2019-06-07
Dopo il regalo del Pd su Fincantieri i cugini volevano fregarci ancora
Quando le trattative erano riservate, l'Eliseo non aveva eccepito. Ma una volta svelato l'accordo, ha preteso il controllo del colosso con solo il 15% di azioni. Però gli Agnelli hanno mostrato tigna, mica come Paolo Gentiloni... Commerzbank ci riprova. Ora vuole sposarsi con gli olandesi di Ing. Fallito il matrimonio con Db, l'istituto partecipato dal governo tedesco punta ai vicini. E i problemi di concorrenza? L'Ue dorme. Torino a caccia di elettrico guarda a coreani e cinesi. L'aggiornamento tecnologico «verde» è vitale. Esclusa Peugeot, i partner potenziali restano Hyundai e Geely. Lo speciale comprende tre articoli. Con una sola mossa compiuta con il favore delle tenebre, Emmanuel Macron ha fatto filotto. La sua scelta di pretendere un accordo tutto sbilanciato a favore dello Stato francese - persino contro i legittimi interessi di Renault - ha fatto saltare le nozze. Fca si è tirata indietro, mettendo nero su bianco che non c'erano le condizioni politiche per un matrimonio paritetico. Il passo indietro improvviso di John Elkann è per Macron un enorme smacco. In futuro non potrà più presentarsi ai consessi internazionali spacciandosi come il presidente business-friendly. La maschera di finto difensore del mercato è caduta una volta per tutte. Prima di rendere pubblica l'intenzione della famiglia Agnelli di proporre un matrimonio alla casa automobilistica di Parigi, è inutile specificare che la controparte politica era stata sondata da Fca e informata dei pilastri principali dell'accordo. La bozza del memorandum prevedeva da subito una ripartizione paritetica del potere e delle leve manageriali. Da subito, il ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, ha incoraggiato il deal. L'ha sostenuto. Ma quando il testo è divenuto di dominio pubblico, Parigi ha sterzato e ha posto una serie di condizioni che prima non ci risulta avesse avanzato. Ha chiesto non tanto posti in cda, ma ha fatto capire di voler subentrare nelle decisioni del board di Renault in modo da rendere il proprio 15% di quote l'unica leva di comando. Quando il governo francese ha capito che a Torino non c'era intenzione di cedere a richieste troppo sbilanciate, ha tirato in ballo i giapponesi. Le Maire dopo aver dichiarato alla stampa tedesca di essere favorevole alla fusione (serata di mercoledì) ha fatto sapere che senza il parere favorevole di Nissan (che con Renault ha una stretta partnership) l'operazione non poteva andare in porto. Fatto di per sé non previsto nell'accordo tra francesi e giapponesi, ma soprattutto smentito ieri pomeriggio da Nissan, che ha rilasciato una nota per far sapere che «ci stavamo approcciando in modo positivo all'operazione». Doppia sberla. Il risultato è che la Francia ha sbattuto contro il muro e anche se in futuro si tornasse a discutere di matrimonio per il top management di Renault sarà tutto più complicato. Non solo. Coloro tra Pd, competenti e sostenitori di + Europa che per mesi hanno preso l'effigie di Macron e l'hanno sbandierata come simbolo di liberismo ed europeismo ora saranno tenuti a definire Macron un nazionalista. Pure senza attributi. Infatti, nemmeno ha voluto metterci la faccia. Ha mandato avanti Le Maire, che a sua volta passerà alla storia per essersi rimangiato la parola due volte. Fincantieri docet. Al contrario Matteo Salvini, che dalla partita si è tenuto fuori e si è limitato a dirsi favorevole, ha ricevuto un dono inaspettato. A chi lo accuserà di essere uno sporco sovranista amante delle barriere potrà limitarsi a mostrare un santino di Macron. Ne esce male pure la classe dirigente francese, che è sempre riuscita a gestire la propria impronta statalista nascondendola dietro a una patina di finte regole. Quelle stesse norme europee che ieri sono capitolate assieme al tentativo di fusione. Adesso la figuraccia è in mondo visione. Non c'erano grandi dubbi sul fatto che fare gli europeisti con il fondo schiena degli altri fosse fin troppo comodo. Si era già capito ai tempi della trattativa con Fincantieri. Anche in quell'occasione lo Stato francese aveva fatto marcia indietro. Gli accordi di base erano già stati presi, eppure è stato fatto di tutto per evitare