
Dante Boscolo, gondoliere da 43 anni: «In laguna solo il 6% delle imbarcazioni sono a vela o a remi. La città si sgretola. Faccio centinaia di foto».Dopo 43 anni di onorato servizio e un numero di vogate all'attivo tendente all'infinito tra canali, rii e ponti, un gondoliere diventato ormai tutt'uno con la bellezza di Venezia, che conosce come le sue tasche insieme ai suoi difetti e alla sua decadenza, ha il diritto di dire la sua. Dante Boscolo, classe 1953, veneziano fin nel midollo - nacque in una casa in Campo dei Gesuiti, alle Fondamenta Nuove - figlio di un ortolano, a otto anni aveva già imparato a portare la gondola e il sandalo, un'altra imbarcazione tipica veneziana, e remando si sentiva come un piccolo principe. Si fece le ossa, come tiozzo, ossia ragazzo praticante, nei traghetti di gondola, facendo la spola da una riva all'altra del Canal Grande, e poi diventò gondoliere a tutti gli effetti. Infatti, ancor oggi, svolge regolare servizio presso lo stazio di Santa Maria del Giglio, una delle dieci stazioni di ormeggio e partenza delle gondole della città lagunare. Quando, nel 1958, Dino Risi girò la celebre commedia all'italiana Venezia, la luna e tu, con Alberto Sordi nella parte del gondoliere Bepi, aveva cinque anni e da quell'epoca elegiaca sottesa tra boom economico e romanticismo di facciata, a Venezia molto è cambiato. Il traffico acqueo, innanzitutto. Un recente studio del Coses ha rilevato che in laguna il 94 per cento delle imbarcazioni circolanti sono a motore e il restante 6% a vela o a remi. Fatto comprovato è che i natanti a motore, comprese le mastodontiche navi da crociera che sfidano i delicati equilibri statici del centro storico, creano non solo inquinamento da smog e acustico - da qui vari provvedimenti di limitazione del traffico su acqua attraverso il sistema delle targhe alterne - ma anche difficoltà alle piccole barche senza motore, come le gondole, che rischiano financo di rovesciarsi a causa del moto ondoso ingenerato, che la ricerca classifica in percussivo e sismico. La turbolenza causa lo sgretolamento delle rive e delle case sui canali, il danneggiamento di ponti e antiche fondamenta, la desedimentazione di fondali, velme e barene, con conseguenti ripercussioni sull'ecosistema lagunare, l'aumento dell'insicurezza anche sui mezzi pubblici in navigazione. A questi agenti deleteri si aggiunge la questione della subsidenza, legata alle attività umane. Secondo Scientific report, Venezia sprofonda di 1 millimetro l'anno. E la sua altimetria corrisponde a 90 centimetri sopra il livello del mare. Sulla base di questi dati, dal 1953, anno di nascita di Boscolo, la città ha perso 6 centimetri e mezzo. Se le cose continuano così, la condanna a morte è annunciata.Dante Boscolo, in 43 anni di indefesso servizio come gondoliere della Repubblica, il cambiamento di Venezia l'ha visto ogni giorno con i propri occhi e, continuando a remare nel suo giro classico, tra rio dei Cavalli e rio del Verona, rio del Bauer e Canal Grande, documenta con immagini fissate con il telefono l'agonia della città più originale del mondo che, come testimoniano le tele di un suo cantore, il Canaletto, fu edificata quando la motorizzazione nautica nemmeno si poteva immaginare. «Qui bisogna dire la verità» prorompe, infiammandosi.E qual è la verità?«El problema xè che la gondola rompe i cojoni». A chi?«A tanti, soprattutto ai politici, a quelli che dicono “Lei non sa chi sono io". Sono apolitico, ma qua xé un disastro, impera il dio denaro. Non dimentichiamo che Giuda, per trenta denari, el se gà tacà a una corda».Andiamo ai fatti.«Dal 1980 i taxi, ad esempio, a Venezia sono aumentati più del doppio e sono in servizio 24 ore su 24. Nello stesso arco di tempo le corse dei vaporetti sono cresciute più o meno di 200 volte. E poi ci sono le altre barche a motore, molte delle quali, è vero, servono per il trasporto delle mercanzie, ma tutto ciò aumenta il moto ondoso. In 40 anni, invece, le gondole sono cresciute al massimo solo di 20-25 unità. Quando i vaporetti partono spingono al massimo i motori e le gondole, come al Giglio, ballano pericolosamente».E le navi da crociera?«Certo, ci sono anche quelle, anche se non fanno onde. Invece grandi imbarcazioni a motore provocano una grande onda sottostante che porta via l'acqua sotto di me, una restìa si dice in veneziano. Però ciascuno ha le sue ragioni. Tanto ciapa schei tuti. E nessuno fa niente. Ma c'è modo e modo. E poi, vogliamo parlare delle barche ormeggiate sulle due rive di canali larghi tre metri?»Parliamone. «Il Comune chiede il pagamento dello stazio acqueo. Ma le gondole come fanno a passare? È sempre più difficile. La questione è che non c'è più rispetto per i gondolieri, non c'è più il rispetto di un tempo. Ci vogliono mandare via, come hanno fatto andar via i veneziani dalla città, per affittare a caro prezzo case e appartamenti. Io sono pessimista di natura, ma di questo passo secondo me Venezia durerà ancora pochi decenni». Sulla base di quali elementi sostiene questa ipotesi?