2025-11-05
Musulmano, pro Pal, filo Lgbt. Il neo sindaco di New York è l’evoluzione finale del woke
Dalle politiche sociali ai limiti dell’esproprio alla città come «santuario» per i gay Mamdani rappresenta la radicalizzazione dei dem. Ma anche una bella granaDa più parti, la vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni municipali di New York City è stata descritta (se non addirittura salutata) come uno «schiaffo» a Donald Trump. Ora, a prima vista, le cose sembrerebbero stare effettivamente così: il prossimo primo cittadino della Grande Mela, che entrerà in carica a gennaio, sembra quanto di più lontano possa esserci dal presidente americano. Tanto che, alla vigilia del voto, lo stesso Trump aveva dato il proprio endorsement al suo principale sfidante: il candidato indipendente, nonché ex governatore dem dello Stato di New York, Andrew Cuomo.Esponente del Partito democratico e affiliato ai Democratic Socialists of America, Mamdani si è nettamente affermato alle elezioni di martedì (con circa nove punti di vantaggio sullo stesso Cuomo) e si avvia a diventare il primo sindaco musulmano, oltreché millennial, della storia di New York. Un profilo, il suo, che ha spostato il Partito democratico cittadino drasticamente a sinistra, soprattutto se si pensa al fatto che, alla guida della Grande mela, Mamdani sarà il successore di un dem destrorso, come Eric Adams. Durante la campagna elettorale, il vincitore di martedì ha proposto il congelamento degli affitti, la creazione di supermercati comunali, l’aumento dell’imposta sulle imprese, l’introduzione di protezioni da «città santuario» per le persone Lgbt e l’utilizzo gratuito dei bus. Alex Soros, il figlio dello speculatore George, si è affrettato a fargli gli auguri sui social. Mamdani ha anche bollato come «fascismo» la stretta contro l’immigrazione irregolare. Un notevole scalpore hanno inoltre suscitato le sue posizioni sulla questione mediorientale: Mamdani ha accusato Israele di attuare un genocidio a Gaza e si è anche impegnato a far arrestare Benjamin Netanyahu qualora dovesse rimettere piede a New York (e infatti, ieri, il ministro israeliano per gli Affari della diaspora, Amichai Chikli, ha esortato gli ebrei newyorchesi a emigrare, definendo il sindaco eletto un «sostenitore di Hamas»).Non solo. Durante il suo discorso per la vittoria, Mamdani ha attaccato direttamente Trump. «Qui crediamo nel difendere coloro che amiamo, che tu sia un immigrato, un membro della comunità trans, una delle tante donne nere che Donald Trump ha licenziato da un incarico federale», ha dichiarato. «New York rimarrà una città di immigrati, una città costruita da immigrati, alimentata da immigrati e, da stasera, guidata da un immigrato», ha aggiunto, riferendosi al fatto di essere nato in Uganda. «Quindi, presidente Trump, mi ascolti quando dico questo: per arrivare a uno qualsiasi di noi, dovrà passare attraverso tutti noi», ha proseguito, citando anche Eugene Debs, che, negli anni Venti, fu il presidente del Socialist Party of America.Il presidente, dal canto suo, ha dichiarato che «abbiamo perso un po’ di sovranità a New York, ma ce ne occuperemo, non preoccupatevi. La gente comincerà a lasciare New York, fuggiranno dal regime comunista» di Mamdani. Ha anche aggiunto che «Miami diventerà il rifugio anche per chi scappa da New York».Insomma, la vulgata che vede nella vittoria di Mamdani uno «schiaffo» a Trump sembrerebbe fondata. Eppure non è detto che le cose stiano così. Cominciamo col dire che politicamente la Grande Mela rappresenta da sempre un ecosistema a parte rispetto al resto degli Stati Uniti: raramente i politici di New York hanno avuto successo a livello nazionale. In secondo luogo, l’ascesa di Mamdani va inquadrata in una cornice più ampia. Dopo la vittoria di Trump dell’anno scorso, il Partito democratico si è ritrovato marginalizzato, oltre che sempre più spaccato al suo interno tra un’ala woke e un’ala che chiede maggior pragmatismo per allontanarsi dai deliri dell’ultraprogressismo: ultraprogressismo di cui Mamdani rappresenta, se vogliamo, un salto di qualità. E infatti la sua ascesa ha spaccato il Partito democratico: il diretto interessato ha ottenuto l’endorsement della deputata dem di estrema sinistra, Alexandria Ocasio-Cortez, ma non quello del capogruppo dem al Senato, Chuck Schumer. Ebreo e di orientamento parzialmente centrista, Schumer detiene al momento il seggio senatoriale di New York: seggio che, secondo i beninformati, la Ocasio-Cortez vorrebbe contendergli nel 2028.Insomma, la vittoria di Mamdani certifica come l’ala woke si stia radicalizzando, con buona pace di quei dem che, come il governatore della California Gavin Newsom, hanno cercato, nell’ultimo anno, di raffreddare l’ubriacatura ultraprogressista. Del resto, il grande problema dell’Asinello risiede nell’aver perso il sostegno dei colletti blu della Rust Belt: colletti blu che temono il ribasso salariale prodotto dall’immigrazione irregolare e che, come i metalmeccanici del Michigan, non vedono di buon occhio le politiche green. Certo, è vero che Mamdani non può candidarsi alla Casa Bianca in quanto nato in Uganda. Tuttavia, le ricette che propone sono sempre più moneta corrente nell’ala woke dell’Asinello. Ed essere pro immigrazione e pro green di certo non aiuterà il partito a recuperare consenso nella Rust Belt. Senza poi trascurare che si sta acuendo una divisione tra due gruppi storicamente appartenenti alla base dem: gli ebrei-americani e gli arabo-americani.Ecco: tutto questo fa capire che, forse, Trump non sia alla fine così dispiaciuto dalla vittoria di Mamdani. È d’altronde ingenuo ritenere che il presidente americano sperasse realmente di aiutare Cuomo con il suo endorsement. Del resto, si sapeva che Mamdani avrebbe probabilmente vinto e che un’anticaglia dell’establishment come Cuomo avesse poche chances. Il presidente americano si è quindi «scelto» un nuovo avversario: con l’approssimarsi delle elezioni di Midterm, additerà ripetutamente Mamdani come l’esempio del radicalismo del Partito democratico. Ciò di cui Trump dovrebbe preoccuparsi sono semmai i risultati della Virginia, dove la candidata dem, Abigail Spanberger, ha prevalso sulla repubblicana, Winsome Earle-Sears, di ben 15 punti.
Giancarlo Fancel Country Manager e Ceo di Generali Italia
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