2023-11-14
        I combustibili fossili? Insostituibili. Ecco perché il summit green fallirà
    
 
        La presentazione del summit Cop28 di Dubai (Getty Images)
    
Immaginare un mondo alimentato solo da fonti energetiche pulite è impossibile. Ma al vertice di Dubai non l’hanno ancora capito e si ostinano a inseguire modelli socio-economici vecchi di almeno 200 anni.Dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai (Emirati Arabi Uniti) si terrà la Cop28, ma se ne parla già da giorni, probabilmente per via dell’annuncio di papa Francesco determinato ad esser presente. Cop significa «Conferenza delle parti», ed è una conferenza planetaria cui parteciperanno quasi 200 Paesi. Possiamo tranquillamente prevederne il fallimento senza sapere null’altro che il significato del numero 28, che significa che è la 28ma volta che i mammasantissima del globo si riuniscono con un unico preciso obiettivo, di tutta evidenza sempre fallito per 27 volte. Cominciarono nel 1995, a Berlino, con la seguente parola d’ordine: «Agire sùbito!». E dicevano «sùbito» perché, altrimenti ci sarebbe stata la fine del mondo. E così il fallimento, perpetratosi per 27 anni consecutivi, è stato ogni volta doppio: intanto perché non hanno agito, né sùbito né in ritardo, e poi perché la fine del mondo non è occorsa. Cionondimeno, la parola d’ordine oggi è la stessa: «Agire sùbito». Quando si dice avere idee poche ma fisse.Il pluriennale reiterato fallito obiettivo lo sapete: azzerare le emissioni di CO2 che, secondo la comune vulgata, sarebbero responsabili del cambiamento climatico. Attenzione, però: il fallimento non è la circostanza che le emissioni di CO2 non siano state azzerate, bensì che, invece, sono aumentate, e non di poco. I propositi di riduzione si son sempre fatti rispetto ai livelli del 1990: una volta, col protocollo di Kyoto, dovevano ridursi del 3% a livello globale entro il 2012, col pacchetto per il clima 20-20-20 la Ue avrebbe ridotto le emissioni del 20% entro il 2020 (il che avrebbe significato una riduzione globale del 2%). Al 2012 le emissioni, lungi dal ridursi del 3% erano aumentate del 40%; e al 2020, lungi dal ridursi del 2% erano aumentate del 60%, con la Ue che ha delocalizzato le proprie attività emettendo nei cieli di Pechino quel che prima emetteva nei cieli di Bruxelles. Con gli accordi di Parigi del 2015 non so cos’altro si proponevano di fare, ma a questo punto è irrilevante saperlo, come sarà irrilevante qualunque cosa diranno il prossimo mese a Dubai: aria fritta è stata per 27 anni e aria fritta sarà anche quest’anno.Ciò di cui non mi capacito è che chi governa il mondo non si ponga il problema del perché del fallimento. Dopo 27 anni l’unica che disse una cosa sensata è stata Giorgia Meloni, alla Cop27 d’Egitto: «Signori, qui o le riduzioni le facciamo tutti o è meglio lasciar perdere». E infatti due soli Paesi (Cina e India) emettono quasi la metà del mondo, cosicché le loro scelte sono determinanti per il successo dell’insano proposito; senonché essi, rispetto ai livelli del 1990, hanno aumentato le loro emissioni del 360%, quindi, come disse la nostra presidente, meglio lasciar perdere.Ora, non voglio parlare di clima globale, ché mi ci sgolo abbastanza da 23 anni e invano: rispetto al clima, l’insano proposito non ha successo perché il clima non è un problema, cosicché non può aver successo la soluzione di un problema che non c’è. Vorrei invece spendere due parole del perché il proposito è insano. In breve: è tale perché il mondo gira per un verso che, di tutta evidenza, non è ben compreso da questi che lo governano.Dalla notte dei tempi fino a due secoli fa, l’unica energia disponibile è stata quella dal sole ed è l’energia dal sole quella che ha alimentato, al 100%, il fabbisogno energetico dell’umanità. Oggi l’energia dal sole contribuisce per meno del 10% (principalmente nella forma di idroelettrico), cosicché essa è l’energia