2018-10-24
Ecco che cosa succede quando si critica il politicamente corretto
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Martedì scorso sulla Verità ho pubblicato un articolo dedicato alla linea di cosmetici lanciata da Rihanna, Fenty Beauty. La cantante, nel presentare i nuovi prodotti, ha battuto e ribattuto sul tasto dell'inclusione: «Fenty Beauty è stata creata per tutti», ha spiegato. «Per donne di tutte le carnagioni, personalità, caratteri, culture e razze. Volevo che chiunque si sentisse incluso. Questa è la vera ragione per la quale ho creato questa linea». Nell'articolo mi sono stupiti del fatto che Rihanna parlasse di «donne di tutte le razze». Un mantra che ritorna spesso nell'eloquio progressista recita che le razze non esistono. Ma se suddividere gli esseri umani in razze è, appunto, da razzisti, perché Rihanna – notoriamente progressista – può farlo? Di fronte a questa contraddizione, ho scritto un commento sarcastico: «In questo caso le razze esistono» (testuale).Il mio articolo conteneva però anche altre riflessioni. Mi sono domandata se Fenty Beauty apportasse effettivamente qualcosa di nuovo nel mondo della cosmesi. Davvero con la sua «bellezza per tutti» colmava un vuoto? Davvero tutte le linee cosmetiche precedenti non erano «inclusive» e mancavano di tonalità scure? Ho fatto ricerche, ho aggiunto la mia esperienza di donna che acquista fondotinta da quando ha 16 anni, e ho dato una risposta: no, Fenty Beauty non aggiunge niente in termini di offerta suddivisa per tipo di incarnato (chiarissimo, chiaro, medio, scuro, scurissimo) al makeup di già esistente e venduto in tutto il mondo da decenni. Del resto – ho notato nell'articolo – la stessa Rihanna, anche prima di lanciare la sua linea di cosmetici, è sempre apparsa sul palco truccata, come ogni donna afroamericana e africana di pubblico rilievo. E se ti puoi truccare, vuol dire che i colori per te esistono, altrimenti non potresti farlo. In ogni caso, per chi nutrisse dei dubbi, facciamo qualche esempio concreto. Se prendiamo un marchio di cosmetici molto diffuso come Kiko, possiamo appurare che il suo fondotinta Smart è disponibile in 21 tonalità, più della metà delle quali sono adatte a pelli non chiare. Skin Tone Foundation, fondotinta fluido illuminante sempre di Kiko, è disponibile in 39 tonalità, più della metà sono adatte a pelli non chiare. E per «non chiare» non intendo caucasiche, intendo dal beige caldo all'ebano. Se compilassi l'elenco di tutti i fondotinta esistenti sul mercato contemporaneo, e delle bb cream, e dei correttori, e delle ciprie, che permettono a qualsiasi tipo di pelle di truccarsi scriverei fino all'anno 3000. Nell'articolo in questione, spiegavo anche che Fenty Beauty è un progetto di Kendo Brands, cioè la società che sviluppa marchi cosmetici per Lvmh, ossia Louis Vuitton Moët Hennessy. Si tratta della multinazionale francese di prodotti di lusso, nata nel 1987 dalla fusione tra Louis Vuitton e Moët, che possiede infiniti marchi luxury (e, in quanto tali, «non inclusivi» per definizione, in quanto escludono i poveri). La stessa corporation possiede anche Sephora, dove la linea Fenty Beauty viene distribuito in esclusiva per l'Italia. Detto ciò, giungevo alla conclusione che Rihanna e i suoi collaboratori avessero utilizzato l'inclusività come messaggio commerciale all'insegna del politicamente corretto. Il mio pezzo è uscito sul giornale con questo titolo: «La guerra fra razze ora si combatte al reparto dei prodotti di bellezza. I fondotinta "inclusivi" firmati da Rihanna e da Dior, le modelle "imperfette" scelte per spot e sfilate. Ormai il mondo della moda ha un nuovo feticcio: la difesa delle minoranze. Che cela un ricco business». C'era anche un richiamo in prima pagina: «La guerra delle minoranze diventa un business anche nella