Una delle criticità maggiori che mettono in difficoltà l’Eliseo è l’esposizione verso gli investitori stranieri: ben il 53%, laddove in Italia supera di poco il 30%.
Una delle criticità maggiori che mettono in difficoltà l’Eliseo è l’esposizione verso gli investitori stranieri: ben il 53%, laddove in Italia supera di poco il 30%.Si fa presto a dire debito pubblico. Nel caso di quello francese, infatti, a destare maggior preoccupazione ci sono due problemi: la stragrande esposizione di Parigi agli investitori esteri e la data dell’8 settembre, quando la Francia sarà chiamata a esprimersi sul piano fiscale del primo ministro François Bayrou, che prevede tagli di bilancio per 44 miliardi di euro. Sono tutti problemi che potrebbero rivelarsi cruciali per l’economia transalpina. E la preoccupazione già inizia a farsi sentire, visto che il tasso di interesse sul debito francese a 30 anni ieri ha superato il 4,50%, in un contesto di crescente incertezza. Per intendersi, l’ultima volta che aveva superato questa soglia durante la seduta era stato nel novembre 2011, nel pieno della crisi del debito sovrano nell’Eurozona.Dando uno sguardo al debito francese, si nota che ha raggiunto quota 3.345 miliardi di euro, pari al 111% del Pil. Un valore enorme che, seppur inferiore a quello italiano (135%), pone comunque Parigi tra i Paesi più indebitati dell’Eurozona. Secondo le elaborazioni Fabi su dati della Banca di Francia e della Bce, la fotografia aggiornata della composizione del debito francese mostra, però, un quadro molto diverso da quello italiano: la Francia è infatti molto più dipendente dagli investitori esteri.Uno sguardo ai numeri: circa il 47% del debito è detenuto da soggetti residenti in Francia, pari a 1.572 miliardi. All’interno di questa quota, la Banque de France possiede tra il 23 e il 25% del totale (770-836 miliardi), le assicurazioni circa il 12,2% (408 miliardi), le banche il 7,7% (258 miliardi), i fondi comuni l’1,6% (54 miliardi), mentre famiglie e imprese detengono appena il 3,1% (104 miliardi). La parte restante, ovvero il 53% del totale pari a 1.773 miliardi, è in mano a investitori esteri: di questi, il 37% (1.241 miliardi) è nelle disponibilità di banche centrali straniere e fondi sovrani, mentre il 16% (532 miliardi) è detenuto da altri investitori istituzionali. Una quota non trascurabile, pari a circa il 5% del totale in mano straniera (167 miliardi), appartiene a investitori italiani, di cui 33-50 miliardi riconducibili alle banche nostrane.Il tratto distintivo del debito francese è dunque la sua forte proiezione internazionale. Oltre la metà è nelle mani di investitori stranieri, mentre in Italia la quota estera si ferma al 30%. Al contrario, il risparmio privato nazionale in Francia gioca un ruolo marginale: solo il 3,1% del debito è detenuto da famiglie e imprese, contro oltre il 14% in Italia. Anche le banche francesi hanno un’esposizione relativamente contenuta, pari al 7,7%, mentre in Italia questa sale al 20,4%. Più simile è invece il peso delle assicurazioni, che si aggira attorno al 12% in entrambi i Paesi.Questa differenza di composizione non è banale. La Francia si affida molto di più alla fiducia dei mercati internazionali, mentre l’Italia mantiene un debito più «domestico», seppur a fronte di un rapporto debito/Pil e di oneri per interessi più elevati. Un fatto che potrebbe avere un impatto sui rating che attendo il Paese d’oltralpe a partire dal prossimo 12 settembre quando Fitch dovrà pronunciarsi proprio sul debito francese. La dipendenza dagli investitori esteri rappresenta, insomma, un elemento di vulnerabilità. Eventuali crisi di fiducia sui mercati globali o una revisione al ribasso del rating sovrano potrebbero tradursi in pressioni sui tassi e sul rifinanziamento del debito.Tra le note meno dolenti del debito francese c’è che dall’altra parte delle Alpi si pagano meno interessi: nel 2023 la Francia ha destinato circa l’1,7% del Pil al servizio del debito, contro il 3,8% dell’Italia. Questo si traduce in un vantaggio competitivo per Parigi in termini di sostenibilità finanziaria, anche perché il tasso medio pagato sui titoli di Stato è più basso.
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