2024-03-30
Culle vuote, produzione ferma: piange il Nord
Gli imprenditori in Lombardia, Piemonte e Veneto vedono uno stop della crescita e la mancanza di manodopera. La crisi delle nascite colpisce soprattutto il Settentrione che ha il rapporto peggiore tra professionisti verso la pensione e nuovi lavoratori.L’economia italiana soffre più al Nord che al Sud. Potrebbe sembrare un paradosso, dato che storicamente è sempre stato in maggior parte il Settentrione a portare a casa il bilancio del Paese, ma tra produzione al palo (perlopiù concentrata al Nord) e natalità in picchiata le previsioni non appaiono essere tra le più rosee. Del resto, è quanto emerge dall’indagine del Centro studi di Confindustria sull’attività delle grandi imprese industriali che mostra come quasi un imprenditore su due veda una dinamica della produzione ferma a marzo. In dettaglio, il 47,5% del campione delle grandi imprese industriali associate a Confindustria ritiene che a marzo la produzione resterà stabile. Gli imprenditori, collocati in larga parte in regioni come la Lombardia, il Piemonte, il Veneto, l’Emilia-Romagna per citarne alcune, ritengono inoltre che il dato relativo alla disponibilità di manodopera a marzo rimanga negativo (-1,7%), non discostandosi molto, poi, dai valori dei due mesi precedenti (-1,8% a gennaio e - 2,3% a febbraio). Negativi, in più, anche i saldi relativi alla disponibilità di materiali (-1,6%) e alla disponibilità di impianti (-1,4%). Per intenderci, a marzo, quest’ultimo valore ha raggiunto il picco minimo dall’inizio dell’indagine alle grandi imprese industriali di Confindustria. Come se non bastasse, a febbraio, per il secondo mese consecutivo, l’indice Rtt (quello che misura i ricavi aziendali) di Confindustria indica una moderata flessione del fatturato a prezzi costanti delle imprese italiane, pari a -0,2%, dopo un -0,5% a gennaio. In particolare (e non stupisce), l’indice Rtt registra moderati cali sia per il Nord-Ovest (-0,4% a febbraio), sia per il Nord-Est (-0,1%), una flessione più forte al Centro (-2,0%), mentre al Sud indica un moderato aumento (+0,5%). Il motivo appare chiaro: al Sud i costi sono di solito meno elevati e, in tempi di inflazione alla stelle e tassi di interesse ancora elevati, questo può fare tanta differenza.A peggiorare una situazione incerta in tutta la parte produttiva del Paese, c’è poi da considerare che il futuro manifatturiero dell’Italia non potrà certo fare affidamento su un esercito di portentosi professionisti italiani nati in questi anni. A certificarlo è l’Istat che ieri ha diffuso dati scoraggianti all’interno del report «Indicatori demografici anno 2023». Il calo delle nascite, infatti, non accenna a diminuire. Secondo i dati provvisori diffusi dall’istituto nazionale di statistica, i nati residenti nel nostro Paese nell’anno concluso tre mesi fa, sono 379.000 con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle culle rispetto al 2022 è di 14.000 unità (-3,6%). Per intenderci, insomma, dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197.000 unità (-34,2%) in dodici mesi.In dettaglio, a determinare una «questione settentrionale» c’è un calo delle nascite al Nord, area dove sono concentrati spesso i tessuti produttivi più importanti e dove i costi della vita stanno schiacciando il benessere medio dei cittadini. Insomma, i figli costano e se ne fanno di meno (anche se il calo riguarda tutto il Paese). In particolare, nel settentrione il numero medio di figli per donna continua a diminuire passando dai 1,26 del 2022 agli 1,21 nel 2023. Non solo, con gli stipendi da fame che caratterizzano la penisola, in Italia i figli si fanno sempre più tardi. Il fenomeno della posticipazione delle nascite (che dunque comporta il ritardare l’arrivo sul mercato di professionisti che producono) è ormai una costante. Nel 2023 l'età media al parto è stata di 32,5 anni (+0,1 sul 2022). Tale indicatore, in aumento in tutte le aree d’Italia, continua a registrare valori elevati nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) superiori rispetto al mezzogiorno (32,2), dove però si nota l'aumento maggiore sul 2022 (era 32).Il punto è che un calo della natalità e il continuo ritardare la gravidanza sta portando a effetti nefasti in tutta Italia e nel Settentrione. Per capirci, il rapporto tra professionisti anziani che si avviano alla pensione e nuovi lavoratori che arrivano sul mercato continua ad essere negativo. Quest’anno, in particolare, si supererà la soglia negativa di 200.000 lavoratori che lasciano il mondo del lavoro e non verranno sostituiti. Non produrranno reddito e nemmeno pensioni per le generazioni future. E nemmeno gli immigrati basteranno a ridurre questo problema. Nel 2024, insomma, l’Italia subirà un calo della sua popolazione professionalmente attiva. Anche in questo caso il danno maggiore si registra al Nord, poi al Centro e all’ultimo posto al Sud. In particolare, Nord e mezzogiorno, dopo aver registrato lo stesso livello di fecondità due anni fa, ora si discostano nuovamente. Il Meridione, dopo venti anni, torna quindi ad avere una fecondità superiore a quella del centro-nord. Un problema per l’economia del nord Italia e quindi per tutto il Paese. Le stime, poi, vedono questa voragine raddoppiare entro il 2029 arrivando a un saldo negativo di italiani in età da lavoro di circa 400.000 unità.
Manifestazione a Roma di Ultima Generazione (Ansa)