cosmetica». Ed è qui che comincia una storia che vale la pena di raccontare, perché piuttosto emblematica di come funzionano le cose al giorno d'oggi. La pagina con il mio articolo è stata fotografata e pubblicata su Instagram da tale Grace on your dash, il cui profilo ha 167.000 follower. A corredo della foto c'era uno scritto piuttosto lungo, che riporto integralmente. «Guerra tra razze? Il nuovo feticcio è la difesa delle minoranze? Modelle "imperfette" come se il beauty fosse rivolto solo ad un pubblico femminile e la perfezione esistesse realmente. How dare you? Quindi Rihanna sarebbe di una razza diversa rispetto a Bella Hadid o viceversa? Fatemi capire… Perché per quanto ne so io la razza umana è una sola, semmai sono le etnie che sono differenti. Ovviamente la mia parola non ha valore finché la questione non diventa d'interesse internazionale, allora poi sì che arrivano le scuse pubbliche: - in realtà volevamo dire che - no ma avete capito male - ci scusiamo tuttavia - ci dispiace ma. E le solite altre giustificazioni sterili all'italiana per cercare di rinnegare ciò che è stato scritto e di riparare l'irreparabile. Cari giornalisti le parole si devono ben ponderare prima di denunciarle o scriverle, perché con queste insinuazioni apparentemente innocue in passato sono state sterminate migliaia di persone e schiavizzate solo per dei connotati, tratti somatici differenti. Da decadi l'industria cosmetica ha deciso che io e altri acquirenti apparteniamo a una categoria inferiore, se non veniamo inclusi nei primi lanci dobbiamo capire perché prima ci sono i clienti caucasici, perché per qualche strano motivo qualcuno ha deciso che vengono prima alcune persone rispetto a delle altre. Poi però quando ci sono brand come Fenty Beauty che provano a risolvere una mancanza, tutti a copiare e a correre ai ripari pur di non perdere soldi. Vorrei fare un appello alle aziende, oltre i fondotinta, ci servono anche le ciprie, i bronzer, i correttori, e le polveri per il contouring. Perché non lanciate prodotti che ancora non sono reperibili/disponibili in quantità sufficienti per l'offerta invece di fare la gara a chi ha più colori di fondotinta? Ai giornalisti invece consiglio di informarsi adeguatamente sul termine "razza". Non esiste una razza umana superiore ad un'altra, siamo tutti uguali, le guerre sono già state fatte per raggiungere l'uguaglianza, vogliamo tornare indietro?». Poco dopo, Grace on your dash ha condiviso un nuovo post su Instagram. Oltre all'immagine della prima pagina della Verità c'era una sua foto. La signora si presentava con mezza faccia scura e mezza più chiara. Il suo testo (che traduciamo dall'inglese) era il seguente: «Per i giornalisti italiani marchi come Fenty Beauty e Dior Makeup stanno producendo inutili tonalità di fondotinta. Invece io dico grazie a questi marchi che mi includono, perché se non fosse per lo sembrerei un inquietante fantasma bianco». Peccato che qualcosa non torni. Già l'8 agosto del 2013, infatti, Grace on your dash pubblicava post su Instagram in cui appariva truccata con un fondotinta perfettamente consono alla sua pelle. Invitava i followers a guardare il tutorial sul suo canale Youtube, aggiungendo, tra gli altri, l'hashtag #blackgirls. Fenty Beauty ancora non c'era, ma la signora in questione era truccata, e non certo con fondotinta per pelli bianche. Già questo basterebbe a chiudere la questione. Eppure, dopo aver pubblicato le sue critiche al mio articolo, Grace on your dash ha invitato i suoi numerosi follower a commentare: «Se anche voi trovate questo articolo sterile, commentate con questa emoji». Ovviamente, i commenti sono arrivati, e pure in massa. Il primo post di ne ha raccolti 666, il secondo 1010. Tutti estremamente violenti verso la sottoscritta e il giornale. Un assalto in piena regola. Nessuno