2023-12-12
Il vero effetto Brexit piomba sull’Ue: crisi tedesca e fiscal compact al palo
Boris Johnson (Getty Images)
L’uscita dall’Unione doveva condannare Londra. Invece la Global Britain ha contribuito a scatenare la guerra ucraina e a minare la stabilità energetica e industriale dell’Europa. Rimasta senza basi per un’unione fiscale.La Gran Bretagna ha albergato tra le fila dell’Unione europea (all’inizio era Cee) per quasi 40 anni. Nel 2016 Londra mette a terra il referendum sulla Brexit. Vince il sì. I negoziati partono a giugno del 2017 e terminano il 31 gennaio di tre anni fa. I giornali italiani sprecano chilogrammi d’inchiostro per spiegare ai lettori che l’economia inglese sarebbe sprofondata. Anzi l’isola stessa si sarebbe inabissata nelle acque della Manica. Il tutto, ovviamente, per causa della Brexit. Effetti? Povertà e incapacità a fronteggiare le sfide del mondo globale. Peccato che subito dopo la Brexit siano arrivati il Covid-19 e la guerra in Ucraina. E a uscirne con le ossa rotte sono stati Bruxelles, Berlino e altri Paesi dell’Ue.A distanza di tre anni, la Gran Bretagna, anche se ha cambiato più governi che magliette, rimane l’elefante nella cristalleria. È la Brexit ad aver creato instabilità alla struttura dell’Unione. E non viceversa. Dal punto di vista finanziario, per l’enorme crisi del comparto produttivo e per la difficoltà di garantire la sovranità energetica e tecnologica. Al contrario i britannici sono stati razionali. Hanno la sterlina; sono un membro permanente del Consiglio di sicurezza Onu; sono una potenza militare anche nucleare. Uscendo, si sono resi liberi di negoziare accordi commerciali a 360 gradi: con gli Usa, con i Paesi legati al Commonwealth, con la stessa Ue, con i giganti asiatici. La City ad esempio si è convertita. Da centro della finanza globale sta diventando l’hub dell’intelligenza artificiale. Ha stretto alleanze che noi europei nemmeno riusciamo ad immaginare. Stiamo valutando adesso le regole. Loro sono almeno tre anni avanti. E nel comparto tecnologico significa tantissimo. Mentre l’Ue stanzia briciole per settori strategici come i microchip, Londra si allea con chi le fa più comodo. È veloce nelle strategia e nella tattica. Così come ha dimostrato di uscire dagli eventi drammatici con maggiore velocità. La Gran Bretagna, ad esempio, ha cancellato le restrizioni Covid molto prima delle altre nazioni Ue. I benefici si sono visti. Nonostante Sergio Mattarella ebbe a rimbrottare Boris Johnson ricordando che noi italiani amiamo la libertà, «ma anche la serietà». Piccole schermaglie, mentre Londra preparava il ritorno alla Global Britain. Reso evidente dalla tragica circostanza del conflitto in Ucraina. Anzi, se analizziamo le scelte geopolitiche del post Brexit a partire dal 2017, potremmo affermare che senza l’uscita di Londra dall’Ue non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina. O sarebbe andata in maniera molto diversa. Si è infatti parlato a lungo delle negoziazioni per l’uscita dall’Ue condotte con la cieca Bruxelles, meno, invece, degli accordi siglati tra Londra e Ankara. Dopo il trionfo nelle elezioni del 2019, Bojo ha promosso il perimetro di libero scambio con la Turchia con tanto di unione doganale. Sempre nel 2020 si sono tenute le prime esercitazioni militari congiunte. Avviato il dialogo con uno dei partner più delicati del Mediterraneo, Londra si stava mentalmente e diplomaticamente preparando all’addio di Angela Merkel, che nei decenni precedenti aveva monopolizzato le relazioni con Recep Erdogan. Nessuno a Bruxelles, almeno fino a settembre del 2021, si era però preoccupato di valutare e possibilmente prevenire le mosse di Londra nei confronti degli ex partner europei. Così, l’intervento a gamba tesa degli inglesi nell’accordo sul Pacifico che unisce Usa e Australia nella mega commessa di sommergibili nucleari ha dato la sveglia ai funzionari di Bruxelles e al tempo stesso a Emmanuel Macron. La commessa originariamente sarebbe dovuta andare ai francesi, i quali si sono trovati ridimensionati al ruolo di potenza locale. Ma Bojo è anche riuscito a lanciare un messaggio all’intera Unione. Bruxelles si occupi del Mediterraneo, poiché spetta alla Gran Bretagna operare al fianco degli Usa nel Pacifico. La sveglia però non è stata sufficientemente forte. Perché nessuno a Bruxelles o a Berlino si è dato troppo pensiero quando prima nel 2020 e poi, guarda caso, nel 2021, Londra ha chiuso due importanti accordi con Kiev. Anche in questo caso patti bilaterali sul commercio, sugli investimenti e su aree di libero scambio. Non è un caso che dopo l’invasione russa si sia scoperto che l’intelligence di sua Maestà fosse la più attiva sul territorio ucraino, consapevole che se gli Usa hanno l’obiettivo di riposizionarsi nei confronti di Putin si devono appoggiare su un Paese partner «locale». È chiaro che il governo inglese ha sempre saputo che, qualunque fosse l’esito delle tensioni belliche, a uscire indebolito indebolito sarebbe stato l’intero perimetro europeo. Dalla Germania alla Francia passando per l’Italia. Ecco perché Londra ha soffiato sul fuoco bellico. Ha saputo rigirare le politiche economiche della Germania come un calzino. L’addio della Merkel ha lasciato scoperti gli errori nei rapporti con la Russia da un lato e tutte le scelte di mediazione portate avanti con la Cina. Se Berlino non è più locomotiva del Vecchio Continente lo si deve non solo all’ostilità americana, ma anche alle mosse di Londra. È da Oltremanica che si è contribuito a chiudere i cordoni del gas all’Ue e a rendere più difficili i rapporti produttivi con la Cina. La deglobalizzazione è un enorme vantaggio per la Gran Bretagna, che vive di sponda con gli Usa. È invece un golem che Bruxelles non sa gestire. Tanto che la Germania sbanda sotto il peso dei suoi buchi di bilancio. E la Francia arranca per cercare una posizione nuovo. Il Vecchio Continente che si autoflagella con la transizione green rischia la desertificazione industriale, l’incapacità militare e l’insufficienza tecnologica. Eppure insiste a ragionare e litigare su un Patto di stabilità che riflette equilibri geopolitici che non ci sono più. Il fiscal compact non solo non funziona perché era basato sull’egemonia tedesca. Ma non funzione perché rischia di non esserci più un’economia reale da sostenere.
Roberto Cingolani, ad di Leonardo (Getty Images)
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)