2018-08-22
Dal succo senza frutta al latte non latte, ecco come cercano di darcela a bere
Bio, nettari, mix, integratori, bevande vegetali. E poi la mania dei sostitutivi del cappuccino: soia, riso e avena fino alle lattine. Ma che cosa c’è davvero nelle bibite in commercio?Prima di tutto è - come accade nell’agroalimentare globalizzato e massificato - un business, poi in parte un inganno infine per alcuni, ma solo per alcuni, una necessità. Cercano di darcela a bere e perciò ecco le «bevande vegetali». Dentro ci sta di tutto: dalla spremuta di fagioli (la bevanda a base di soia) alla mitica lattina dei «bibitari» che fanno girare la Formula 1, passando per i succhi di frutta, i soft drink e ogni e qualsiasi possibile miscuglio. Su tutti si staglia il bibitone alle mandorle che grazie a un’antica ricetta siciliana può ancora chiamarsi latte. La Corte di giustizia europea ha chiarito che latte può dirsi solo ciò che è prodotto dalle mammelle di una femmina di mammifero: vacca, capra, pecora, asina (che tra l’altro è il più simile a quello materno), cammella o perfino balena se riuscite a trovarlo. Ma il latte dalle piante non si fa e una ragione c’è: la natura tanto invocata dalla nuovelle vague eticonutrizionale ha previsto che calcio, fattori immunitari, proteine e alcune vitamine (come l’indispensabile B-12) passino dalla madre alla prole per via di allattamento e non di giardinaggio! Dunque non esistono il latte di soia, di avena, di riso. Unica eccezione in forza della tradizione - proprio quella che la globalizzazione vuole spazzare via - il latte di mandorle. Che sta diventando di gran moda per chi sentendosi vegano, vegetariano o semplicemente a la page rinuncia al cappuccino volgendo lo sguardo al bricchettino (queste bevande sono tutte vendute in confezioni assai accattivanti). Cerchiamo di capire cosa c’è davvero in questi bibitoni, la cui utilità è riservata solo a chi soffre veramente di allergie al lattosio che possono avere conseguenze nefaste come dimostra il caso della povera Chiara Ribechini morta di choc anafilattico per aver ingerito del lattosio. Ma attenzione; un conto è l’accertata allergia (come nel caso della celiachia), un conto è la millantata intolleranza che è una sorta di araba fenice della tavola: che ci sia ognun lo dice, come sia nessun lo sa. Spesso è solo un modo per alimentare - è il caso di dirlo - il business dei cibi alternativi, dei famosi prodotti senza. In cui rientrano gran parte di questi bibitoni. I numeri dicono che il consumo di latte vaccino in Italia è in caduta libera: meno 5% quello a lunga conservazione, meno 5,8% quello intero fresco per un consumo che sta sotto i 55 litri pro-capite (in Usa è il doppio) alla faccia del vecchio slogan: bevete più latte, fa bene e conviene! In compenso sono in crescita le bevande vegetali che un tempo si chiamavano latte. Puntano al 21% del mercato entro il 2020, pensare che venti anni fa non arrivano al 5. Nel mondo questo business vale 8,7 miliardi di dollari in Italia per ora la torta è di circa 800 milioni, ma i consumi sono in costante crescita: per le bevande con la soia l’incremento è del 2% annuo, quelle a base di altri ingredienti, come mandorla, nocciola, avena, cocco, crescono a doppia cifra a volume (+75,1%) e (25%) fatturato. Chi beve questi bibitoni in realtà cosa ingurgita? In larghissima parte acqua e tanto, tantissimo zucchero. Ci sono ovviamente delle differenze, nel caso del latte di mandorla la composizione più comune è questa: acqua, zucchero, mandorle (sfarinate), stabilizzanti, emulsionanti, sale e a volte aromi, minerali e vitamine. La legge non dice quante mandorle ci devono essere ma facendo un giro rapido tra le marche più diffuse si scopre che la percentuale difficilmente