2023-03-09
Cure a casa ed effetti avversi. Così è stata ignorata la legge
Il piano pandemico, che in Ue è vincolante, prevedeva la mobilitazione dei medici di base per evitare di intasare gli ospedali. E poi, arrivato il vaccino, prescriveva di rafforzare la farmacovigilanza. Abbiamo fatto il contrario. il 5 gennaio 2020 - dedicava ampi paragrafi alla preparazione del sistema sanitario. Specifichiamo: quel documento, al momento della formulazione, recepiva la regolamentazione sanitaria internazionale di natura vincolante. Dal 2013 avremmo dovuto aggiornarlo perché la decisione 1082 del Parlamento europeo ci imponeva di farlo, e contestualmente, stabiliva che il piano avesse valore prescrittivo. In sostanza, quelle contenute nel piano avrebbero dovuto diventare vere e proprie norme. L’Italia ha commesso errori su errori: non ha mantenuto «vivo» il piano, non lo ha adeguato alle disposizioni europee e infine non lo ha seguito quando la pandemia è arrivata. Tra le prime azioni da mettere in pratica era previsto il censimento dei medici di medicina generale, degli specialisti e dei pediatri da schierare in modo da garantire un «razionale accesso alle cure». Significa che ancora prima di rintracciare i casi iniziali, l’Italia avrebbe dovuto attrezzarsi per avere persone attive sul territorio, che andassero a prendersi cura dei pazienti evitando di intasare gli ospedali. Che cosa sia invece accaduto lo sappiamo: ci siamo trovati con l’acqua alla gola, con i medici di base che in parte uscivano senza protezioni e senza indicazioni e che in parte rifiutavano di uscire. Il risultato fu che la maggioranza delle persone malate correvano in ospedale, un assalto causato soprattutto dal fatto che, a un certo punto, ai medici di base fu decisamente sconsigliato (per usare un eufemismo) effettuare visite a domicilio. Furono poi create le Usca, le unità per l’intervento domiciliare, che però funzionarono in modo inadeguato e per un tempo troppo limitato. Ebbene, se il piano fosse stato attivo le autorità avrebbero potuto e dovuto muoversi prima, provvedendo ad accordarsi a dovere con i dottori sul territorio e a dotarli del materiale necessario per operare in sicurezza. È interessante, poi, notare quanta enfasi il piano del 2006 mettesse sui farmaci necessari a fronteggiare l’epidemia, prevedendo nel dettaglio lo stoccaggio di sufficienti quantità di antivirali. Ciò ci fa pensare che il tema delle cure fosse considerato fondamentale da chi ha stilato il vecchio documento. Ecco, anche in questo caso l’azione dell’Italia è stata parecchio discutibile. È vero che nella fase iniziale sono stati procurati antivirali che poi si sono rivelati inutili. Ma successivamente, anche prima della introduzione del vaccino, alle cure è stata data scarsissima rilevanza: per lo più si è ripetuto che non ve ne erano a disposizione. Ricorda la professoressa Maria Rita Gismondo che «il Sacco, come lo Spallanzani, ha condotto studi molto importanti. Ma a livello di terapie abbiamo sempre avvertito il freno tirato, ci sono stati tantissimi ostacoli». Questo era il clima. Riepilogando: se avessimo agito applicando un piano e non con «cieca disperazione» (copyright Walter Ricciardi) avremmo potuto e dovuto preparare il sistema sanitario all’impatto, operando in maniera razionale, organizzando l’assistenza anche domiciliare e concentrandoci pure sulle cure, e non soltanto su chiusure e - successivamente - vaccinazioni. In ogni caso, anche sulle iniezioni il piano pandemico, già nel 2006, era estremamente chiaro. Ovviamente spiegava come gestire l’acquisto e lo stoccaggio delle dosi, faccende che - grazie alla gestione comunitaria - sono state gestite in maniera per lo meno opaca. Ma, soprattutto, in ogni paragrafo dedicato alla inoculazione il piano si premurava di imporre alle autorità sanitarie di «rinforzare il sistema di farmacovigilanza già utilizzato a livello nazionale per via elettronica per rilevare gli eventi avversi a vaccino». Nel periodo del Covid, ormai è noto ai più, la vigilanza sui vaccini è stata passiva e pure parecchio macchinosa, il che sembra in netto contrasto con la perentorietà del piano riguardo il monitoraggio costante ed efficace. A dirla tutta, ciò che è stato comunicato alla popolazione per molti mesi era che i vaccini non avessero sostanzialmente effetti avversi, cosa che sappiamo non essere vera. Già il fatto stesso che il piano del 2006 si occupasse di effetti avversi significa che, in ogni campagna di vaccinazione, le reazioni negative vanno messe in conto e seguite con attenzione. Proprio quella che noi non abbiamo dimostrato di avere. C’è di più. Nella parte dedicata alla comunicazione - forse la più snobbata di tutte - il documento di risposta e preparazione alla pandemia è cristallino: «Durante la pandemia», stabilisce, bisogna «monitorare attraverso dati di sorveglianza l’efficacia di campo delle misure di sanità pubblica intraprese, degli antivirali e del vaccino pandemico; monitorare attraverso dati di sorveglianza la sicurezza degli antivirali e del vaccino pandemico; assicurare la valutazione della risposta alla pandemia una volta che la prima ondata sia conclusa. La valutazione dovrebbe concentrarsi sulla risposta a tutti i livelli e dovrebbe condurre alle raccomandazioni per il miglioramento; assicurare che i risultati delle ricerche, sia locali che internazionali, siano resi pubblici per supportare il miglioramento delle strategie di risposta». A leggere queste righe viene da strapparsi i capelli per la disperazione. Con tutta evidenza, il piano descrive un meccanismo virtuoso, rispettoso delle procedure democratiche e della dignità della popolazione. Una dignità che i nostri governanti - disprezzandola - si sono divertiti a calpestare.