2023-02-01
Deserti i bandi Pnrr. Colpa dei diktat imposti da Bruxelles sulle quote rosa
È obbligatorio riservare il 30% dei posti alle donne e ai giovani. Ma in settori come l’edilizia il 90% del personale è maschile.La totale parità tra uomo e donna imposta per legge è un’utopia. Potrebbe sembrare una provocazione, ma sono i fatti a dimostrarlo. L’occupazione delle donne non può esser favorita semplicemente da una norma, banalmente perché esistono lavori tipicamente maschili e altri tipicamente femminili. ItaliaOggi ne riporta l’ennesima prova in un articolo che spiega molto bene come le quote rosa, a volte, possano divenire un ostacolo. In questo caso si parla di Pnrr: molti bandi pubblici infatti stanno andando deserti proprio per colpa delle imposizioni sulle pari opportunità. Nient’altro che paletti che scoraggiano le imprese all’accesso alle gare semplicemente perché è impossibile rientrare nei canoni previsti. La legge (articolo 47 comma 4) prevede «l’obbligo di riservare, in caso di aggiudicazione del contratto, una quota pari almeno al 30% delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto o per la realizzazione delle attività ad esso connesse o strumentali, sia all’occupazione giovanile sia all’occupazione femminile». Sviluppata da un gruppo di lavoro istituito dal ministro del Lavoro (Occupazione femminile), la quota prevista nel Pnrr rappresenta la garanzia dell’impegno dell’Italia a seguire le raccomandazioni europee del 2019 e del 2020 per far sì che gli investimenti abbiano un impatto diretto sull’innalzamento dei tassi di occupazione femminile e giovanile. Sulla carta è tutto molto bello, ma le buone intenzioni non quadrano con la realtà. In certi settori il personale femminile proprio non si trova, come in quello dell’edilizia. Le associazioni dei costruttori avevano più volte posto il problema alle istituzioni anche tramite comunicati, ma le autorità si sono limitate, nella maggior parte dei casi, ad applicare i nuovi regolamenti. Tradotto: le imprese trovandosi in difficoltà rinunciano a gareggiare per paura di andare incontro a sanzioni penali elevate. Infatti, non rispettare la quota del 30% delle assunzioni di giovani con meno di 36 anni e donne comporta la sanzione giornaliera per inadempimento, che può essere «compresa tra lo 0,6 per mille e l’1 per mille dell’ammontare netto contrattuale» in base alla gravità del fatto. Inoltre l’inadempimento può divenire possibile causa di esclusione dalle future gare per grave illecito professionale come previsto dall’articolo 80 del Codice degli appalti. Insomma costringere le imprese ad assumere donne finisce per lasciare a casa anche gli uomini. Questo accade quando si fanno le leggi di principio senza verificarne l’applicabilità. Fenomeno visto e rivisto che costringe a perdere tempo e in questo caso, quando si parla di Pnrr, di tempo sembra proprio non essercene più. Come sempre poi c’è chi, nei mesi passati, si lamentava del fatto che addirittura non bastasse la quota del 30% per donne e giovani. Il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, nel maggio del 2022 chiedeva: «Eleviamo e di molto le condizionalità legate all’occupazione femminile. È il vero punto debole delle attuali disposizioni: la quota indistinta del 30% nelle assunzioni per giovani e donne penalizza grandemente l’inclusione delle lavoratrici. Bisogna distinguere le due voci ed elevare notevolmente la quota rosa». Ennesima dimostrazione del distacco dei sindacati dalla realtà del mondo del lavoro. Eppure un modo per aggirare questa norma così stringente sembrerebbe esistere. I vincoli infatti possono essere evitati se alcuni elementi del progetto ne rendono l’inserimento «impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche». In questo caso il comma 7 prevede che i committenti possano riservare una quota inferiore al 30 % alle assunzioni di giovani e donne. Tuttavia resta ferma la possibilità di non applicare le deroghe «anche qualora ricorressero in linea astratta alcuni presupposti per la loro applicazione». Alla fine quindi è tutto in mano alle stazioni appaltanti che sono libere di decidere se introdurre o meno questa percentuale del 30%. Nel settore edile secondo i dati del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, il tasso di disparità di genere è pari all’80,6%. Sul totale della forza lavoro occupata il 90,3% sono uomini.È per questo che il Mit, nel suo parere 1480/22, ha raccomandato alle stazioni appaltanti di valutare il ricorso alla deroga nei casi in cui il tasso di occupazione femminile rilevato dall’Istat si discosti significativamente dalla media nazionale. «Le disposizioni vanno applicate con buonsenso», spiega il viceministro delle Infrastrutture e dei trasporti Galeazzo Bignami, «Noi riteniamo che non si possa applicare un criterio in maniera omogenea quando c’è un’evidente disparità nelle condizioni di lavoro. Su determinate categorie lavorative fissare una quota di genere rischia di rendere inattuabile l’intervento. La deroga che noi richiamiamo è finalizzata a rendere funzionale il provvedimento altrimenti rischiamo di bloccare tutte le gare».
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)