2025-01-15
I cristiani sempre più perseguitati: oltre 380 milioni in tutto il mondo
I dati sconvolgenti svelati dal report della Ong Porte Aperte/Open Doors, che sarà presentato oggi alla Camera. Quattro Paesi «fortemente islamici» tra i primi cinque dove il fenomeno è più allarmante. Sarah Champion, deputata del partito del premier Starmer, invoca l’aperturadi un’inchiesta e di un accertamento nazionale sulle gang di pakistani stupratori. Lo speciale contiene due articoli.Oltre 380 milioni di cristiani perseguitati nel mondo, in pratica uno su sette: 15 milioni in più rispetto allo scorso anno e, soprattutto, mai così tanti nella storia. È la sconvolgente fotografia che emerge dalle 22 pagine della World watch list 2025, l’ultimo report della Ong Porte Aperte/Open Doors che, in 32 anni di ricerche su questi temi, mai si era trovata a dover fare i conti con uno scenario tanto allarmante, che include anche migliaia di cristiani uccisi: quasi 4.500 l’anno. Questo nuovo documento, che sarà presentato oggi alla 11:30 alla Sala stampa della Camera dei Deputati - alla presenza, oltre che del direttore della Ong Cristian Nani, del vicedirettore della Verità Francesco Borgonovo, del giornalista Matteo Giusti e di Giangiacomo Calovini, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Affari Esteri - è l’esito di un lungo lavoro, che vede 100 Paesi del mondo monitorati in 70 dei quali è presente Open Doors stessa, per un totale di circa 4.000 tra persone coinvolte, ricercatori nazionali, esperti esterni e un team ad hoc di analisti.Grazie alla mappatura della World watch list 2025, è possibile conoscere con precisione anche la suddivisione per aree degli attacchi cui sono soggetti i credenti in Gesù Cristo, con un cristiano su cinque perseguitato in Africa, due cristiani perseguitati ogni cinque in Asia ed uno ogni sedici in America Latina. La nazione dove le persecuzioni sono più feroci in assoluto, in realtà da ormai oltre 20 anni, risulta essere sempre la stessa: la Corea del Nord capeggiata dal leader supremo Kim Jong-un, dove si applica un regime di tolleranza zero che si stima abbia portato a rinchiudere nei campi di lavoro forzati fino a 70.000 cristiani, obbligando gli altri vivere la propria fede in clandestinità; e molti di quanti provano a fuggire sono spesso e volentieri rimpatriati a forza dalla Cina, altro Paese non esattamente faro di tolleranza, dato che i cristiani li destina al carcere, alla tortura e in alcuni casi alla morte.Per quanto riguarda l’area dove gli aumenti di persecuzioni sono più tangibili, l’epicentro è quello dell’Africa Subsahariana, ma la situazione appare preoccupante anche a seguito delle guerre civili in Yemen e Myanmar. Colpisce inoltre l’inasprimento in atto in Asia Centrale, con in pratica tutti i Paesi considerati che - per effetto d’un crescente autoritarismo, il cui apice si tocca in Kirghizistan - vedono un aggravamento delle condizioni dei cristiani. Sarebbe tuttavia miope fermarsi ad una lettura meramente politica di questo fenomeno, che ha una origine religiosa in molti casi; di sicuro, quanto meno, in quelli più gravi. Tanto è vero che Open Doors, se da un lato giustamente elenca nel rapporto varie ragioni per cui i cristiani sono perseguitati nel mondo - dall’antagonismo etnico all’oppressione comunista e post-comunista -, dall’altro lato non ha dubbi nell’indicare quale sia la principale di queste ragioni, vale a dire l’«oppressione islamica, dovuta al fatto che si cerchi di riportare il mondo sotto la “Casa dell’islam”, con azioni violente o meno». Coerentemente con questa considerazione, si può agevolmente osservare come ben quattro delle cinque nazioni dove i cristiani se la passano peggio siano «fortemente islamiche»: Somalia, Yemen, Libia e Sudan. Proprio in conseguenza delle violenze poste in essere da gruppi di terroristi islamici e altre ramificazioni religiose radicale, si stima - solo in Africa Subsahariana e senza contare le famiglie delle vittime di uccisioni, stupri, detenzioni - siano qualcosa come 16,2 milioni i cristiani sfollati. Un numero immenso e davanti al quale l’unico lieve miglioramento registrato da Open Doors rispetto alla rilevazione precedente - la diminuzione dei cristiani uccisi - appare ridimensionato; tanto più che questa diminuzione, che vede le vittime scese da 4.998 a 4.476, è tale principalmente per il calo in Nigeria che con 3.100 morti, tuttavia, rimane l’epicentro dei massacri, che peraltro aumentano nei Paesi vicini. C’è inoltre da ricordare un aspetto fondamentale e quasi mai considerato, e cioè che le violenze contro i cristiani nel mondo, spesso, si manifestano anche in stupri e violenze sessuali; del tema si parla poco, va detto, anche perché purtroppo in non pochi Paesi le denunce sono rare, per ragioni culturali e sociali. Tuttavia, un dato minimo di partenza, secondo le stime incrociate con testimonianze raccolte da Open Doors, c’è e non appare affatto marginale, dato che parliamo di quasi 4.000 casi - 3.944 per l’esattezza -, anche qui un numero in aumento rispetto ai 3.231 dell’anno precedente. 