2023-12-17
Nel condominio Ue ci abbiamo rimesso 38 miliardi in 7 anni. E il conto può salire
L’Italia è tra i maggiori contributori netti, l’eventuale ingresso nel club di Ucraina e Georgia aumenterebbe i nostri esborsi.La Ue somiglia sempre di più a un affollato banchetto a cui è facile essere invitati ma dove, al momento di pagare il conto, si assiste ad imbarazzanti fughe o alla presentazione di «pagherò» di dubbia esigibilità. Appare questo il quadro, invero sconfortante, che emerge dalle conclusioni del Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Grandi proclami, grande solidarietà, porte aperte a tutti - dall’Ucraina, alla Moldova, dalla Georgia, alla Bosnia e alla Macedonia del Nord – con sentieri di ingresso a velocità differenziata. Ma, al paragrafo successivo, una dichiarazione imbarazzante che merita di essere riportata testualmente: «Il Consiglio europeo ha discusso la revisione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, il cui testo figura nel documento Euco 23/23, che è stata sostenuta con fermezza da 26 capi di Stato o di governo. Il Consiglio europeo tornerà sulla questione all’inizio del prossimo anno».Un capolavoro di acrobazia verbale per dire che l’accordo non c’è stato. La revisione del bilancio è stata solo «discussa» e non approvata, quando la Commissione l’ha messa sul tavolo almeno 6 mesi fa. Poi, con il criptico vocabolario che è d’uso a Bruxelles, «è stata sostenuta con fermezza», ma evidentemente, tanto era «la fermezza», che hanno deciso di rinviare tutto all’anno prossimo. Un esito davvero inglorioso, tanto erano state altisonanti le premesse.Il documento da approvare prevedeva nuove spese per 64,6 miliardi - su un bilancio settennale di 1.211 miliardi - già tagliati rispetto ai 100 chiesti dalla Commissione a giugno. La voce più rilevante sono i 50 miliardi per l’Ucraina, a cui si aggiungono 9,6 miliardi per «migrazione, vicinato e gestione delle frontiere» e cifre ancora inferiori per un fondo europeo per le tecnologie strategiche (Step), la maggiore spesa per interessi per i titoli emessi per finanziare il NextGenEU, riserve di solidarietà e per gli aiuti d’urgenza ed uno strumento per la flessibilità. Alla fine, al netto di fondi dirottati da altre destinazioni di spesa, restano solo 21 miliardi di «denaro fresco». Ma, ciononostante, quel documento è rimasto una lettera d’intenti piena di «x» nei passaggi decisivi.Quanto accaduto venerdì è solo il prologo di quanto potrebbe accadere con l’ulteriore allargamento della Ue. Infatti, è ragionevole supporre che tutti quei Paesi candidati si andranno ad aggiungere alla lista abbastanza lunga dei Paesi che da Bruxelles ricevono più denaro di quanto ne inviano. I cosiddetti beneficiari netti, la somma dei quali deve giocoforza corrispondere ad un’altra somma, quella dell’elenco di Paesi che invece sono contribuenti netti. Perché il bilancio della Ue funziona – o meglio funzionava così fino al 2020 – come un salvadanaio, da cui però si preleva in misura diversa rispetto a quella con cui si versa. Ancora nel 2021, il 73% delle entrate della Ue sono costituite da contributi versati dagli Stati membri in proporzione al Reddito nazionale lordo (Rnl, simile ma non uguale al Pil). Per l’Italia significa finanziare circa il 13% del bilancio Ue (il saldo netto è negativo per 38 miliardi dal 2014 al 2020). E poiché l’Italia, uscito il Regno Unito, è il terzo Paese (dopo Germania e Francia) per saldo netto tra versamenti e accrediti in valori assoluti, è ragionevole prevedere che in futuro, tale saldo non potrà che aumentare. Anche alla luce del profilo economico dei Paesi candidati - il cui contributo in proporzione al Pil sarà modesto rispetto alle somme che incasseranno dal bilancio Ue - e del prevedibile eccezionale contributo che bisognerà versare per l’Ucraina. Insomma, l’andamento dei saldi annuali relativi all’Italia, nel grafico in pagina, è estremamente improbabile che possa subire un ribaltamento strutturale, ma potrà verosimilmente peggiorare. Per avere un’idea di cosa ci attende, è sufficiente leggere i saldi netti a favore di Paesi come la Polonia o anche la relativamente piccola Ungheria. Ciò è ancor più probabile in quanto, oltre alle cosiddette «risorse proprie» in base al Rnl, le altre entrate della Ue sono una quota significativa dell’Iva ed i dazi doganali. Anche questi ultimi ovviamente correlati alle dimensioni delle economie degli Stati membri.Definirle «risorse proprie» è un’altra acrobazia verbale dei burocrati di Palazzo Berlaymont, poiché, in tutta evidenza, sono entrate generate dalle singole economie dei Paesi Ue e poi attribuite al bilancio Ue. Gli sforzi della presidente Ursula von der Leyen per dotare il bilancio di entrate supplementari autonome e «proprie» per davvero, hanno dato finora risultati modesti, in proporzione alle cifre in gioco. Il bilancio Ue fino al 2020 era pari a circa 160 miliardi, poi salito nel 2021 e 2022 a circa 240 per l’effetto NextGenEu, e sono gli Stati membri a finanziarlo.Se questa è la situazione dal lato delle entrate, dal lato delle uscite le cose funzionano diversamente. Il salvadanaio di Bruxelles eroga sussidi agli Stati membri in base a meccanismi prevalentemente basati sul divario di reddito (i famosi fondi per la «coesione») che hanno trasformato automaticamente in percettori netti tutti i Paesi dell’Est entrati con l’ultimo allargamento.Dal 2021 è poi arrivato il programma straordinario NextGenerationUE (800 miliardi tra sussidi e prestiti da spendere fino al 2026, di cui solo 155 pagati finora) a complicare le cose e annebbiare la vista di chi improvvisamente ritiene che l’Italia sia diventato un percettore netto. Per completezza di informazione, anche la Corte dei Conti nell’ultima relazione ha fatto una tabella «con» e «senza» i contributi del NgEU, spiegando però bene la scarsa significatività del dato.Infatti se, fino a ieri, la Commissione si limitava a redistribuire le somme ricevute dagli Stati, con il NGEu è autorizzata a reperire altro denaro indebitandosi sui mercati. Queste somme hanno formalmente e solo pro-tempore gonfiato le entrate degli Stati membri. Ma dal 2027 bisognerà restituirle - sussidi o prestiti non fanno differenza - e saranno sempre gli Stati membri a farlo e lo faranno sempre in proporzione al reddito complessivo. Non si sfugge: non basta dire «più Europa», bisogna specificare chi paga (noi).