2020-01-08
Di Maio imbastisce un tour all’estero per far credere di essere in partita
Incontro con gli omologhi Ue e frasi di rito: «Serve un cessate il fuoco». Dopodiché il ministro va in Turchia e annuncia visite in Algeria ed Egitto. L'iperattivismo serve a nascondere il fatto che Roma è tagliata fuori.In Iraq restano i militari italiani. Mentre la Germania sposta il suo contingente in Giordania, il nostro rimarrà in loco limitandosi a cambiare base poiché quella Usa a Baghdad non è abbastanza sicura.Lo speciale comprende due articoli. Agitarsi molto per nascondere la propria drammatica irrilevanza. Naufragata la missione in Libia a cui Luigi Di Maio aveva legato le sue residue speranze di poter giocare un qualche ruolo nella crisi in corso, e incassata la sequenza di figuracce dell'ultima settimana (tra la mancata telefonata di Mike Pompeo e l'inopportuna vacanza a cavallo di Capodanno), il titolare della Farnesina è entrato da 36 ore in una fase di frenetico quanto inutile attivismo. Se tutto fosse andato secondo i suoi desideri, ieri il capo politico grillino, insieme all'Alto rappresentante Ue Josep Borrell e ai ministri degli Esteri di Germania, Francia e Regno Unito, sarebbe dovuto essere in Libia. Ma la sera prima l'uomo di Tripoli Al Serraj ha disdetto tutto: ufficialmente, per l'attacco alla scuola militare dei giorni precedenti, quasi certamente ordinato dal generale Haftar (che nel frattempo avanza inesorabilmente); ma ufficiosamente, perché nessuno sente l'esigenza della mediazione di Di Maio. Non la sentono i due contendenti, Al Serraj e Haftar, il primo sostenuto dalla Turchia, il secondo da Russia, Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita. Non la sentono Vladimir Putin e Recep Erdogan. Non la sentono nemmeno Berlino, Parigi e Londra, che non hanno alcun motivo per farsi guidare e rappresentare dal grillino. Morale, naufragata la missione, l'altra sera Di Maio si è portato a cena in un ristorante romano lo spagnolo Borrell, il successore di Federica Mogherini, di cui ha ereditato la linea politica ambigua, oltre che l'incarico. Incontro inutile, da cui sono solo scaturite meste fotografie a tavola. Poi, ieri mattina, Di Maio ha rilasciato un'intervista al Fatto Quotidiano, con toni più da aspirante Miss Italia che da capo politico e diplomatico («Cerchiamo la pace. Anche Usa e Libia si devono parlare»), e con una bambinesca colpevolizzazione retrospettiva di Matteo Salvini («L'ex ministro dell'Interno Salvini avocò totalmente a sé il dossier libico, puntando solo sull'immigrazione per farne un tema da campagna elettorale. Una scelta del tutto sbagliata. Noi siamo sempre per la pace: se al governo ci fosse la Lega, ci porterebbe in guerra»). Insomma, pure la guerra civile in Libia sarebbe colpa del leghista: tesi francamente curiosa. Più tardi, Di Maio ha aperto i social, per annunciare che sempre ieri a Bruxelles avrebbe incontrato i suoi omologhi europei: «Continuiamo tutti a ritenere che non esista alcuna soluzione militare e ne discuteremo oggi in sede europea. Come Italia abbiamo peraltro ottenuto che al Consiglio affari esteri di venerdì si parli, oltre che di Iran, anche di Libia, che per noi è la priorità. L'Ue, questa volta, dimostri di saper fare l'Ue». Insomma, una specie di giaculatoria (ripetuta pari pari anche da Borrell) su una mitica «soluzione politica» mentre la guerra è sempre più in corso, e - soprattutto - mentre sono altri i player decisivi. Più tardi, a Bruxelles, consumato il rito del vertice, altre dichiarazioni dello stesso tenore: «Questa è una riunione veramente molto importante, abbiamo chiesto che l'Europa prenda iniziative sulla Libia. Bisogna parlare con tutti gli interlocutori, convincerli a un “cessate il fuoco". Come Italia tuteliamo i nostri interessi quando chiediamo all'Ue di essere protagonista: la Libia è a pochi chilometri dalle coste siciliane», ha fatto sapere Di Maio. Che poi ha proseguito così: «La Libia non è solo un rischio per l'immigrazione, ma anche per il pericolo del terrorismo. C'è una guerra per procura. Devono cessare le interferenze: ci sono paesi che interferiscono con una guerra civile facendola diventare una proxy war. Il nostro lavoro sarà coeso: l'Ue parlerà e deve parlare con una sola voce». Insomma, il solito canestro di luoghi comuni, fino all'annuncio conclusivo: «Sto per partire per la Turchia, incontrerò il ministro degli Esteri turco, mentre domani sera (oggi, ndr) sarò in Egitto. E in settimana ci sarà anche una visita in Algeria». E qui ci sono due cose da annotare. La prima è che Di Maio punta a costruire un fantomatico «gruppo di contatto», provando a coinvolgere anche altre nazioni nordafricane, ma, visto il punto a cui le cose si sono spinte militarmente, non si capisce bene a cosa possa servire questo attivismo, che finirà anzi per irritare ulteriormente i protagonisti sul terreno e i loro sponsor internazionali, a partire da Russia e Turchia. La seconda cosa è che proprio oggi dovrebbe svolgersi un incontro decisivo a Istanbul tra Erdogan e Putin, che non hanno certo bisogno di Di Maio per parlarsi. Da questo punto di vista, il frettoloso incontro del capo della Farnesina con il suo omologo turco Mevlut Cavusoglu dà plasticamente l'idea di un'iniziativa in tono minore, di una specie di tavolo dei ragazzi, mentre i grandi decidono. Sempre ieri, inevitabile, è giunta anche l'ironia di Matteo Salvini, dai microfoni di Radio 24: «Anche a gennaio 2020 è colpa di Salvini? Se non sono capaci di fare i ministri, facciano altro».