2019-07-26
Corte dei conti contro Fidi Toscana
Rosso da 49 milioni, ma il presidente renziano si raddoppia lo stipendio. La società ha dato una fideiussione a Laura Bovoli per la Chil, venduta e fallita prima di restituire tutto.Sarà forse una nuova dottrina economica quella che applicano dalle parti di Fidi Toscana, la società finanziaria partecipata (al 46,28%) dalla Regione Toscana. E che consente al presidente di una azienda in perdita dal 2012 al 2018, con un rosso complessivo di 49 milioni di euro, di raddoppiarsi i compensi invece di ridurseli. Il manager in questione si chiama Lorenzo Petretto, rampante quarantenne di Firenze, che dal 2015 guida la spa che eroga crediti e finanziamenti alle Pmi del territorio. Considerato molto vicino al Giglio magico, Petretto è stato anche consigliere economico del ministro dello Sport Luca Lotti fino al giugno scorso. Di lui (e di Fidi Toscana) si è recentemente occupato il procuratore regionale della locale Corte dei conti, Acheropita Mondera, nella requisitoria sul «giudizio di parifica sul rendiconto generale della Regione Toscana per l'esercizio finanziario 2018». Un'analisi impietosa dello stato in cui versano le finanze regionali e le partecipate, soprattutto. Mondera, a proposito di Fidi Toscana, parla di una situazione «molto critica». Il 2018 si è chiuso con un deficit di 9,4 milioni che conferma il «trend negativo» che nel 2017 «ha fatto registrare una perdita pari a 13,7 milioni». Fidi Toscana è una «sorvegliata speciale» dell'amministrazione regionale che ha attivato, nei suoi confronti, un «monitoraggio rafforzato» per frenarne lo «squilibro economico». Il patrimonio netto della società, in cinque anni, si è ridotto del 38% (63,4 milioni) e in un solo anno del 26,12% (36,5 milioni) assestandosi a 103,5 milioni nel 2018. Il che significa che è vicinissima la soglia critica. I costi fissi, spiegano i magistrati contabili, sono molto alti e sono «aumentate» le spese per il personale, passate da 5,09 milioni a 5,34 milioni «nonostante le attività siano sensibilmente calate».Malgrado queste condizioni di difficoltà, fronteggiate con trasferimenti in conto capitale e in conto esercizio da parte della Regione Toscana per oltre 33,6 milioni di euro, l'assemblea dei soci ha deciso all'unanimità di aumentare «gli emolumenti individuali degli amministratori». Tra cui Petretto, appunto, che ha visto crescere il suo stipendio del 100%: da 16.000 a 33.000 euro all'anno.«Non stiamo parlando di cifre per le quali viene meno il bilancio regionale», spiega il presidente di Fidi Toscana alla Verità. «Lei può immaginare quale può essere l'impegno di presiedere il cda di un'azienda vigilata da Banca d'Italia che si riunisce due-tre volte al mese. Un'azienda con un piano di ristrutturazione che porterà a una riduzione dei costi del personale e di quelli di struttura». Sul raddoppio dei compensi, Petretto spiega: «Abbiamo tagliato il numero dei consiglieri da undici a cinque a cui ha fatto seguito un aumento del carico delle responsabilità. Costiamo troppo? Tutt'altro. Consideri inoltre che abbiamo eliminato la parte variabile del gettone di presenza e altri emolumenti che spettavano ai consiglieri. Inoltre abbiamo cancellato il compenso per il vicepresidente, e in totale il nostro cda costa meno di quelli precedenti nel suo complesso».Tra le tante aziende a cui Fidi Toscana ha offerto garanzie bancarie ce n'è anche una molto particolare: la Chil srl della famiglia Renzi, quella di cui Matteo è stato dirigente in aspettativa per cinque mesi. A rivolgersi alla finanziaria regionale era stata mamma Laura Bovoli per chiedere la copertura per un mutuo. Grazie a una legge regionale che puntava a incentivare l'imprenditoria femminile, la signora era riuscita a ottenere una fideiussione del 50% della somma, pari a 349.000 euro su 700.000 totali. Solo che, appena sette giorni dopo aver ottenuto l'autorizzazione, le quote della Chil srl detenute in maggioranza dalla stessa Bovoli e dalle figlie Matilde e Benedetta erano state restituite a Tiziano Renzi, sicché la gestione «rosa» della ditta era durata giusto il tempo di presentare la pratica e farsela approvare. A occuparsi dell'istruttoria bancaria era stato invece Marco Lotti, papà del futuro ministro Luca, all'epoca dirigente corporate della filiale della Banca di credito cooperativo di Pontassieve. La Chil venne successivamente ceduta da Tiziano al genovese Gianfranco Massone (il papà di Mariano, arrestato insieme ai Renzi a febbraio per bancarotta e false fatturazioni) con in pancia le rate del mutuo non ancora rimborsato. Con il fallimento dell'azienda, Fidi Toscana versò alla Bcc 266.000 euro a copertura della garanzia per il prestito. Soldi poi rimborsati alla finanziaria regionale toscana dal ministero del Tesoro. Ovvero, da tutti i contribuenti italiani.