«Ho scattato centinaia di foto in giro per la città. Marmi e mattoni si stanno sgretolando, come le Dolomiti. Si notano crepe minacciose sui muri di case e palazzi. A causa del moto ondoso sempre più spinto. Sembra che a Venezia ci sia stato un terremoto. Guardiamo al caso di Palazzo Ferro Fini (affacciato sul Canal Grande, nel sestiere di San Marco, è sede del Consiglio Regionale del Veneto, ndr). Lo stanno restaurando, e nonostante ciò, sta crollando il cassero. Cercano di rimediare con iniezioni di cemento nelle fondamenta. Ma è ancora peggio e l'uso diffuso del cemento non fa altro che appesantire il carico sulla città, che è stata costruita su palafitte in legno non per niente, ma per il loro peso contenuto. E più buttano cemento, più Venezia sprofonda».Il Mose a cosa è servito?«A magnar schei ai contribuenti. Una truffa legalizzata. Hanno buttato centinaia di migliaia di euro solo per i progetti. Secondo i calcoli la piattaforma doveva subire uno sprofondamento di massimo 3 metri in venti, trent'anni. Bene, in circa due anni è andata giù di oltre 7 metri».Attraverso i quotidiani locali veneti lei ha lanciato l'idea di un semaforo sul Canal Grande.«Sì, una provocazione, perché il traffico è diventato insostenibile, tra vaporetti, motoscafi, barche, lance. Noi gondolieri facciamo da secoli il servizio di traghettamento dei passeggeri da una parte all'altra del canale e tra moto ondoso e flusso di mezzi è diventato quasi impossibile attraversarlo. A volte ci s'impiega oltre mezz'ora. E svolgiamo il servizio pressoché gratuitamente, si pagano soltanto 70 centesimi. Ma a noi gondolieri non ci considerano e l'ente Gondola, che ora è stato soppresso e doveva tutelare i nostri interessi, è servito solo a dare impiego senza servire a nulla». Fino a dove si può spingere una gondola, in laguna?«Non oltre il centro storico. Un tempo invece, una gondola poteva andare fino a Murano, per far visitare le fabbriche del vetro ai turisti. Se lo si facesse adesso s'imbarcherebbe acqua da tutte le parti e la gondola affonderebbe».Le è mai capitato un incidente?«Sì, una volta mi speronò un motoscafo della Polizia, la gondola si spaccò, ma l'assicurazione pagò tutti i danni».Come ogni gondoliere lei è un provetto nuotatore, ma a Venezia è anche noto come subacqueo.«M'immergo da mezzo secolo per recuperare oggetti persi dai turisti. Si trova di tutto. Collane, orologi, cellulari, occhiali. Ma anche in questo caso ho un segnale d'allarme sulle condizioni di salute di Venezia. Se anni fa mi erano necessari, per l'immersione e per resistere alle correnti, 15-16 chilogrammi di piombo, ora ne servono 30. Prima la velocità della corrente era di 4 chilometri l'ora, adesso di 50».Guadagna bene tuttavia, un gondoliere, se lavora molto, con 80 euro al giro di giorno e 100 notturni.«Sì, ma guadagnano di più le agenzie, che possono chiedere 80 euro a persona, mentre per noi è una tariffa che copre i 6 posti a disposizione in una gondola. Ma la questione è che la qualità della vita e della professione sono peggiorate. A Venezia non si vive più».Com'è inquadrato professionalmente un gondoliere?«Partita Iva, versamento contributi all'Inps».Quando andrà in pensione?«Tra due anni. Però c'ero già andato tempo fa dopo un serio intervento chirurgico. Solo 860 euro al mese. E allora ho ripreso a lavorare per versare i restanti contributi». Mestiere di responsabilità, anche.«Certo, e se capita un incidente tendono sempre a dare la colpa al gondoliere, magari dicendo che era ubriaco o aveva assunto droghe». Avrà sicuramente fatto dondolare sui canali anche qualche personaggio famoso.«Ad esempio ho portato in gondola Joan Collins (attrice britannica, classe 1933, sex-simbol del cinema hollywoodiano, ndr). E poi Lorella Cuccarini. Ma ho anche partecipato a un film, Italian jobs (film del 2003 diretto da Felix Gary Gray, in parte ambientato a Venezia, ndr). A me, però, interessa la salute di Venezia».Nonostante il quadro negativo che dipinge, si sente che nutre un amore viscerale per Venezia.«Mi gò dito solo la verità. Ma anca Gesù gà dito la verità e i lo gà copà. Ora però devo partire con la gondola».
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





