2018-05-18
Mattarella vuole un nome o si vota a ottobre
Dall'incontro tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio non esce il nome del presidente del Consiglio. I grillini insistono sul loro capo, tra i candidati «terzi» spuntano anche giornalisti. Al Quirinale si aspettano un profilo per lunedì ma intanto si accarezza il dossier urne dopo un passaggio tecnico. Nel programma tanto deficit e ballano le coperture. Senza tagli alla spesa resta la possibilità di sforare. Sgambetto del Cav : «Dove trovano i soldi?» Sciolti gli ultimi nodi del contratto. La Lega blinda la stretta su clandestini e islam radicale. Sì a politiche contro la precarietà lavorativa. Oggi voto on line su Rousseau. Lo speciale contiene tre articoli. Il banchetto è pronto, gli invitati, affamati, aspettano gli antipasti, ma lo sposo non si trova. La giornata di ieri non è servita a sciogliere il nodo più intricato: chi sarà il presidente del Consiglio del governo M5s-Lega? Non si sa. Quello che si sa, è che ieri mattina Luigi Di Maio e Matteo Salvini si sono incontrati, ancora una volta, a Montecitorio, per tentare di raggiungere un'intesa sul nome del primo ministro da sottoporre poi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Ennesima fumata nera: più di tre ore di faccia a faccia non sono bastati per trovare l'accordo. Oggi nuovo incontro, probabilmente a Milano. Di Maio, all'uscita da Montecitorio, a chi gli chiedeva se l'intesa sul nome per Palazzo Chigi fosse vicina, ha risposto così: «Lo avremo nei prossimi giorni. Io e Salvini ci parliamo solo da una settimana, non è che possiamo fare miracoli». Una dichiarazione che ha una indiscutibile venatura comica, considerato che dal giorno dopo le elezioni, ovvero due mesi e mezzo fa, i due «ragazzi», come al Quirinale chiamano Di Maio e Salvini, si sono visti, parlati al telefono e scambiati messaggini più che con le rispettive fidanzate. Lunedì prossimo al Quirinale con il nome? «Non vi do scadenze», ha glissato Di Maio, «adesso ci si può concentrare sul premier». «Se chiudiamo», ha commentato Salvini, «chiudiamo lunedì anche con il nome del premier, altrimenti avremmo fatto un grande lavoro di cui qualcuno ci sarà grato. Comunque vada», ha aggiunto, «lunedì la parola torna al presidente Mattarella». Di Maio intanto insiste su sé stesso: «Io spero sempre che il premier sia Di Maio», ha detto ieri Stefano Buffagni, deputato del M5s e fedelissimo del capo politico, a La7, «il quale ha dato disponibilità a fare un passo indietro ma vuol dire che non ha chiuso assolutamente la possibilità che possa essere lui». Per la Lega sarebbe un boccone difficile da ingoiare, anche se come contropartita il Carroccio otterrebbe ministeri pesanti: Matteo Salvini sarebbe vicepremier e ministro dell'Interno; Giancarlo Giorgetti diventerebbe sottosegretario alla presidenza del Consiglio, poltrona che fu di Gianni Letta, al quale il capogruppo leghista alla Camera viene spesso paragonato; al Carroccio andrebbero anche l'Agricoltura e i Trasporti. Il M5s si accontenterebbe del Lavoro (Riccardo Fraccaro), della Giustizia (Alfonso Bonafede) e di altri dicasteri di minor rilievo. Agli Esteri, per compiacere Mattarella, potrebbe andare Elisabetta Belloni, segretario generale della Farnesina, già in corsa per il ruolo di premier del «governo neutrale». Anche la scelta dei ministri dell'Economia e della Difesa andrà concertata con il Quirinale. Se il premier fosse una figura «terza» ma non tecnica, Matteo Salvini e Luigi Di Maio il candidato, sussurra qualcuno, sarebbe bello e pronto: politico (è senatore grillino), ma con un dna leghista. Si tratterebbe di Gianluigi Paragone, giornalista come Emilio Carelli, altro papabile bruciato ieri, ma molto meno berlusconiano dell'ex vicedirettore del Tg5. Paragone, 47 anni, nato a Varese da papà sannita e madre siciliana, incarna il grilloleghismo. È l'ideale rappresentanza di sintesi tra i due movimenti, che stanno faticosamente cercando di dare vita a un esecutivo che duri cinque anni. Paragone, già importante fautore di dialogo in queste settimane tra i due «mondi», inizia la sua carriera giornalistica