2025-06-29
Dl sicurezza, la Cassazione l’ha fatto strano
La relazione del Massimario degli Ermellini, subito passata alla stampa, si concentra solo sul rischio di incostituzionalità del decreto. Ma, a differenza di quello che accade normalmente, ignora ogni possibile interpretazione a favore del testo.Presidente di sezione emerito della Corte di Cassazione Tra i compiti dell’ufficio del Massimario della Corte di cassazione (del quale chi scrive ha fatto parte per quasi 20 anni) vi è quello di redigere relazioni tematiche su questioni giuridiche di particolare attualità e interesse, tra le quali rientra senza dubbio il cosiddetto decreto Sicurezza. In questo caso, però, la relazione del Massimario, che avrebbe dovuto circolare soltanto all’interno della Corte, è diventata subito di pubblico dominio. Guarda caso, si tratta di una relazione fortemente critica nei confronti del provvedimento in esame, del quale pone in luce tutti i possibili motivi di contrasto con la Costituzione, a cominciare dalla ritenuta mancanza delle condizioni di straordinaria necessità e urgenza richieste dall’articolo 77 della Costituzione per l’emanazione dei decreti legge; motivo, questo, che, se fondato, comporterebbe l’incostituzionalità dell’intero provvedimento. Altri motivi sarebbero poi quelli derivanti dalla violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, di necessaria offensività delle nuove fattispecie criminose e della rispondenza delle previste sanzioni al criterio di proporzionalità, in funzione, soprattutto, della finalità rieducativa della pena prevista dall’articolo 27 della Costituzione. Il tutto sulla scorta di un continuo e alluvionale richiamo alle osservazioni critiche della più varia natura e consistenza espresse, in particolare, nei confronti del provvedimento in questione, dal mondo universitario, dall’avvocatura, dalla magistratura associata e dalle associazioni di tutela dei diritti umani.Il fatto che in una relazione del Massimario si mettano in luce possibili motivi di contrasto delle stesse con taluni principi costituzionali non esula dai canoni della normalità. Nel caso di specie, però, suscita perplessità il fatto che la relazione sia in gran parte costituita proprio dalla sola illustrazione di quei motivi, quali prospettati dalle fonti esterne e fatti propri dai redattori dello scritto, senza che risulti neppure tentato un qualsivoglia approfondimento critico volto a verificare il loro effettivo, possibile fondamento, anche tenendo conto - come normalmente si fa - della regola generalmente riconosciuta e praticata secondo cui, prima di ritenere la incostituzionalità di una norma di legge, occorre esplorare la possibilità di una sua interpretazione che la renda conforme alla Costituzione. La perplessità trova ulteriore alimento ove si consideri che risultano pressoché ignorate le pur rare voci che, tra gli addetti ai lavori, si sono levate a sostegno del decreto Sicurezza. Tra esse, in particolare, quella del prof Mauro Ronco, già titolare, fino al pensionamento, della cattedra di diritto penale presso l’Università di Padova, autore di numerose pubblicazioni e membro laico del Consiglio superiore della magistratura tra il 2001 e il 2002, il quale, in un articolo comparso sul sito del Centro studi Livatino il 28 aprile 2025, confutava con dovizia di argomentazioni tecnico-giuridiche il preteso carattere meramente «securitario» e illiberale del provvedimento in questione, mettendo in luce, tra l’altro, la piena ragionevolezza, a suo giudizio, di talune delle più contestate norme in esso contenute: tra queste, quella che rafforza la tutela penale di chi sia stato privato, con violenza, minaccia o inganno, della disponibilità di un immobile destinato ad abitazione. A tale scritto si fa, nella relazione del Massimario, solo un fuggevole e generico accenno, a fronte dell’ampio spazio che, sempre con riferimento al medesimo argomento, viene dedicato alle critiche provenienti da altre fonti. Tra esse quella dell’Associazione nazionale forense, secondo cui la norma che consente la immediata reimmissione in possesso, a opera della polizia giudiziaria, di chi sia stato estromesso dalla sua «unica abitazione effettiva» esporrebbe gli occupanti abusivi al «rischio di essere letteralmente messi sulla strada». Dal che è lecito desumere che sarebbe, invece, accettabile e conforme alla Costituzione il rischio che debba rimanere sulla strada, a tempo indeterminato, colui che, a causa dell’altrui prepotenza, non può più disporre di casa propria.Più in generale, è da notare la singolarità del fatto che quasi nessuna norma, tra quelle, assai numerose, contenute nel decreto legge convertito, sfugge, secondo la relazione, a gravi sospetti di incostituzionalità. Così, a puro titolo di esempio, si sospetta di incostituzionalità, per violazione del principio di uguaglianza, la norma che ha introdotto un aggravamento di pena per i reati di violenza, minaccia o resistenza a pubblici ufficiali se commessi nei confronti di quella particolare categoria di pubblici ufficiali costituita da coloro che svolgono funzioni di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. Norma che, invece, trova la sua ragion d’essere nel maggior pericolo al quale, rispetto alla generalità dei pubblici ufficiali, sono quotidianamente esposti quelli preposti alle suddette funzioni (come purtroppo dimostrato da ricorrenti fatti di cronaca). Sospetta di incostituzionalità sarebbe pure la norma che prevede un aggravamento di pena nel caso di lesioni prodotte a ufficiali o agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza «nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni». Si osserva, al riguardo, che, siccome tali funzioni vengono svolte anche nel corso di pubbliche manifestazioni, il previsto aggravamento di pena si tradurrebbe in una irragionevole maggior tutela di un medesimo bene giuridico per il solo fatto che esso sarebbe «leso in occasione di attività di repressione del dissenso». Quasi che costituisca, di per sé, indebita «repressione del dissenso» l’attività degli appartenenti alla forza pubblica che è istituzionalmente volta a garantire soltanto lo svolgimento ordinato e pacifico delle pubbliche manifestazioni. Altri numerosi esempi sarebbero possibili, ma quelli finora fatti dovrebbero bastare a rendere plausibile, sospetto per sospetto, anche quello che l’esame delle norme in questione non sia stato condotto con quell’assoluto e asettico distacco professionale che, pur accompagnato dalla giusta severità, sarebbe stato doveroso e auspicabile.
Il direttore del «Corriere della Sera» Luciano Fontana (Imagoeconomica)