2019-10-20
Da piazza San Giovanni l’urlo dei duecentomila: «Via Giuseppi subito»
A Roma, i leader dell'opposizione riunita firmano il patto anti inciucio. Matteo Salvini: «Vinciamo in tutte le regioni e mandiamo a casa i giallorossi». Da Giorgia Meloni bordate contro Beppe Grillo, Virginia Raggi e Laura Boldrini: nessuno spazio per le frizioni della vigilia col Carroccio. Lo speciale contiene due articoli. «Vinciamole tutte e nove, e mandiamoli a casa». Poi Matteo Salvini elenca Umbria, Calabria, Emilia Romagna e via, contando le regioni nelle quali si voterà da domenica all'estate 2020. Una dopo l'altra, come se fossero partite di Champions league o colpi di maglio per abbattere la porta del Palazzo nel quale sono rinchiusi, prigionieri dell'inciucio, Giuseppe Conte, Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio. «Vinciamole tutte» è l'unica strategia possibile per un centrodestra di nuovo unito a Roma, con un colpo d'occhio da oltre 100.000 persone (200.000 per gli organizzatori, 70.000 per la questura) in quella piazza San Giovanni che un tempo era il luogo preferito di Enrico Berlinguer e Luciano Lama per contare il popolo in cammino. Salvini coglie il paradosso d'una sinistra sempre più lontana dalla gente: «Del resto oggi nel Pd ci sono più banchieri che operai». «Orgoglio italiano, una patria da amare e difendere» è il titolo-collante della giornata. Bandiere italiane, inno italiano, tradizioni italiane, storia italiana, orizzonti italiani, Oriana Fallaci nell'orgoglioso periodo italiano. Ce n'è abbastanza per far venire la gastrite a tutto il Pd, a mezzo Movimento 5 stelle, a Laura Boldrini, agli economisti col pallottoliere in fila per entrare alla Leopolda, agli artisti che in piazza San Giovanni ci vanno solo il primo maggio per il Concertone de sinistra e a Chef Rubio. Il colpo d'occhio è significativo, e qualcosa di nuovo accade sul palco lungo 60 metri: Silvio Berlusconi incorona leader della coalizione il numero uno della Lega, riconosce la sua supremazia e il suo vigore anagrafico, lo affianca con la saggezza del padre fondatore. Ma il Cavaliere ha la soddisfazione di vedere davanti a sé un Salvini nuovo, più istituzionale, quindi più vicino a lui. Nessuna felpa, nessun rosario, nessun mojito, nessun eccesso folcloristico. L'ex ministro dell'Interno non rinuncia ai toni gagliardi, ma rimane dentro il recinto istituzionale, percorre la strada che porta al municipio senza passare dal bar sport. Quella stagione sembra finita, la novità d'immagine era cominciata da Bruno Vespa davanti a Matteo Renzi e in pochi l'avevano colta. I temi sono quelli di sempre, il modo di porli è più garbato, senza eccessi. Anche se non privo di una certa quantità di veleno. Come quando, proprio riguardo al testa a testa televisivo, commenta: «Se avessi voluto battagliare avrei potuto salutare mia mamma e mio papà a casa, incensurati». Salvini ribadisce i suoi cavalli di battaglia, quelli che fanno scattare «l'orgoglio italiano»: immigrazione controllata e qualificata, taglio delle tasse, rispetto delle forze dell'ordine, elezione diretta del capo dello Stato, autonomia regionale per una migliore gestione delle risorse, attenzione ai bimbi, ai disabili, agli anziani («follia anche solo pensare di togliere loro il voto»). E concretezza legislativa. «Ci hanno spiegato per anni che sull'immigrazione non si poteva fare niente, invece abbiamo chiuso i porti e fatto arrivare chi aveva il permesso», insiste il leader del centrodestra in camicia bianca. «Qualcuno ha detto a messa che chi vota Lega non può dirsi cristiano, ma chi applica gli insegnamenti della Bibbia è colui che non permette le partenze. Meno partenze, meno morti. Al governo abbiamo gente con