2024-04-07
L’epopea dei Fantini, tra commesse prestigiose e relazioni pericolose
Roberto e Massimo Fantini
La famiglia fondatrice della Cogefa negli anni ha costruito le sedi di società come Cartier e Ferrero. Secondo i pm, però, i rapporti amicali con gli esponenti dei clan sarebbero nati molti anni fa.Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Torino, il rapporto tra la famiglia Fantini e quella dei Pasqua (accusata di rappresentare la ’ndrangheta in Piemonte) non sarebbe nato attraverso Roberto Fantini, indicato da Gallo come componente dell’Orecol, ma si sarebbe tramandato di padre in figlio. Dagli atti emerge infatti un rapporto pregresso tra Giuseppe Pasqua e Teresio Fantini, padre di Roberto e Massimo. Pasqua infatti racconta che se Teresio «gli avesse dato ascolto avrebbe evitato l’arresto». Pasqua parla della famiglia Fantini come uno che la sa lunga sulle loro cose riservate: «Io so tutti i segreti... per esempio, perché l’hanno arrestato? Perché non ha ascoltato quello che gli ho detto io...». Poi prosegue: «Perché lavoravamo a Volvera e c’era una terra rossa di mattoni... […] siamo andati in una fabbrica che facevano questa cosa dei mattoni e c’era uno che non sto […] il ragioniere Fantini cosa ha fatto? lì si trattava di miliardi... di milioni e se n’è andato dietro a un cretino che lavorava per loro... e se l’è cantata che ha preso una volta 20 milioni... un’altra volta 30 milioni... della terra rossa che ci portavamo […] la terra rossa se la pagava bene, non mi ricordo quanto, ogni camion veniva 200 o 300.000, lire alla vecchia lira... e questo purtroppo ha incassato soldi come 40 o 50 milioni all’epoca...». La storia però, come tutte quelle che raccontano gli intrecci nella zona grigia che divide il perimetro con la malavita, non ha un lieto fine: «Il papà di Massimo alla fine l’hanno arrestato... perché se l’è cantata uno che era un suo tirapiedi». Teresio Fantini, deceduto nel 2006, è stato il fondatore della Cogefa Spa. Il figlio Roberto, dalla morte del padre e fino al 2021 è stata «una delle figure apicali» della Sitalfa Spa, per gli inquirenti «vera e propria fucina di lavori per imprese, come quella dei Pasqua, operanti nel settore del movimento terra». Secondo i pm, Roberto Fantini «aveva indubbiamente con i Pasqua un rapporto solido e duraturo, tanto da essere definito senza mezzi termini «un amico». Inoltre, «le traversie giudiziarie dei Pasqua (ci si riferisce in particolare alla cosiddetta interdittiva antimafia che colpiva le loro imprese)» non lo «dissuadevano dall’assicurare loro il sostegno economico e morale di sempre». Proprio le interdittive antimafia devono aver creato non poche grane ai Pasqua. Quando la Autotrasporti Claudio sas ne becca una Fantini sente il dovere di chiamare Domenico Claudio Pasqua per informarlo che tutti i contratti sarebbero stati revocati e chiedergli le ragioni che avevano prodotto il provvedimento della Prefettura. Pasqua replica sostenendo che «gli accertatori avevano erroneamente riportato dei pregiudizi penali sul conto di un suo parente» e che avrebbe fatto ricorso. Fantini, riassumono gli investigatori, si sarebbe mostrato comprensivo, sostenendo «di comprendere la situazione e che, sebbene obbligato a seguire le indicazioni di Sitaf, i loro rapporti personali non avrebbero subito variazioni». I Pasqua però si sono mostrati subito pieni di risorse. Un capitolo dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, è dedicato alle «modalità attraverso le quali le società dei Pasqua di fatto aggiravano il divieto derivante dal mancato rinnova dall’iscrizione alla lista dei fornitori della pubblica amministrazione». Un divieto che, di fatto, colpisce i soggetti deboli, ma che viene aggirato dalle grandi organizzazioni criminali. Quando da una delle società appaltanti viene chiesto all’azienda interdetta copia dell’iscrizione nella lista bianca della Prefettura, la segretaria dei Pasqua «rispondeva omettendo qualsiasi riferimento all’iscrizione nell’elenco prefettizio». Alle successive richieste «attribuiva a una mera svista il mancato inoltro della documentazione». E infine avrebbe tentato di aggirare la richiesta con un «vago richiamo alla situazione legata alla pandemia da Covid 19». E quando la segretaria riferisce a Domenico Claudio Pasqua di aver «fatto la furba», lui, approvando, l’avrebbe esortata «a inoltrare solo comunicazioni interlocutorie avvenute con la Prefettura». L’interdizione, insomma, non avrebbe modificato «almeno nelle intenzioni di Pasqua il rapporto con le committenti». La Cogefa, citata più volte nell’ordinanza, è un colosso del settore delle costruzioni. Tra le opere realizzate pubblicate sul loro sito internet si possono trovare: il polo manufatturiero di Cartier, uno stabilimento Fca a Rivalta, il technical center della Ferrero. Tra i loro cantieri anche quella della sede di Banca Sella a corso Stati Uniti, nei locali che un tempo ospitavano la Juventus. Secondo la Procura, Roberto Fantini «curava l’inserimento dei mezzi della Autotrasporti Claudio Sas, riferibile a Pasqua Giuseppe e Pasqua Domenico Claudio, nei lavori di trasporto e movimento terra affidati dalle società Sitalfa Spa, Cogefa spa e le altre società ad esse collegate». Gli inquirenti annotano come «la consapevolezza della mafiosità dei Pasqua da parte di Gianfranco Papa, dipendente della società Cogefa spa, emerge in maniera evidente da alcune conversazioni ambientali registrate a far data dall’1 ottobre 2015». «In particolare» evidenziano una conversazione telefonica registrata quel giorno «tra Giuseppe Pasqua e Papa dimostrava che l’impiego dei mezzi dei Pasqua nella cava Cogefa non rispondeva unicamente ad esigenze lavorative». Papa, stando alle ricostruzioni degli inquirenti, «chiedeva, infatti, a Giuseppe Pasqua quando avrebbero avuto inizio i lavori a loro commissionati dalla società Itinera, poiché presso la cava di Montanaro della Cogefa erano impiegati più autocarri rispetto alle reali esigenze ». In un’altra occasione, Papa avrebbe chiesto a Giuseppe Pasqua, informazioni «su un soggetto di origine calabrese». Pasqua chiede di annotare il nome su un foglio, , poi ne ha parla con il figlio, che risponde così: «È ‘ndranghetista?». Il padre non si sarebbe perso in chiacchiere e avrebbe affermato «di non conoscere ulteriori particolari ma che l’imprecisato soggetto originario di Locri era titolare di un’azienda in Brasile e che i suoi mezzi stavano lavorando in Piemonte». Poi ha chiuso la questione dicendo al figlio: «Ma trovalo tu... se no... mi dici a me... e glieli bruciamo sti cazzi di camion di merda là... hai capito?».
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