del passato e non del futuro. La parola-chiave per comprendere come l’uomo si serve dell’energia non è la parola «energia» ma la parola «potenza». Questo è un concetto cruciale. Tutte le civiltà si sono sviluppate perché hanno avuto a disposizione energia abbondante, con la potenza desiderata, e a buon mercato. Tutte, nessuna esclusa. E ove non v’è stata energia disponibile a buon mercato, in abbondanza e con la potenza desiderata, non s’è sviluppata alcuna civiltà. Ora, quella dal sole, in tutte le sue forme eccetto una, sarebbe abbondante e gratis, ma non era disponibile con la potenza desiderata. Faceva eccezione quella dalla legna da ardere, che infatti è stata largamente usata e che però, in assenza di macchine termiche, per millenni ha fornito solo calore. Cosa ha fornito, alle civiltà del passato, il lavoro con la potenza desiderata? Gli schiavi. In definitiva, le comunità che hanno praticato la schiavitù (e che sono state sufficientemente ingegnose) si sono sviluppate come civiltà, quelle che non l’hanno praticata sono rimaste allo stato primitivo.Nell’Egitto, nella Grecia, nella Roma dell’antichità il 90% della popolazione viveva in schiavitù e le guerre si facevano per accaparrarsi le risorse d’energia e di potenza necessarie allo sviluppo di quelle civiltà. Un uomo può sviluppare una potenza di 50 watt, ma se servono 500 watt per sollevare una pietra, 10 uomini insieme fanno allo scopo. Per soddisfare i bisogni energetici nelle dette modalità, la schiavitù è stata la scelta più ovvia: era gratis. Oggi la schiavitù è un tabù, ma non è un tabù di 2.000 anni fa: il film Via col vento è ambientato in un’America composta di 30 milioni di cittadini e 4 milioni di legittimi schiavi. Senza di questi, nessuno avrebbe, per esempio, raccolto il cotone: gli americani del Sud acquistavano uno schiavo come noi oggi acquistiamo una lavatrice. La guerra di Secessione si fece non perché i nordisti erano i buoni che volevano liberare gli schiavi e i sudisti i cattivi che volevano sfruttarli, ma perché, con l’avvento delle macchine termiche e delle industrie che si stavano sviluppando nel Nord, servivano operai che volevano essere pagati e non volevano la concorrenza di schiavi che avrebbero lavorato gratis. Gli Stati del Nord promuovevano la liberazione degli schiavi per ragioni non morali ma di pura convenienza, tant’è che molti non li vollero nel proprio territorio: molti schiavi liberati tornarono in Africa, nei luoghi della odierna Repubblica della Liberia (appunto) e si misero a praticare la schiavitù a spese degli indigeni. Gli Stati del Sud persero la partita perché non avevano capito che stava arrivando il tempo quando gli schiavi non sarebbero stati più necessari: le macchine termiche alimentate a carbone stavano liberando l’uomo dalla pratica della schiavitù. Dobbiamo renderci conto che la schiavitù non stava diventando immorale ma solo obsoleta ed economicamente non conveniente. E questo grazie a quei combustibili fossili che chi oggi comanda il mondo vorrebbe eliminare.Costoro vorrebbero un mondo con l’elettricità prodotta dagli impianti eolici e fotovoltaici. Ma non si rendono conto che tutti i componenti di questi impianti -e anche degli impianti nucleari - sono prodotti da derivati dei combustibili fossili. Un mondo privo di combustibili fossili è un mondo privo anche d’impianti eolici o solari. Un mondo senza combustibili fossili è un mondo senza elettricità. Nel mondo precedente a un paio di secoli fa nulla aveva bisogno di elettricità. Il mondo che emergerebbe da un ipotetico successo di una qualche Cop sarebbe un mondo come quello precedente a un paio di secoli fa. Ecco perché la Cop28 fallirà.
        Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
    
        Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
    
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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