collaborando con il quotidiano La Prealpina, per il quale segue le iniziative politiche di Umberto Bossi e Roberto Maroni. Si avvicina alla Lega, e Bossi nel 2005 lo vuole come direttore della Padania, organo ufficiale della Lega Nord. Nel 2009, dopo un periodo a Libero, in quota Carroccio diventa vicedirettore di Rai Uno. Rompe con Bossi e nel 2013 passa a La7. Si avvicina al M5s, e lo scorso 4 marzo diventa senatore grillino. Un altro possibile premier, fino ad ora coperto, è una donna: Barbara Lezzi. Leccese, 46 anni, è alla sua seconda esperienza da senatore per il M5s, ed è un nome «pesante» del grillismo. Il suo nome è stato in corsa per la presidenza della commissione speciale del Senato, ma è stata lei stessa a rinunciare lasciando la strada libera al suo collega Vito Crimi; si sussurrò che il suo passo di lato fosse dovuto alla possibilità di ricoprire incarichi di governo. Sfiorata ma non travolta dalla vicenda «rimborsopoli», poche settimane fa sorprese tutti rispondendo con afflato dalemiano a una domanda sul conflitto di interessi: «Non sarà», disse la Lezzi, «una legge contro Berlusconi. Nessuna vendetta né strategia punitiva nei confronti di Mediaset che è un'azienda importante del Paese». Sempre «caldo» il nome del docente di diritto amministrativo Giacinto Della Cananea, colui il quale è stato chiamato da Di Maio a confrontare il programma del M5s con quello di Pd e Lega, e che sarebbe graditissimo al Quirinale. Della Cananea, insieme a Bernardo Mattarella, figlio di Sergio, ha scritto un articolo scientifico sui «Sistemi regolatori globali e diritto europeo»; con Giulio Napolitano, figlio di Giorgio, ha curato il volume «Per una nuova costituzione economica»; infine, con entrambi, ha partecipato alla scrittura del libro Il diritto amministrativo oltre i confini - Omaggio degli allievi a Sabino Cassese. A proposito di Quirinale: ieri al Colle, dopo le schiarite di 24 ore prima, le quotazioni dell'accordo M5s-Lega erano segnalate nuovamente in calo, ed è stata spolverata la cartellina con su scritto: «governo neutrale ed elezioni il 7 ottobre». Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/entrano-misure-anti-jobs-act-esce-lo-stop-alla-torino-lione-2569754656.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nel-programma-tanto-deficit-e-coperture-tutte-da-trovare" data-post-id="2569754656" data-published-at="1757683911" data-use-pagination="False"> Nel programma tanto deficit e coperture tutte da trovare Il contratto di governo è ormai giunto alla terza edizione. Probabilmente non è quella definitiva anche se ormai mancano le limature, i dettagli. Il testo rappresenta certamente un'idea di massima soggetta a successiva interventi che spiegheranno meglio i numeri e gli obiettivi della finanza pubblica. Al momento resta aperto a un tema molto complesso, quello delle coperture. Solo in parte assorbibili da un intervento forzato sul debito e sulla flessibilità del deficit. È chiaro che se il futuro governo Lega e 5 stelle dovesse decidere come ha messo nero su bianco di intervenire sulla riforma Fornero e sull'ampliamento dell'attuale reddito di inclusione con una sorta di reddito di cittadinanza ibrido dovrà fare ricorso allo sforamento del deficit. Una scelta politica molto forte che a sua volta prevederebbe la totale ridiscussione dei trattati europei. Lo stesso discorso vale per Monte dei Paschi di Siena. Il testo inserisce una frase vaga che ammicca alla possibilità di nazionalizzare la banca, facendo salire al 100% il Tesoro. L'operazione a oggi non è fattibile. La norme europee sul bail in e sulla brrd approvate anche dal nostro Parlamento non prevedono una salvataggio a tempo indeterminato da parte di un attore pubblico. Nel caso in cui le scelte su Fornero, reddito di cittadinanza e intervento sui testi di regolamentazione bancari saranno confermate, Matteo Salvini o Luigi Di Maio dovranno fare prima una grande battaglia in Europa. Dopo, dovranno modificare qualche legge italiana e poi potranno rendere tangibili la promessa contenuta nel contratto di governo. Sul reddito di cittadinanza ieri è intervenuto pure Silvio Berlusconi che