supera il 2%. Per capirci su cento grammi di prodotto ci sono 2 grammi di mandorle che corrispondono a 4 frutti! In quelli cosiddetti bio si arriva al massimo al 4%, gli unici che hanno un contenuto in mandorle significativo e pari circa alla ricetta originale siciliana sono il Condorelli (11%) e il Fabbri (16%). Ma a far drizzare le orecchie al consumatore dovrebbe essere il quantitativo di zucchero che oscilla tra 50 e 70 grammi litro e infatti l’apporto calorico di 100 millilitri di latte di mandorle arriva fino a 95 calorie quindi il 40% più del latte intero ma dentro non c’è praticamente nulla, zucchero a parte: prive di colesterolo e di lattosio, queste bevande sono povere di grassi saturi e contengono vitamina E, ma sono carenti in proteine, calcio e vitamina D (microelementi spesso aggiunti per avvicinarsi alla composizione nutrizionale del latte vaccino). Il prezzo poi oscilla da un minimo di 3 euro a un massimo di 7 euro il che vuol dire dal doppio a sei volte il prezzo del latte vaccino. Uguale al latte di mandorle è quello di nocciole a parte il dubbio della provenienza delle materie prime. Nessuna di queste bevande (compresi i succhi di frutta) indica la provenienza della materia prima e nel caso di cereali e frutta secca non è affatto secondario sapere da dove arrivano visto che ci sono Paesi dove si coltiva con uso massiccio di pesticidi, chimica in campo e dove spesso le merci vengono insilate sviluppando anche durante il trasporto quasi sempre via mare muffe e tossine. Non molto diversamente va con le bevande a base di riso che però hanno qualche vantaggio in più, compensato però negativamente dall’alta presenza di zuccheri. Ovviamente nella bevanda di riso come in quella di mandorle o soia non c’è ne lattosio né colesterolo: 100 grammi di prodotto hanno 54 calorie (65 quelle del latte) e un discreto apporto di calcio e di vitamina B-12, ma assai meno rispetto a latte.La bevanda a base di soia è la più «povera» di tutte anche se costa almeno tre volte un litro di latte. Ha poco zucchero, un discreto complesso vitaminico, ma ha una potente controindicazione: è ricca di ormoni vegetali che a lungo andare possono alterare il funzionamento della tiroide. Tutte queste bevande che costano un occhio possono essere preparate in casa perché basta un po’ di farina (riso fermentato, mandorle, nocciole, avena, fagioli di soia), acqua e volendo un po’ di miele. Il business delle bevande «vegetali» non finisce qui. Ci sono i succhi di frutta, i cosiddetti energy-drinks e i bibitoni post palestra. Tutti hanno un minimo comune denominatore: apportano tantissimo zucchero. Il massimo quantitativo di zucchero dovrebbe essere di 75 grammi al giorno per un maschio adulto e una bottiglietta post palestra ne contiene da sola mezzo etto! Succhi di fruttaLa legge è chiarissima: si possono chiamare succhi di frutta solo quelli che contengono il 100% di frutta addizionati solo di acqua. Tutto il resto con la frutta c’entra o poco nulla. Ci sono i nettari che arrivano fino al 50% di frutta e riguardano soprattutto gli agrumi. Poi ci sono le bevande a base di polpa e purea di frutta (soprattutto pesca, albicocca e pera) che al massimo hanno il 50% di frutta quasi sempre congelata o concentrata e reidratata e poi hanno dentro zucchero, acidificanti e addensanti. Infine ci sono bevande a base di frutta che arrivano al massimo al 12% di frutta o quelle come il chinotto e la cedrata che hanno aromi di frutta. La bottiglietta contiene dunque acqua, zucchero, acidificanti, coloranti e conservanti. Così è sbagliatissimo pensare che un succo a base di frutta sia equivalente al frutto e che sia idratante. Meglio acqua e una mela a morsi!Alternative? Una spremuta o una centrifuga. Sta in salute