2022-09-17
Il diktat Usa: l’Ue non si scopra più a Oriente
La svolta a Est impressa dalla Germania è indigesta a Washington, che non è pronta a salvarci col suo gas ma nemmeno a regalare alla Russia Budapest. Perciò, il pizzino dei rubli potrebbe essere indirizzato, più che a Roma, al ventre molle dell’Unione: i tedeschi.È da diverso tempo che dagli Stati Uniti traspare malcelata insoddisfazione per il comportamento degli alleati europei. La vicenda clamorosa del gasdotto Nord Stream 2, il cui avvio è stato bloccato l’anno scorso, è l’esempio più chiaro della netta contrarietà di Washington allo sviluppo di legami sempre più stretti tra la Germania e la Russia. Il gasdotto avrebbe accentuato la dipendenza energetica tedesca dalla Russia, raddoppiando i volumi di gas dalla Siberia. Già Donald Trump, in un vertice della Nato nel luglio 2018, aveva detto con risoluta iperbole che «la Germania è controllata totalmente dalla Russia». Due mesi più tardi, lo stesso presidente americano, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, aveva avvisato i tedeschi: «La Germania diverrà totalmente dipendente dall’energia russa se non cambia direzione». Nelle registrazioni video dell’intervento di quel giorno al Palazzo di vetro dell’Onu sono immortalate le risate di scherno della delegazione tedesca a queste parole. Alla luce di quanto accaduto in seguito, c’è da supporre che l’ilarità dei rappresentanti di Berlino oggi si sia quantomeno attenuata. Nel frattempo, l’inquilino della Casa Bianca è cambiato ed è scoppiata una guerra alle porte dell’Europa, ma la sensazione è che sulle rive del fiume Potomac l’Unione europea continui a essere considerata eccentrica rispetto agli obiettivi dell’Alleanza atlantica. Oppure, volendo sfumare il concetto, sembra che la partnership tra Usa ed Europa abbia bisogno di essere registrata e rimessa a punto. L’adesione alla Nato dei Paesi europei richiede logiche di rapporto e di schieramento diverse da quelle seguite in ragione dell’appartenenza all’Unione. L’atlantismo non coincide con l’europeismo. Per lungo tempo è stato così, ma in questo frangente storico di cambiamento epocale che dura almeno dal 2008, l’Unione a guida tedesca ha indirizzato il proprio cammino con decisione verso Oriente. Così aumenta la frequenza dei casi di contrasto tra atlantismo ed europeismo. Prova recentissima ne sia quanto accaduto sulla relazione votata l’altro ieri dall’Europarlamento. Dopo mesi di tensioni con il governo ungherese, il Parlamento di Strasburgo ha approvato un documento che accusa il governo di Viktor Orbán di avere violato i principi fondamentali dell’Unione europea, definendo l’Ungheria un «regime ibrido di autocrazie elettorale». In base a questo atto, si chiede che Budapest non abbia più diritto di voto nel Consiglio europeo e che vengano sospesi i finanziamenti europei, di cui il Paese gode essendo percettore netto. A poche ore di distanza dalla censura europea, le agenzie di stampa hanno diffuso la reazione giunta da Washington: «L’Ungheria è un Paese partner e un alleato della Nato», ha affermato il portavoce del dipartimento di Stato americano, Ned Price. Il quale ha concluso dicendo che «le alleanze si basano anche sui valori comuni e sono quelli che gli Stati Uniti vogliono sempre vedere rispettati». Prescindendo dal merito delle accuse europee all’Ungheria, sembra evidente in questo caso la diversità di vedute delle due entità sovranazionali. L’appartenenza alla Nato richiede un pragmatismo che va oltre la presunta unità dei Paesi europei. Le beghe interne all’Unione sono forse di scarso interesse a Washington, ma assumono un’importanza prioritaria da quelle parti nel momento in cui gli screzi europei diventano una forza centrifuga che spinge i Paesi fuori dall’orbita atlantica per finire tra le braccia della Russia. Probabilmente al Pentagono si sono chiesti se l’Unione europea abbia davvero intenzione di regalare l’Ungheria alla Russia. Per questo la reazione degli Usa alla notizia della censura di Strasburgo alla democrazia ungherese è stata pressoché immediata. In più, di fronte alla crisi energetica europea, con prezzi alti e carenza di materia prima, la concreta possibilità che gli Usa riescano a supportare l’Europa con il loro gas liquido si va facendo più difficile. Dal Financial Times è arrivato l’avvertimento di Wil VanLoh, alla guida del gruppo di private equity Quantum energy partners, uno degli investitori più importanti nel gas di scisto. «Non è che gli Stati Uniti possano pompare più di così. La nostra produzione è quella che è», ha detto. «Non ci sono salvataggi in arrivo», ha aggiunto VanLoh. «Non dal lato del petrolio, non dal lato del gas». Sembra dunque che l’inverno europeo si avvii a essere senza rete, restando il Nord Stream 2 sigillato in chiave strategica. Tutta da interpretare poi è la sortita americana sul tema dei finanziamenti di Mosca a politici e partiti stranieri. La notizia dei 300 milioni di dollari che secondo gli Stati Uniti sarebbero arrivati dal governo di Vladimir Putin a finanziare entità anche europee è stata trattata in Italia ai fini delle consuete manovre di bassa cucina elettorale. Ma c’è chi, in maniera più sensata, vede nel messaggio che arriva da oltre Atlantico un simbolico avviso a qualcuno che sta un po’ più a Nord delle Alpi.
Giuseppe Caschetto (Ansa)