2025-08-01
I numeri dimostrano che la scelta di trattare ha permesso di contenere i danni. Trovata la quadra con Corea del Sud, Thailandia, Pakistan e Cambogia. Concessi 90 giorni in più al Messico. Canada colpito con il 35%, alla Svizzera dazi del 39%.Un colpo alla Fed e uno all’Ue e Donald Trump celebra il suo primo agosto «dazio e felice». Oggi è il D day inteso proprio come tariffa doganale, ma anche come giorno di Donald, sparata ad alzo zero contro la globalizzazione. «È un grande giorno», ha scritto il presidente americano sul suo social Truth, «ho parlato con i leader di molti Paesi, tutti desiderosi di rendere gli Stati Uniti estremamente felici». Alla Ue si confermano dazi al 15%, i più bassi dopo il Regno Unito, segno che trattare è servito. Per ora nessuna esenzione per il vino, nessun rimodellamento di tariffa. Si parte dal 15% generalizzato - che assorbe però la tariffa già esistente del 5% - e si va avanti. Non è certo un invito a una cena di gala, ma neppure uno scenario apocalittico per l’Europa e per l’Italia in particolare: in fin dei conti per noi gli Usa sono un mercato che vale l’11% dell’export. In attesa del gran giorno, Donald Trump ieri ha dispensato altri aumenti a destra e a manca, ma se la piglia soprattutto con Jerome Powell - il presidente della Federal reserve - reo di non aver abbassato i tassi: «È troppo stupido e troppo politico per ricoprire la carica».La strategia di Trump che si gode comunque un aumento del 3% del Pil è chiara: riequilibrare la bilancia commerciale, incassare miliardi di tariffe, rompere la globalizzazione. Così con il presidente del Messico Claudia Sheinbaum ha concordato «di proseguire per altri 90 giorni l’accordo sui dazi che prevedono che il Messico paghi il 25% sul fentanyl e sulle auto, il 50% su acciaio, alluminio e rame». Il rame - gli Usa sono i maggiori importatori - è l’ultimo bersaglio: 50% per tutti tranne che per il Cile che è il primo fornitore. Altra stangata sul Brasile perché Luiz Inácio Lula da Silva - ha risposto: «Siamo uno Stato sovrano e tratteremo con durezza con Washington» - vuole processare l’ex presidente Jair Bolsonaro e dunque tariffa aggiuntiva del 40% oltre al 10 in essere. Trattamento «speciale» per l’India: tariffe al 25% «per contrastare le loro politiche commerciali fastidiose e i loro acquisti dalla Russia». Nuova Dehli è pronta a trattare. Già concluse quelle col Pakistan per una joint venture sul petrolio. E in serata la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt ha detto: «So che i leader stranieri stanno telefonando a Trump perché hanno capito che questa scadenza è concreta»: possibili altre intese all’ultimo minuto.Il fronte più incerto resta l’Europa. Ieri il portavoce della Commissione, Olof Gill, ha laconicamente annunciato: «Ci aspettiamo che gli Usa mantengano la riduzione dei dazi al 15% come concordato. È inoltre chiaro che saranno applicate le esenzioni dal tetto del 15% come delineato dalla presidente Von der Leyen». Dunque se una proroga pare difficile, uno spiraglio per vini e made in Italy forse c’è. Da qui - piaccia o no - bisogna ripartire. Non è andata benissimo - ma la minaccia era di far scattare oggi dazi tra il 25 e il 30% - però poteva andare molto peggio. Basta dare un’occhiata al listino tariffe. Al 10% stanno solo Gran Bretagna e Taiwan, l’Ue è allineata al Giappone e alla Corea del Sud, il Canada dopo l’annuncio di voler riconoscere la Palestina ha ricevuto comunicazione da Donald Trump che i dazi tornano in alto mare («Sarà più difficile raggiungere l’accordo») e dal 25 attuale sono schizzati al 35%, più di quanto applicato alla Cina. Alla Svizzera imposti dazi al 39%, nonostante Trump avesse proposto un'aliquota del 31% ad aprile. Il governo ha dichiarato che i funzionari continueranno a cercare una soluzione negoziata.In Italia continuano gli alti lai. Pasquale Lampugnale, vicepresidente di Confindustria piccola industria, dice che col dazio sull’acciaio al 50% e le altre tariffe generalizzate è a rischio il 20% del nostro export in Usa (circa 13 miliardi di fatturato in meno). Sempre da Confindustria il presidente Emanuele Orsini, che stima un impatto sulle imprese per 22,6 miliardi, chiede un nuovo piano industriale e la possibilità di sforare il Patto di stabilità. Per Coldiretti la «stangata sul made in Italia vale un miliardo» e servono compensazioni. È partito lancia in resta Romano Prodi che se la piglia sia con la Von der Leyen, ricordando che lui nel 2004 fece le multe a Microsoft, e con Giorgia Meloni alla quale rimprovera: «La politica non è farsi umiliare dai potenti.» A stretto giro Fdi ricorda al Professore: «Nessuna lezione da chi ha svenduto l’Italia». E anche sulle multe a Bill Gates c’è da discutere: 20 anni nelle interconnessioni sono un’era geologica e Prodi dovrebbe ben ricordarsi che Irlanda, Olanda e Lussemburgo fanno i bilanci grazie ai favori fiscali che concedono alle Big tech americane e che lui ha aperto le porte dell’economia europea senza dazi alla Cina. Resta il fatto che si è passati dal 30 al 15% (assorbendo anche il 5 di Joe Biden) e che la trattativa è ancora aperta. Anche sul fronte dei dazi - come avrebbe detto Rossella O’Hara in Via col Vento - «domani è un altro giorno».
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
I burocrati dell’Unione pianificano la ricostruzione del palazzo Lipsius. Per rispettare le norme energetiche scritte da loro.
Ansa
La Casa Bianca, dopo aver disdetto il summit a Budapest, apre uno spiraglio: «Non è escluso completamente». Ma The Donald usa il pugno duro e mette nella lista nera i colossi Rosneft e Lukoil. Il Cremlino: «Atto ostile».
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Sganciato il 19° pacchetto, focalizzato sul Gnl. La replica: «Autodistruttivo». Sui beni il Belgio chiede chiarezza.
2025-10-24
«Giustizia»: La voce chiara e forte di chi si sta mettendo in gioco per un sistema giudiziario migliore e più giusto
True
Giustizia affronta il dibattito sulle grandi trasformazioni del diritto, della società e delle istituzioni. Un progetto editoriale che sceglie l’analisi al posto del clamore e il dialogo come metodo.
Perché la giustizia non è solo materia giuridica, ma coscienza civile: è la misura della democrazia e la bussola che orienta il Paese.
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
Per scaricare il numero di «Giustizia» basta cliccare sul link qui sotto.
Continua a leggereRiduci