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/di-maio-imbastisce-un-tour-allestero-per-far-credere-di-essere-in-partita-2644453867.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-iraq-restano-i-militari-italiani" data-post-id="2644453867" data-published-at="1758104196" data-use-pagination="False"> In Iraq restano i militari italiani Gli italiani per ora restano in Iraq. I soldati del nostro Paese hanno lasciato ieri notte la base americana di Baghdad, considerata non più sicura dopo gli eventi successivi all'uccisione del generale iraniano Qasem Soleimani da parte di un raid statunitense venerdì scorso. I militari non hanno abbandonato tuttavia il Paese ma si sono trasferiti in un'area più lontana: si tratta di una cinquantina di carabinieri, impegnati nella «Nato Mission Iraq», volta all'addestramento delle forze di sicurezza irachene. Lo spostamento è stato stabilito, in collaborazione con le alte sfere dell'Alleanza atlantica, dallo stato maggiore della Difesa. Stato maggiore che ha tuttavia voluto precisare come non sia in corso «nessun ritiro» dei nostri soldati ma «una parziale ridislocazione degli assetti al di fuori di Baghdad». Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha avuto un colloquio col capo del Pentagono, Mark Esper, in cui ha fatto presente che la priorità per l'Italia è la stabilità regionale e la lotta all'Isis. Anche il governo francese ha reso noto ieri di non essere al momento intenzionata a ritirare le proprie truppe stanziate in loco. Una posizione condivisa nelle stesse ore dal ministero della Difesa della Repubblica Ceca. La Germania, dal canto suo, ha invece trasferito una parte dei propri soldati al di fuori del territorio iracheno: secondo quanto annunciato dalla Bundeswehr, 32 militari di stanza nella base di Taji sono stati trasportati nella base giordana di Al Asrak per via aerea. La mossa di Berlino è arrivata soprattutto in conseguenza della mozione non vincolante, recentemente approvata dal parlamento iracheno, volta ad espellere dalla nazione i soldati stranieri: elemento che ha spinto la Nato a sospendere temporaneamente le proprie attività di addestramento in loco. Alla luce di ciò, i ministri della Difesa e degli Esteri della Germania, Annegret Kramp-Karrenbauer e Heiko Maas, hanno reso noto che il personale tedesco in Iraq verrà «temporaneamente» ridotto. «Rispetteremo certamente qualsiasi decisione sovrana da parte del governo iracheno e siamo sostanzialmente pronti a continuare il nostro comprovato sostegno in un quadro coordinato a livello internazionale, a condizione che l'Iraq lo richieda e la situazione lo consenta», hanno chiarito i due ministri tedeschi. La Croazia ha intanto annunciato il trasferimento dei propri militari in Kuwait. In tutto questo, ieri pomeriggio la Nato ha comunicato che una parte del proprio personale lascerà temporaneamente il territorio iracheno a causa delle crescenti tensioni tra Stati Uniti e Iran. Secondo quanto riportato da Reuters, un funzionario dell'Alleanza atlantica avrebbe dichiarato: «Stiamo prendendo tutte le precauzioni necessarie per proteggere le nostre persone. Ciò include il riposizionamento temporaneo di alcuni membri del personale in luoghi diversi sia all'interno che all'esterno dell'Iraq». Tutto questo, nonostante alcune ore prima il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, avesse detto al premier iracheno Adil Abdul Mahdi: «Gli alleati rimangono fortemente impegnati nella missione in Iraq, che sta contribuendo a rafforzare le forze irachene e a impedire il ritorno di Daesh». Insomma, la presenza occidentale nel Paese inizia a vacillare. E, in questa spinosa situazione, non va trascurato il «giallo» della lettera misteriosamente circolata lunedì, secondo cui gli Stati Uniti sarebbero stati pronti a ritirarsi militarmente dall'Iraq. La circostanza è stata poi smentita dal Pentagono. Ma il curioso episodio lascia intendere che sia probabilmente in corso un dibattito ai vertici dell'amministrazione americana sull'opportunità di mantenere militari in loco.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)