che al nostro colosso della cantieristica finisse il controllo di maggioranza di Stx. Tant'è che l'operazione è ancora in un limbo che non promette nulla di buono. Macron se ne è infischiato della reciprocità europea. Solo che due anni fa ha trovato come interlocutore un presidente del Consiglio come Paolo Gentiloni, che ama più il francese dell'italiano. L'altro ieri notte invece Fca ha reagito in modo diverso. Ha sbattuto la porta in faccia a Parigi e Macron è riuscito in una impresa non facilissima. Ha trasformato John Elkann, che porta sulle sue spalle la difficile eredità di casa Agnelli, in un manager addirittura simpatico, quasi un italiano agli occhi degli italiani. Lui, che fino a qualche tempo fa è sempre stato un passo indietro rispetto a Sergio Marchionne e al fratello Lapo, ha assestato un colpo da maestro. Anche solo d'immagine. Certo, Elkann difende i suoi interessi, ma con quel comunicato così frontale contro il governo francese si è guadagnato pure la patente di difensore del mercato. Chi l'avrebbe mai detto? Eppure non è il solo «successo» che l'arroganza dei francesi è riuscita a ottenere. Macron ha bucato le gomme all'Europa. Ora Bruxelles avrà il suo bel da fare a spacciare le bufale sull'europeismo a tutti i costi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dopo-il-regalo-del-pd-su-fincantieri-i-cugini-volevano-fregarci-ancora-2638720594.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="commerzbank-ci-riprova-ora-vuole-sposarsi-con-gli-olandesi-di-ing" data-post-id="2638720594" data-published-at="1757857333" data-use-pagination="False"> Commerzbank ci riprova. Ora vuole sposarsi con gli olandesi di Ing Si rafforza la pista olandese per Commerzbank, il colosso bancario tedesco che ha cercato inutilmente di sposarsi con Deutsche Bank. Il governo tedesco, primo azionista con il 15,5% del capitale, ha avviato sondaggi con quello olandese per verificare la possibilità di un matrimonio che dovrebbe consolidare il rilancio di Commerzbank e creare un «campione» europeo. L'opzione è stata discussa a Berlino nel mese di maggio dal ministro delle finanze olandese, Wopke Hoekstra, e dal vice ministro delle finanze tedesco, Joerg Kukies, secondo indiscrezioni raccolte dall'agenzia Bloomberg. Lo scambio di vedute, ancora in uno stadio preliminare, avrebbe coinvolto, tra le altre cose, la sede della nuova banca, che il governo tedesco vorrebbe basare a Francoforte. «Il matrimonio», recita l'agenzia, «se ci saranno le condizioni, non dovrebbe comunque celebrarsi nel 2019 in quanto la Germania attende prima dei progressi nella regolazione e nell'integrazione bancaria europea». L'interesse di Ing non è un mistero. Lo stesso amministratore delegato di Commerzbank, Martin Zielke, nel corso dell'assemblea dello scorso 22 maggio, aveva detto di aver incontrato il suo omologo di Ing, Ralph Hamers, due volte nel 2018 anche se non ne è nata una trattativa. Il gruppo del Conto Arancio, lo scorso 25 marzo, aveva scelto di tenere il suo investor day a Francoforte aprendo alla possibilità, secondo il mensile tedesco Manager Magazin, a spostare in Germania la sede e a tagliare meno posti di lavoro di quanti ne sarebbero saltati in caso di fusione tra Deutsche Bank e Commerzbank. L'opzione Ing segue il fallimento della fusione con Deutsche Bank, sponsorizzata dal ministro delle finanze, Olaf Scholz. Che ora sembra aver virato verso una fusione cross-border: «Abbiamo bisogno di grandi banche europee che operino in Germania», aveva detto lo scorso 30 aprile. I titoli, dopo una buona reazione in Borsa, hanno chiuso in calo, in linea con il settore. Commerzbank ha perso l'1,4% e Ing l'1%. I dettagli di cronaca ci riportano a una sproporzione di fondo. La commissaria Ue alla Concorrenza, Margrethe Vestager, non ha mai alzato i toni contro le scelte del governo tedesco che alla faccia delle norme Ue sul sistema bancario ha sempre voluto pigiare il piede sull'acceleratore del salvataggio di Stato. O almeno del tentativo di coordinare a livello politico ciò che dovrebbe essere di competenza di aziende private. Esattamente in scia rispetto ha quanto la Francia dimostra di poter fare indisturbata. D'altronde Berlino è riuscita a ottenere persino di sfilare alla vigilanza Ue tutto il sistema delle banche dei Lander. Sportelli molto intrecciati alla politica locale. Noi invece abbiamo avuto Matteo Renzi che ha fatto la sua devastante riforma delle Popolari. Gianluca Baldini <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dopo-il-regalo-del-pd-su-fincantieri-i-cugini-volevano-fregarci-ancora-2638720594.