da semi alleato della Lega ha usato l'accetta sul tema. «Una proposta priva di coperture finanziarie», ha detto, «e radicalmente sbagliata perché deresponsabilizza i cittadini». Verissime entrambe le cose. Con la differenze che il danno sociale resta evidente, mentre sulle coperture in realtà si può ovviare andando appunto in deficit. Più fumosa è invece la parte relativa ai tagli fiscali che meriterebbero più dettagli proprio sulla bilanciatura delle coperture. Il contratto di governo prevede una radicale riforma fiscale con due aliquote per famiglie e cittadini al 15 e al 20%. Il passaggio a un nuovo prelievo crea come previsto da letteratura un grosso buco fiscale il primo anno. Per tappare il buco Lega e 5 stelle prevedono un maxi condono una tantum. Molto difficile che un rientro di capitali possa rendere un gettito superiore ai 4 miliardi. Il resto rimarrebbe indefinibile. La sterilizzazione delle clausole di salvaguardia richiede il reperimento di 12,5 miliardi l'idea di aggiungere un ulteriore taglio alle accise sulla benzina pone la questione definitiva della spesa corrente. Progetti di lungo termine possono essere valutati in deficit con la speranza che possa essere gestito il taglio del debito, ma se si eliminano bruscamente incassi senza intervenire sugli 800 miliardi annui di spesa corrente si rischia di andare in frizione sulla cassa stessa. Tanto più se il futuro governo decidesse di dare una ulteriore sforbiciata alle slot machine e vtl, un mercato che porta ogni anno nelle casse dello Stato circa 10 miliardi di euro. Il timore secondo alcuni osservatori che la componente 5 stelle possa inserire una tassa al momento omessa: ovvero una patrimoniale sulla casa. D'altro canto l'obiettivo del contratto è creare una grande banca modello Iri che nascerebbe dallo sdoppiamento di Cassa depositi e prestiti. L'istituto dovrebbe finanziare e supervisionare la politica economica nazionale, gestire i fondi di garanzia per il finanziamento alle Pmi e pure l'export. Insomma una grande ingerenza dello Stato. Claudio Antonelli <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/entrano-misure-anti-jobs-act-esce-lo-stop-alla-torino-lione-2569754656.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="entrano-misure-anti-jobs-act-esce-lo-stop-alla-torino-lione" data-post-id="2569754656" data-published-at="1757683911" data-use-pagination="False"> Entrano misure anti Jobs act, esce lo stop alla Torino-Lione Giorgio Armani ha reinventato il tailleur, Luigi Di Maio e Matteo Salvini il patchwork. Che stavano «facendo la storia», del resto, l'aveva detto nei giorni scorsi il leader dei 5 stelle. L'accordo di governo è chiaramente scritto da mani diverse. Molte mani. Con un'edulcorazione dei punti dei rispettivi programmi che all'altro «socio» non sono mai piaciuti. Alla fine, la versione quasi definitiva del documento, in attesa delle ultime limature, è un po' contradditorio, pieno di cose buone alternate a idee talvolta strampalate, ma ognuno potrà giudicare da solo. Mentre gli iscritti dei 5 stelle potranno anche votare on line, già da oggi, secondo quello che ha dichiarato Di Maio. Quello che sicuramente è «storico» è il metodo di questo parto gemellare. E anche la trasparenza. D'ora in poi, i successori di Lega e M5s faranno fatica ad andare al governo tenendosi i programmi nei pantaloni. Ma è anche vero che il contratto di tipo privatistico (con corredo di inadempienze e relative sanzioni civilistiche?), alla lunga, fa assomigliare la discussione politica al livello di una compravendita immobiliare. Il testo dell'accordo parte con il contestato «Comitato di conciliazione», un po' svuotato per evitare le accuse di essere un super-governo, ma che a pagina 5 si capisce che è stato creato per evitare di rompere sulle Grandi opere, dove i leghisti sono favorevoli e i grillini sono contrari. Il Comitato «valuterà costi e benefici» delle opere «non menzionate nel presente contratto». Insomma, un rinvio. E sulla Tav Torino-Lione, Salvini ha ottenuto di correggere lo «stop» con una nuova discussione. Il Paese ci è abituato. Scontate le mozioni a favore dell'acqua