anche il portafoglio: con un chilo di pesche nettarine (80 centesimi) potete fare se centrifugate e allungate con acqua un litro di succo di pesca 100 per cento frutta. Quasi impossibile da trovare al supermercato dove - ammesso che lo troviate - potreste pagarlo fino a 8 euro. Ma anche qui l’industria e soprattutto la Grande distribuzione si sono inventati un’altra categoria di prodotti: li chiamano i funzionali. Sono i mix tra frutta e verdura. Nulla di diverso rispetto agli altri. Così come il richiamo del bio. Ora vanno di moda quelli senza zuccheri aggiunti (la legge in realtà già dice e da anni che i succhi di frutta non devono avere zuccheri se non quelli della frutta d’origine), formule tipo Ace che altro non sono che un mix di nettari o quelli di frutti rossi che sempre a base di frutta sono. Il marketing gioca molto sui fattori naturalità e bio, e ora vanno di moda i succhi spremuti a freddo. Ma il problema resta sempre: quanta frutta c’è davvero dentro e le regole sono sempre le stesse. Senza arrivare al paradosso di chi la mattina beve latte di mandorle e poi si fa lo yogurt da bere con aggiunta magari di mirtilli come spuntino! Tutto questo però vale un mercato da 1,8 miliardi circa che si sta segmentando tra succhi a lunga conservazione, bevande a base di frutta e succhi freschi. Bevande energeticheSono di gran moda tra gli adolescenti italiani che ne bevono 7 litri a testa l’anno. Ma sono delle autentiche bombe e se mescolate con gli alcolici diventano potenzialmente molto pericolose. Sono fatte di acqua, zucchero, caffeina, carnitina, taurina e ginseng. Purtroppo il consumo si sta diffondendo anche tra i bambini e questo ha messo in allarme i pediatri. Anche perché queste bevande danno dipendenza psicologica, possono causare aritmie cardiache, sbalzi pressori e a lungo andare diabete. Tanto per avere un’idea in una lattina da 250 cc ci sono 30 grammi di zucchero e 110 milligrammi di caffeina. Nella tazzina di espresso fatta con una buona miscela arabica è difficile arrivare sopra i 70 milligrammi! Eppure di bevande energetiche in Italia se ne consumano 6,5 miliardi di litri all’anno, con una crescita negli ultimi 5 anni che è stata del 10 per cento all’anno e un mercato che vale all’incirca un miliardo di euro.Gli integratoriLi chiamano sport drink e sono un prodotto puro di marketing. Tutti i campioni sono stati utilizzati per pubblicizzarli. In realtà queste bevande non servono (quasi) a nulla perché basterebbe acqua, con succo di limone e appena un grammo di sale per produrre lo stesso beneficio senza effetti collaterali. Giocano sul fatto di non essere gassati e dunque vengono percepiti, non si sa bene perché, come preferibili. I pediatri mettono in guardia dal dare ai ragazzi queste bibite perché sostengono che nessuno sforzo sportivo fatto da un adolescente riesce a disperdere tanti sali che non si possano reintegrare con una bottiglia d’acqua e il panno che di solito si mangia dopo l’allenamento. Comunque per saperne di più bisogna leggere l’etichetta. Tutti dai più famosi a più economici - si fa per dire - contengono acqua, sale potassio e magnesio, talvolta calcio. Non contengono vitamine, ma talvolta aromi di sintesi che richiamano la frutta. Hanno due ingredienti non proprio tranquilli. I coloranti e lo zucchero. I migliori usano il betacarotene, altri contengono coloranti di sintesi (E 110- E122) non proprio tranquillizzanti. Le calorie per 100 grammi variano tra 24 e 26, se ne hanno di meno attenzione perché potrebbe esserci un edulcorante come l’acesulfame K che sarebbe meglio evitare. Perché comunque sia dalle mandorle alle imprese sportive tutti cercano di darcela a bere.
Charlie Kirk (Getty Images
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