821, poi, i casi di matrimoni forzati di giovani donne cristiane, in crescita rispetto ai 609 della World watch list 2024. «Pur migliorando la nostra ricerca», sottolinea dinnanzi a questi numeri la Ong autrice del report, «siamo qui a ripetere anno dopo anno che questi numeri sono la punta di un iceberg di violenze domestiche, silenziose, continue specie contro donne e bambini». Tutti orrori commessi, spesso, nell’indifferenza dell’Occidente. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/cristiani-sempre-piu-perseguitati-2670856099.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-laburisti-si-svegliano-sugli-abusi" data-post-id="2670856099" data-published-at="1736932581" data-use-pagination="False"> I laburisti si svegliano sugli abusi Il clamore suscitato dal caso delle grooming gangs nel Regno Unito si sta trasformando in un terreno sempre più scivoloso per il primo ministro laburista Keir Starmer. Se in un primo momento le pressioni per aprire un’indagine nazionale provenivano solo dai conservatori, ora il premier viene messo alle strette anche dai membri del suo stesso partito. Si continua a cercare giustizia, infatti, per gli orrori a danni di giovani donne portati avanti per anni da bande di adescatori, prevalentemente di origine pakistana. Dopo che Elon Musk su X aveva acceso i riflettori sulla vicenda, Starmer era intervenuto spiegando di essere contrario all’apertura di un’inchiesta nazionale in quanto ritarderebbe l’applicazione delle raccomandazioni della professoressa Alexis Jay: colei che nel 2022 aveva concluso un’indagine sui bambini e minori vittime di abusi, fornendo diverse misure non ancora implementate. La motivazione del primo ministro non sembra attecchire nemmeno nel Partito laburista. La deputata Sarah Champion ha infatti chiesto che sia aperta un’inchiesta nazionale sulle bande di adescatori. Nella Camera dei comuni, Champion rappresenta proprio la circoscrizione di Rotherham, la cittadina nel South Yorkshire dove tra il 1997 e il 2003 si sono registrati 1.400 abusi su minori. La deputata ha sottolineato quanto sia necessaria quest’azione per affrontare il fallimento di chi deteneva l’autorità. Ma anche per ristabilire un rapporto di fiducia con la popolazione britannica, sprofondata in un clima di diffidenza verso le autorità, incapaci per anni di affrontare la questione delle grooming gangs. Una visione supportata dalle stesse conclusioni di Jay, secondo cui gli abusi sono stati spesso insabbiati dalle istituzioni che «hanno dato priorità alla loro reputazione, piuttosto che al benessere di coloro che avevano il dovere di proteggere».Tornando alla deputata laburista, ha proposto un piano con cinque raccomandazioni: l’indagine nazionale per l’appunto, l’implementazione delle raccomandazioni di Jay, un accertamento nazionale sulla portata del problema e sulle motivazioni dei membri delle gang, una revisione delle leggi esistenti sulla protezione dei bambini. Champion ha infatti dichiarato: «Credo da tempo che dobbiamo comprendere appieno la natura di questo crimine e i fallimenti nella risposta degli enti pubblici se vogliamo davvero proteggere i bambini». Aggiungendo anche che «è chiaro che solo un’inchiesta nazionale sugli errori di coloro che detengono l’autorità» riguardo alle bande di adescatori «ripristinerà la speranza verso i nostri sistemi di salvaguardia».Ma non è l’unica tra le fila del partito laburista a non condividere la linea del primo ministro britannico, anzi sono diversi coloro che ne hanno già preso le distanze: Paul Waugh, deputato laburista per Rochdale, altra cittadina in cui tra il 2004 e il 2024 sono state abusate centinaia di bambine e a cui è seguita la condanna di 42 uomini un anno fa, si è detto disponibile per l’apertura di una nuova inchiesta così come il sindaco di Greater Manchester, Andy Burnham. «Il governo deve usare tutti i mezzi a sua disposizione per garantire che sia fatta giustizia sulle bande di adescatori» ha sostenuto un altro deputato laburista, Dan Carden, sostenendo l’apertura dell’inchiesta nazionale. Annuncio che ha accolto il ringraziamento di Musk, che, anche in questo caso, ha condiviso subito la notizia su X.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
Continua a leggereRiduci
Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
Continua a leggereRiduci