Mentre i cardinali parlano di come allentare la morale cattolica per adeguarla ai «segni dei tempi», i credenti che vanno a messa sono ormai meno del 20%. Chi la diserta lo fa per pigrizia o per delusione verso il sacerdote. Il problema è l’apatia, non il gender.
Mentre i cardinali parlano di come allentare la morale cattolica per adeguarla ai «segni dei tempi», i credenti che vanno a messa sono ormai meno del 20%. Chi la diserta lo fa per pigrizia o per delusione verso il sacerdote. Il problema è l’apatia, non il gender.La distanza tra le discussioni ai tavoli del Sinodo sul sinodo e la gente rischia di diventare troppo grande. Su cosa si interrogano i padri sinodali? Su come essere Chiesa oggi, soprattutto, ma è chiaro che ciò che arrovella il dibattito sinodale riguarda alcune scelte che vorrebbero essere dei ponti lanciati verso i «segni dei tempi». Benedizione delle coppie gay in chiesa, ordinazione delle donne, una morale sessuale più vicina alle nuove «scoperte delle scienze umane», concedere caso per caso la comunione a divorziati risposati anche se non vivono come fratello e sorella.A seguire il dibattito nell’aula del Sinodo sembra che la preoccupazione per evangelizzare oggi sia quella di allentare la morale cattolica, peraltro una strana eterogenesi dei fini che riguarda proprio coloro che hanno sempre lamentato la troppa attenzione data ai peccati legati al sesto comandamento.In realtà, i numeri che emergono da alcune recenti indagini condotte sugli italiani e la fede sembrano suggerire che il grande assente dentro la grande crisi di fede che attanaglia anche la «cattolicissima Italia» è semplicemente Dio, ovvero l’abc.La rivista più chic del cattolicesimo liberal italiano, Il Regno, ha pubblicato nel suo ultimo numero un’indagine in cui fa emergere che gli italiani che vanno a messa alla domenica sono il 18% (era il 28% nel 2009), mentre l’indagine condotta da Euromedia research per la rivista Il Timone ha rilevato una percentuale di italiani che segue il precetto della messa domenicale pari al 13,8%. Possiamo interpretare questi numeri in vari modi, ma di certo quella che Giovanni Paolo II, circa trent’anni fa, definiva «eccezione italiana» è finita.Nell’indagine de Il Regno i numeri più impietosi, poi, riguardano i giovani. Tra gli italiani nati dopo il 1980, la percentuale di quelli che vanno alla messa domenicale è crollata al 7% e tra i nati dopo il 1990 la percentuale di quelli che dicono di credere in Dio è circa il 37%. La Chiesa assume, così, il volto di una signora anziana e peraltro dotata di una fede abbastanza liquida se, come ha rilevato l’indagine del Timone, tra dieci persone ancora sedute tra i banchi della domenica ce ne sono poco più di tre che dicono di confessarsi almeno una volta all’anno, che sarebbe il minimo sindacale previsto dal Catechismo.E, sempre dall’indagine del Timone, gli italiani che vanno a messa non si fanno certo problemi ad andare a messa e considerare l’aborto un diritto (43,8%), il divorzio e la contraccezione come semplici scelte variabile non peccaminose (rispettivamente il 43,8 e il 61,8%). Quindi, se il Sinodo cerca di aggiornarsi sulla morale per stare al passo con i tempi, con questi numeri si può tranquillamente dire che il gregge è già in avanzata fase di aggiornamento.Che tra i tavoli del Sinodo sul sinodo si rischi di non centrare l’obiettivo lo attesta soprattutto la domanda che l’indagine del Timone ha rivolto sulle cause dell’abbandono. La domanda è stata posta a coloro che dicono di non andare a messa: «Per quale motivo Lei non va a messa e/o ha smesso di andarci?». Ebbene, a leggere i risultati la percentuale minore la rileva proprio la risposta «perché la morale cattolica è troppo rigida», che arriva appena a un 6.8%. Ben più rilevanti coloro che dicono di non andare a causa della «pigrizia» (20,8%) e per la «delusione di uno o più sacerdoti» (19,3%). C’è anche un buon 9% che dice di «non avere tempo».Insomma, se anche questi sono segni dei tempi, appare chiaro che più che i problemi di «accompagnamento» nell’amore ferito, di gender e affini, ciò che vince è l’apatia, l’indifferenza, il vivere «come se Dio non esistesse». Soprattutto, come scrisse Benedetto XVI nella importante lettera scritta ai vescovi del mondo il 10 maggio 2009, «il vero problema in questo nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che, con lo spegnersi della luce proveniente da Dio, l’umanità viene colta dalla mancanza di orientamento, i cui effetti distruttivi ci si manifestano sempre di più».
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».
Antonio Scoppetta (Ansa)
- Nell’inchiesta spunta Alberto Marchesi, dal passato turbolento e gran frequentatore di sale da gioco con toghe e carabinieri
- Ora i loro legali meditano di denunciare la Procura per possibile falso ideologico.
Lo speciale contiene due articoli
92 giorni di cella insieme con Cleo Stefanescu, nipote di uno dei personaggi tornati di moda intorno all’omicidio di Garlasco: Flavius Savu, il rumeno che avrebbe ricattato il vicerettore del santuario della Bozzola accusato di molestie.
Marchesi ha vissuto in bilico tra l’abisso e la resurrezione, tra campi agricoli e casinò, dove, tra un processo e l’altro, si recava con magistrati e carabinieri. Sostiene di essere in cura per ludopatia dal 1987, ma resta un gran frequentatore di case da gioco, a partire da quella di Campione d’Italia, dove l’ex procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti è stato presidente fino a settembre.
Dopo i problemi con la droga si è reinventato agricoltore, ha creato un’azienda ed è diventato presidente del Consorzio forestale di Pavia, un mondo su cui vegliano i carabinieri della Forestale, quelli da cui provenivano alcuni dei militari finiti sotto inchiesta per svariati reati, come il maresciallo Antonio Scoppetta (Marchesi lo conosce da almeno vent’anni).