dei commentatori si è peritato di leggere per intero il mio articolo. Si sono limitati a offendere e a muovere accuse di razzismo. Si sono indignati per l'utilizzo della parola <razze>, senza rendersi conto che a parlare di <razze> era proprio Rihanna. Insomma, si è scatenato l'inferno. Onde replicare alle accuse, ho pubblicato su Instagram la foto del mio articolo completo: «Il mio pezzo di oggi sul make up inclusivo che già esisteva, è sempre esistito», ho scritto. Bene, Instragram lo ha rimosso dal mio profilo, sostenendo che istigasse all'odio razziale. Nell'articolo e nei miei commenti non c'era nemmeno mezza parola che potesse essere considerata «razzista», eppure il social network ha deciso di eliminare il mio pensiero. Non solo: per qualche ora non sono nemmeno riuscita ad accedere a Instagram. Mentre la mia voce veniva silenziata, quelli che mi accusavano potevano continuare liberamente ad attaccarmi. Mi hanno riempito di post insultanti. Non contenti, si sono scatenati pure sui miei profili Facebook e Twitter. Per farvi capire il tono dei commenti, ne riporto uno soltanto (gli altri sono praticamente tutti uguali): «Razzista e giornalista di merda vergognati a parte che sei bruttissima come la fame». Me lo scrive un uomo. Un uomo antirazzista, un uomo evidentemente impegnato a emendare il male dal mondo, che però non si sente sessista a darmi della "bruttissima come la fame". Un uomo che non ha nessun elemento per accusarmi di razzismo, eppure lo fa. Non se la prende con Rihanna che ha parlato di «razze», ma con me. Perché ho osato dire che quaranta tonalità di fondotinta sono un po' eccessive, viste che esistono già marchi che di tonalità ne offrono venti (mica poche, quindi). Nonostante tutto, ho cercato con tutte le forze di dialogare con chi mi assaltava. Ho provato a rispondere ai post di Grace on your dash, ma invano, perché commenti, a quel punto, erano chiusi. Ho provato a scriverle su Twitter, inviandole due commenti, illustrandole, punto per punto, le sue contraddizioni. Nessuna risposta. Nessuna parola, nemmeno una sillaba di rettifica. Scuse, poi, figuriamoci. Del resto, è evidente che a lei e a tanti altri la verità non interessi. Sapete perché ho deciso di raccontarvi questa storia che mi riguarda? Non per atteggiarmi a vittima (come invece fanno tanti dei miei accusatori). Ma per mostrarvi il meccanismo terribile che si è innescato. Sono stata aggredita via social network con una violenza inaudita. Sono stata accusata di razzismo da una marea di persone che nemmeno avevano letto ciò che avevo scritto. Sono stata silenziata da un social network, senza avere la possibilità di replicare agli attacchi, senza poter esprimere le mie idee. Già, perché se esprimi un'opinione che devia dal pensiero unico, questo è il destino che ti attende. Vieni accusato di razzismo, di fascismo, anche se non sei razzista né fascista. Se avessi scritto che solo le donne bianche hanno diritto a truccarsi, certo, avrei espresso un'opinione razzista. Ma non l'ho fatto (per altro, se lo avessi fatto, la Verità non avrebbe certo pubblicato il mio pezzo). Mi sono limitata a dire che dietro il messaggio <inclusivo> di Rihanna si nascondono ragioni di marketing. Ho notato che di tonalità di fondotinta ce ne sono già tantissime, dunque non è vero che, fino ad oggi, le persone di colore non hanno potuto truccarsi. Tanto è bastato per scatenare il linciaggio online.Intendiamoci: io so di non essere razzista, non mi serve l'assoluzione del tribunale dei giustizieri della notte dei social network in assenza di crimine da vendicare. Ma ogni componente di questo branco sa di avermi insultato gratuitamente e a vanvera?
Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo in occasione del suo incontro con il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)