le mani sporche di sangue. Poi si genuflettono. Fuori la politica dalle chiese e dalle scuole: viva i parroci che fanno i parroci, viva i maestri che fanno i maestri». Non manca un avvertimento al ministro Luciana Lamorgese in chiave elettorale: «Dove c'è un sindaco della Lega, clandestini non ne arrivano più». Salvini cita Luigi Einaudi, don Carlo Gnocchi e Voltaire; sembra Massimo Cacciari alzatosi di buonumore. Ringrazia i governatori Luca Zaia e Attilio Fontana per avere portato a casa le Olimpiadi invernali del 2026. E aggiunge: «Sono testardi, porteranno in Italia lavoro, soldi, turisti. Fosse stato per i 5 stelle non ce l'avremmo mai fatta». Abbraccia gli immigrati regolari: «Se lavorano, pagano le tasse e mandano i figli a scuola sono nostri fratelli». Alza gli occhi e vede Bruxelles, a quel punto non si trattiene: «Adesso tutti si sono accorti che l'Europa non funziona e bisogna cambiare le regole. Quando vedi la tua verità sulle labbra del tuo nemico devi gioire, è il segno che avevi ragione». Non si lascia scappare l'occasione per criticare Virginia Raggi. «Vorrei una Roma più sicura e più pulita, ma due incapaci che si mettono insieme non fanno un buon sindaco e un buon governatore. Raggi e Zingaretti, il duo sciagura, Gianni e Pinotto. Due perdenti a livello nazionale non fanno un vincente». C'è posto anche per una riflessione sulla prepotenza turca. «Questa non è una piazza di estremisti, ma di italiani orgogliosi di esserlo. Una piazza che, se fossimo al governo, non permetterebbe lo sterminio del popolo curdo. Manderò a Erdogan il libro La masseria delle allodole sul genocidio armeno. Il regime turco non ha perso il vizio. Noi siamo amici di tutti, schiavi di nessuno. È la differenza con la sinistra». Ce ne sono anche altre, le illumina Silvio Berlusconi mentre la piazza lo applaude nel cuore della manifestazione che non piace a Renato Brunetta e Mara Carfagna. Il Cavaliere non ha perso il dono dell'immagine immediata: «Siamo qui per mandare a casa questo governo non eletto dagli italiani. Siamo qui a rappresentare l'Italia migliore, quella che lavora e produce. Siamo qui a dire no al governo delle cinque sinistre. Quattro in Parlamento - Movimento 5 stelle, Pd, Italia viva, Liberi e uguali - e forse con più potere di loro c'è la quinta, quella giudiziaria che non ha mai smesso di perseguitare gli avversari politici». Lui ne sa qualcosa. Giorgia Meloni è colorita: «I 5 stelle sono stretti nelle auto blu come le sardine in salamoia». Poi sventola un foglio sul quale sta scritto il patto anti-inciucio e chiede agli alleati di firmarlo. In attesa di azzerare l'uso del contante e tassare la cedrata, a sinistra si aspettano l'incidente, il saluto romano di Casa Pound, la manganellata eversiva. Ma si devono accontentare del solito, scontato, gastritico, affettuoso vaffa a Gad Lerner, che qui viene trattato come tutti i giornali democratici hanno trattato l'aggressione dell'inviato delle Iene al decennale grillino. Tre righe. Alla fine Salvini chiede al popolo in piazza di lasciarla più pulita di come l'ha trovata: «Ho pagato 9.000 euro per la raccolta differenziata, la Raggi dovrebbe preoccuparsi del resto della città». E quando arriva la sera il centrodestra di nuovo unito scende dal palco per avviarsi verso le elezioni in Umbria, il punto di partenza di quel «vinciamole tutte». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/da-piazza-san-giovanni-lurlo-dei-duecentomila-via-giuseppi-subito-2641030125.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-bagno-di-folla-archivia-la-polemica-sui-simboli" data-post-id="2641030125" data-published-at="1757790276" data-use-pagination="False"> Il bagno di folla archivia la polemica sui simboli