2024-10-17
Ecco come si spalancano le porte all’islam
Il vescovo della diocesi di Treviso, Michele Tomasi (Ansa)
Il vescovo della diocesi di Treviso incontra il capo religioso dei musulmani e, anziché provare a convertirlo, si adopera per aiutarlo nell’assalto al nostro Paese. Promettendo la terra di una nazione cristiana a chi crede in un paradiso dove il loro Dio, Allah, non c’è.Nell’islam i paradisi sono due, divisi tra maschi e femmine. Questo già pone un problema per le persone intersessuali, persone che alla nascita, per malformazioni anatomiche ed endocrine, non sono riconoscibili come appartenenti ad alcuno dei due sessi. Si tratta di malformazioni, esattamente come esistono persone che nascono senza il numero corretto di arti e dita (i cosiddetti trans sono, invece, persone che hanno un assetto anatomico ed endocrinologico assolutamente normale).Come certamente saprete, i maschi che muoiono nel jihad, cioè nella guerra armata che Maometto ordina ai suoi seguaci, hanno sicuro accesso al paradiso, un paradiso dove non ci sono le donne della loro vita. I maschi, quindi, non incontreranno mai più per l’eternità le loro madri, le loro figlie e, soprattutto, le loro mogli. L’amore filiale di un figlio per la propria madre e, soprattutto, l’amore coniugale, l’amore di un uomo per la propria sposa, non sono un valore nell’islam: se l’uomo ama troppo sua moglie, se le vuole veramente bene, non può essere felice senza di lei, quindi non può apprezzare un paradiso da cui lei è esclusa. Dato che in paradiso ogni uomo ha a disposizione 72 vergini, la presenza della madre o della sposa sarebbe onestamente imbarazzante.Nel paradiso, quando noi ce lo inventiamo, mettiamo quello che ci manca: gli affamati partenopei vedevano montagne di spaghetti, la piccola fiammiferaia vedeva tepore e tavole imbandite. La descrizione del paradiso islamico ci fa capire le condizioni in cui vivevano Maometto e gli uomini che lo seguivano. Erano soli, senza donne, nel deserto, spesso affamati, con l’acqua scarsa, preziosa e contata; a volte era sporca, a volte mancava del tutto. Vivevano sotto un sole implacabile. Il paradiso degli islamici è fatto, quindi, di luoghi ombrosi, verdissimi, con zampilli ovunque. È un paradiso fatto a misura di gente che faceva la guerra in mezzo a un deserto. La guerra non è solo paura e dolore, il dolore delle ferite, il dolore delle fratture, il dolore della gangrena. La guerra è fatica, la fatica di trascinarsi anche quando non ne puoi più ma devi continuare ad avanzare, la fatica di sostenere il peso delle armi anche quando il braccio è talmente stanco da non riuscire a sollevarlo.Il sogno del paradiso islamico è, quindi, quello di stare sdraiati all’ombra e al fresco, dove l’acqua zampilla. E poi è il sogno di uomini non solo senza donne, ma con un’ossessione sessuale. Un uomo senza donne sogna una donna, una donna magnifica di cui innamorarsi, di cui essere felice; se è molto frustrato sogna un bordello tutto per lui, che è sicuramente una cosa divertente, un sogno comprensibile per un maschio, ma un giorno o due, facciamo tre settimane, mezzo secolo al massimo. Che cosa manca al paradiso dei musulmani? Manca la madre, manca la sposa, ma soprattutto manca Dio. Allah nel Corano non c’è, non c’è da nessuna parte. Allah è una parete nera da cui escono ordini. Non si sa come è fatto. Non si sa perché ha creato il mondo. E manca nel paradiso. Nel paradiso islamico non c’è la contemplazione di Dio. Evidentemente a chi ha creato l’idea di questo paradiso mancava acqua, ombra, fresco, riposo e donne. Evidentemente a chi ha creato questo paradiso non interessava la contemplazione di Dio, al punto da non desiderarla. Il paradiso delle donne è composto solo da donne: non ci sarà il marito, non ci sarà il figlio perso per sempre al momento della morte. Le donne si ritroveranno tutte giovani e tutte belle. E vergini. Vergini? A che pro? Ma che senso ha in un luogo dove non solo non c’è Dio, ma non ci sono maschi, non c’è niente? Se l’imene si riforma, scompare anche il ricordo del marito e dei figli. Il paradiso dei maschi ha 72 donne ma ha anche una vasta disponibilità da «fanciulli» bellissimi vestiti di verde.Se analizziamo le righe con cui un cronista burocrate turco contemporaneo descrive la presa di Costantinopoli, abbiamo la netta impressione che i fanciulli non abbiano solo uno scopo decorativo: «Quando per il favore divino la fortezza fu espugnata, il nemico perdette ogni forza e fu incapace di reagire. Il popolo fedele non incontrò più ostacoli e pose mano al saccheggio in piena sicurezza. Si potrebbe dire che la vista della possibilità di poter fare bottino di ragazzi e belle donne devastasse i loro cuori e i loro animi. Trassero fuori da tutti i palazzi, che uguagliavano il palazzo di Salomone e si avvicinavano alla sfera del cielo, strappandole dai letti d’oro, dalle tende tempestate di pietre preziose, le beltà greche, franche, russe, ungheresi, cinesi, khotanesi», cioè in breve «le belle dai morbidi capelli, uguali alle chiome degli idoli, appartenenti alle razze più diverse», e i «giovinetti» che suscitavano turbamento, incontri paradisiaci.Questa è la descrizione della presa di Costantinopoli da parte di Maometto II. Il brano è tratto da La storia del conquistatore di Tursun Beg, vale a dire che è il racconto ufficiale, quello su cui i bambini turchi studiano la storia. Hanno signorilmente sorvolato sui bambini decapitati nella chiesa di Santa Sofia insieme alle loro madri, su tutti i crocifissi e gli impalati: si sono limitati a un «Abbiamo stuprato le donne e i ragazzini».Queste righe mi servono per esprimere tutta la mia disistima al vescovo di Treviso che sta facendo tutto il possibile per favorire un’invasione che pagheremo noi e i nostri figli. Questi vescovi calpestano il Vangelo perché non evangelizzano, con convertono i musulmani, non ci provano nemmeno. Negano agli islamici il bene più grande, Gesù Cristo, e in cambio danno loro una terra che non è la loro. È la nostra. «Quelli tiepidi li vomiterò dalla mia bocca», è scritto nell’Apocalisse. Un vescovo che incontra un imam e non tenta nemmeno di convertirlo ma gli garantisce aiuto per l’invasione di un Paese cristiano fa parte solo dei tiepidi?
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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