2024-12-17
No a salari bassi e austerità. Adesso Draghi condanna il modello che ci ha imposto
L’ex governatore, che nel 2011 dettò all’Italia la ricetta del rigore, spiega che non si può vivere di solo export. I grandi media lo applaudono come allora, senza farsi domande.Quello che distingue davvero un grande banchiere e un sommo statista, un «Elevato» come avrebbe detto Beppe Grillo prima di genuflettersi misteriosamente al governo di Mario Draghi, è la potestà di cambiare idea (come tutte le persone intelligenti), senza che nessuno osi farglielo non solo pesare, ma neppure notare. Ed è proprio Draghi, in queste ore, a offrire un saggio di quella che si potrebbe definire la legge dell’oracolo cangiante, autorevole a prescindere, sempre e comunque. Domenica ha partecipato a un simposio parigino e in un colpo solo ha demolito l’austerità e il consolidamento fiscale che ha predicato (e imposto) per anni, da governatore di Bankitalia, da capo della Bce e infine da premier dell’Italia. Ricordandosi a 77 anni di essere stato allievo di Federico Caffè, ha spiegato che l’Europa non può più campare «su salari bassi ed export» e ora deve puntare sugli investimenti pubblici. I principali giornali, gli stessi che lo hanno adorato per anni, hanno raccolto le parole di Draghi come nulla fosse. «Draghi contro l’austerità: non si vive di solo export, in Europa salari troppo bassi», riferiva ieri Repubblica. Il Corriere sceglieva toni solitamente riservati solo al Quirinale: «Draghi ammonisce l’Europa: “Il modello economico basato su salari bassi non è più sostenibile”». Il Sole 24 Ore registrava compunto come sempre: «Ue, Draghi: “Prima la riforma dei mercati, poi il debito comune”». La Stampa degli Agnelli Elkann sceglieva il registro serio serio: «Draghi avverte l’Ue: “Modello di crescita non sostenibile con salari troppo bassi”». Non bastano i salari pieni, figurarsi quelli falcidiati da anni dalla cassa integrazione come a Mirafiori. Quello che ha illustrato l’ex presidente Bce al simposio annuale del Cepr di Parigi, un think tank europeista di politica economica e fiscale, è un programma da neokeynesiano puro. L’Ue dovrebbe «emettere debito congiuntamente» e creare così «uno spazio fiscale aggiuntivo da utilizzare per limitare i periodi di crescita inferiore al potenziale». Economisti come Giulio Tremonti o Stefano Fassina lo chiedono da un quarto di secolo, ma caso strano ora che la Germania soffre di «una crescita inferiore al potenziale» non è più un’eresia parlarne. Inoltre, continua Draghi da Parigi, bisogna migliorare anche qualitativamente la composizione della politica fiscale, «aumentando gli investimenti pubblici». L’ex premier delle larghe intese da Pnrr (la scusa con la quale il Colle e Matteo Renzi rovesciarono il secondo governo Conte) ha anche spiegato che, dato l’invecchiamento della nostra società e la nostra bassa produttività, «tra 25 anni l’economia avrà le stesse dimensioni di oggi e ciò significa un futuro di entrate fiscali stagnanti e di avanzi di bilancio per evitare che il rapporto debito/Pil aumenti». Quindi servono riforme, unificazione dei mercati dei capitali e maggiori investimenti pubblici, per fare in modo che «l’Europa rimanga inclusiva, sicura, indipendente e sostenibile». Già solo in questi quattro aggettivi, scelti con la consueta cura, c’è tutta la svolta di Draghi. A cominciare dall’appello all’inclusione. E il valore dell’indipendenza, che con il globalismo non va tanto d’accordo, non è più appannaggio soltanto di conservatori e liberali. Infine, ecco l’avvertimento definitivo: «Sarebbe rassicurante credere che questi problemi non siano così gravi come sembrano e che, essendo un continente ricco, l’Europa possa entrare in una fase di declino gestito e confortevole. Ma in realtà non c’è nulla di confortevole».Quand’era capo del governo, Draghi ogni tanto ha ammesso che in Italia i salari erano troppo bassi, ma senza mai liberarsi dalla gabbia ideologica tedesca dell’inflazione come male assoluto. Il 9 giugno 2022, sempre da Parigi, diceva: «È essenziale che i salari recuperino il loro potere d’acquisto, senza però creare la spirale prezzi-salari» che avrebbe fatto impennare i tassi d’interesse. Che è un po’ come se un genitore dicesse a un figlio adolescente: «Ti aumento un po’ la paghetta, se però non la spendi tutta». Solo tre anni prima, il 7 marzo 2019, da capo della Bce ammoniva: «L’andamento dell’inflazione di fondo rimane generalmente attenuato, ma le pressioni sul costo del lavoro si sono rafforzate». I tassi erano azzerati e l’inflazione nell’Eurozona stava all’1,5%, per dire «la spirale». E nel ventennio precedente, da Via Nazionale a Francoforte, Draghi non aveva fatto che chiedere a qualunque governo di aumentare le tasse, ridurre il deficit, evitare la spesa in deficit, contenere i salari, aumentare la produttività. Con la sua politica monetaria alla guida della Bce, di fatto ha consentito alla Germania di abbassare gli stipendi e aumentare a dismisura le esportazioni all’interno della stessa Eurozona, agevolando un odioso mercantilismo a scapito dei cosiddetti partner. Con le idee rigoriste dello stesso Draghi, nel 2011 l’Italia avrebbe dovuto quasi fallire e si è affidata ai tagli di Mario Monti, dopo una memorabile lettera della sua Bce che di fatto mise al muro il governo Berlusconi. Ora questo modello non funziona, ma implicitamente Draghi ne dà la colpa ai governi. Chissà, forse se avesse cambiato idea prima, non si sarebbe giocato l’elezione a presidente della Repubblica, nel giugno del 2022.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.