culla per essere di buonumore e un progetto ancora non realizzato che ha in mente.«Mi dico: qualcosa l'ho azzeccata. E non ho mai avuto paura di rinnovarmi. Il progetto a cui tengo non è un sogno: stiamo aprendo la nostra piattaforma di Machine learning (che si chiama Brainiac) per metterla a disposizione di 1.000.000 di ragazzi di tutto il mondo. Gratis».
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)