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="torino-a-caccia-di-elettrico-guarda-a-coreani-e-cinesi" data-post-id="2638720594" data-published-at="1757857333" data-use-pagination="False"> Torino a caccia di elettrico guarda a coreani e cinesi Sfumato, almeno per ora, il matrimonio con Renault, per Fca l'ipotesi di nuove alleanze resta viva. Anzi, di più: per molti osservatori il futuro del gruppo italo-statunitense non può prescindere da un accordo industriale con un'altra realtà del settore automobilistico, che possa garantire a Fca la possibilità di sviluppare i nuovi modelli sui quali puntava lo scomparso ad Sergio Marchionne e di rilanciarsi sul fronte delle auto ibdride ed elettriche. Che a Fca serva un partner è opinione comune tra gli analisti finanziari, che ieri non hanno dato una lettura positiva alla notizia del ritiro dell'offerta di fusione paritetica con Renault. Come ha riferito un broker a Reuters, «domande sulla necessità da parte di Fca di trovare un partner e sulla sua posizione negoziale potrebbero emergere». E se un banker specializzato nel settore ha tagliato corto, spiegando che «ci sono poche alternative per Fca: la mia opinione è che dovrà riaprire la trattativa con Renault», Equita Sim ha provato a ipotizzare qualche nome alternativo. «Se qualcuno è interessato riteniamo che possa manifestarsi in tempi brevi», hanno spiegato gli analisti della società, che comunque ritengono «improbabile che possa proporsi Psa (Peugeot Citroen, ndr) in quanto lo scoglio politico francese si ripresenterebbe. Sullo sfondo restano Hyundai e GM». In particolare la casa coreana presenterebbe un profilo interessante per quanto riguarda le tecnologie relative all'auto elettrica e alla guida autonoma. Da tener presente, come outsider, anche il gruppo Geely, fra i principali produttori privati di auto della Repubblica Popolare Cinese, che nel 2018 ha già messo un piede nel mercato europeo comprando Volvo da Ford. Tecnologie che un'alleanza come quella con Renault - che già ha in corso una partnership con Nissan e Mitsubishi - avrebbe messo a disposizione del nuovo gruppo, e quindi di Fca. Con la fusione Fca-Renault sarebbe diventato il terzo produttore mondiale di auto, con 8,7 milioni di veicoli all'anno, con la possibilità di superare i 15 milioni considerando anche Nissan e Mitsubishi. Al centro dei piani del gruppo nato dal matrimonio, come aveva spiegato la stessa Fca in una nota, ci sarebbe appunto stata l'elettrificazione, con la nuova società che sarebbe diventata «leader mondiale nelle tecnologie elettriche», anche grazie all'esperienza decennale di Renault ne settore, mentre Fca avrebbe portato in dote la sua expertise nel segmento della guida autonoma, grazie «alle partnership con Waymo, Bmw e Aptiv». Con l'alleanza, quindi, il gruppo guidato da Mike Manley intendeva recuperare terreno sul fronte della mobilità elettrica, un segmento al quale finora aveva destinato meno sforzi dei concorrenti - come Volkswagen, che ha annunciato investimenti sulle e-car per 30 miliardi di euro al 2023 - e che invece sempre più studi considerano cruciale per il futuro del settore automobilistico. Come spiega il sito specializzato Qualenergia, infatti, secondo le stime più «aggressive» della International Energy Agency (Iea) nel 2030 le vendite annuali di mezzi elettrici saranno pari a 43 milioni di veicoli, con 250 milioni di mezzi - non solo auto, ma anche furgoni, bus e camion - in circolazione nel mondo. Per quanto riguarda le sole auto, invece, se si sommano quelle ibride-ricaricabili e quelle totalmente elettriche le previsioni parlano di 212 milioni di veicoli in circolazione tra una decina d'anni. Un balzo notevole rispetto alla situazione attuale: a fine 2018, infatti, le auto elettriche in circolazione erano poco più di 5 milioni, con vendite annuali pari a poco più di due milioni e una quota di mercato totale del 2,2%. Chiara Merico