pubblica, della piccola pesca e del made in Italy alimentare, appare un po' sorprendente la fumosità di tutto il capitolo sull'ambiente, a cominciare dall'incipit da scuola primaria: «Chi non rispetta l'ambiente non rispetta sé stesso». Ci sono i cavalli di battaglia di Beppe Grillo, come l'economia circolare e l'efficienza energetica, ma quando si arriva al consumo del suolo c'è solo un generico auspicio a recuperare le cubature esistenti. Quanto al famoso «conflitto d'interessi» scompare l'abolizione della legge Frattini ed ecco 18 righe che sembrano scritte dal pallone aerostatico, compresa una vaga minaccia: «Intendiamo innanzitutto cambiare l'ambito di applicazione della disciplina estendendo l'ipotesi di conflitto oltre il mero interesse economico». S'immagina il sincero terrore a Cologno Monzese, o tra i gestori autostradali. Panico vero, invece, a Bruxelles e nell'ufficio di Mario Draghi, alla Bce di Francoforte, davanti a questa idea: «Per quanto riguarda le politiche sul deficit, attraverso la ridiscussione dei trattati dell'Ue…» (pagina 10). Qui non serve entrare nel merito, perché un contratto di governo che prevede la ridiscussione dei trattati internazionali non s'è mai visto. Sul fronte della politica estera c'è un filoamericanismo di maniera ed è sparito qualunque riferimento leghista all'inclusione della Russia nel meccanismo di sicurezza europea, a fianco della Nato. Mentre resta una vibrante difesa della nazione di Vladimir Putin, che «non è una minaccia», ma «un interlocutore strategico per il Medio Oriente» e «un partner economico e commerciale» irrinunciabile. Se invece si passa all'economia interna, ecco la promessa di non lasciar salire automaticamente l'Iva e di «eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina». Con tanti saluti all'ambientalismo di Grillo. Confermate invece le anticipazioni sulla flat tax (aliquote fisse per le persone al 15 e 20%). Inserimento dell'ultima ora, «la lotta alla precarietà», che viene addebitata a Matteo Renzi e al suo Jobs act. Il capitolo giustizia è preso di peso dal sito internet di Autonomia e indipendenza, la corrente dei magistrati fondata da Piercamillo Davigo. Per la parte che riguarda il diritto penale e le carceri, oltre a una certa, complessiva, durezza, colpisce che la funzione rieducativa della pena sia stata abrogata per contratto. Mentre nella parte dedicata al diritto di famiglia, ecco che i figli delle coppie separate dovranno passare «lo stesso tempo» con i due genitori e si mette la parola «fine» all'attuale mammocrazia che regola i divorzi. In queste ore, poi, viene introdotto anche un apposito capitolo per il Sud, che compare in tutti i programmi dal 1861 ai giorni nostri, e la cui assenza avrebbe in effetti messo in un certo imbarazzo «lo scugnizzo» Di Maio. Infine, qualche grattacapo in arrivo per gli imam e per i liberi costruttori di minareti. Verrà istituito un registro dei ministri di culto e la piena tracciabilità dei finanziamenti internazionali per la costruzione di moschee. Mentre le associazioni islamiche radicali verranno chiuse d'imperio. Francesco Bonazzi
Giorgia Meloni al Forum della Guardia Costiera (Ansa)
«Il lavoro della Guardia Costiera consiste anche nel combattere le molteplici forme di illegalità in campo marittimo, a partire da quelle che si ramificano su base internazionale e si stanno caratterizzando come fenomeni globali. Uno di questi è il traffico di migranti, attività criminale tra le più redditizie al mondo che rapporti Onu certificano aver eguagliato per volume di affari il traffico di droga dopo aver superato il traffico di armi. Una intollerabile forma moderna di schiavitù che nel 2024 ha condotto alla morte oltre 9000 persone sulle rotte migratorie e il governo intende combattere. Di fronte a questo fenomeno possiamo rassegnarci o agire, e noi abbiamo scelto di agire e serve il coraggio di trovare insieme soluzioni innovative». Ha dichiarato la Presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante l'intervento al Forum della Guardia Costiera 2025 al centro congresso la Nuvola a Roma.
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