
Le parole del Papa su Pietro il Grande, pochi giorni dopo le accuse di «indietrismo» al mondo cattolico Usa, non sono un caso. Si tratta di un assist al blocco terzomondista, non ostile a Pechino, che vuole spostare più a Oriente il baricentro della Chiesa.Sembra proprio che papa Francesco sia in piena strategia geopolitica pre-conclave. Il pontefice ha rilasciato due dichiarazioni tanto significative quanto controverse. Innanzitutto, parlando con i gesuiti portoghesi, ha attaccato la Chiesa statunitense. «Negli Stati Uniti la situazione non è facile: c’è un’attitudine reazionaria molto forte, organizzata, che struttura un’appartenenza anche affettiva. A queste persone voglio ricordare che l’indietrismo è inutile», ha dichiarato nel corso di un intervento, reso pubblico lunedì dalla rivista dei gesuiti diretta da padre Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica. Un’affermazione, quella contro la Chiesa statunitense, che lo stesso Spadaro ha appositamente rilanciato sul suo account X. In secondo luogo, il pontefice, durante un incontro in video con i giovani cattolici russi venerdì, è sembrato elogiare due zar. «Non dimenticatevi dell’eredità. Voi siete eredi della grande Russia: la grande Russia dei santi, dei re, la grande Russia di Pietro il Grande, Caterina II, quell’impero russo grande, colto, di tanta cultura, di tanta umanità. Non rinunciate mai a questa eredità. Voi siete gli eredi della grande Madre Russia, andate avanti», ha affermato. Anche in considerazione del fatto che l’anno scorso Vladimir Putin si era paragonato a Pietro il Grande, le parole del pontefice hanno suscitato polemiche in Ucraina: polemiche che la Santa Sede ha cercato di spegnere ieri, sostenendo che «il Papa intendeva incoraggiare i giovani a conservare e promuovere quanto di positivo c’è nella grande eredità culturale e spirituale russa, e certo non esaltare logiche imperialistiche». A ben vedere, se la bufera mediatica sulla partecipazione di una donna ucraina e di una russa alla Via Crucis del 2022 fu effettivamente strumentale, stavolta le parole del Papa sugli zar - ovviamente accolte con favore ieri a Mosca - si sono rivelate un po’ troppo ambigue (tanto che erano state espunte dal testo ufficiale del discorso, pubblicato sul sito della Santa Sede). Ma c’è da chiedersi: possibile che un uomo avvezzo alle dinamiche della comunicazione come l’attuale pontefice si sia lasciato travisare così facilmente? È possibile derubricare le sue parole sulla Chiesa statunitense e sull’impero russo a semplici gaffes? È difficile da credere. E diremo di più: nonostante possa apparire paradossale, per il pontefice qui il centro della questione probabilmente non è costituito né dalla crisi ucraina né dai relativi tentativi di mediazione della Santa Sede tra Kiev e Mosca. Molto più verosimile è invece che questi due interventi del Papa siano da inserire in una strategia geopolitica, volta a influenzare il prossimo conclave. L’attuale pontefice non ha mai avuto buoni rapporti con la Chiesa statunitense e ha impresso alla Santa Sede una politica estera terzomondista, lontana dall’Occidente e incline alla Cina: una politica spinta soprattutto dalla Compagnia di Gesù e dalla Comunità di Sant’Egidio. Una politica che ha trovato il proprio punto culminante nel controverso accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, che fu siglato nel 2018 per poi essere rinnovato nel 2020 e nel 2022. Quell’accordo ha irritato significativamente Washington. Nell’ottobre 2020, l’allora segretario di Stato americano Mike Pompeo provò invano a bloccarne il rilancio, mentre il suo successore, Tony Blinken, affrontò il tema della libertà religiosa in Cina nella sua visita in Vaticano a giugno 2021. A criticare quell’intesa sono stati anche porporati d’Oltreatlantico, come Timothy Dolan e Raymond Burke. Il pesante attacco del Papa alla Chiesa statunitense è quindi da leggersi come un tentativo di azzoppare in conclave quei porporati (tendenzialmente di area «ratzingeriana») che puntano a riportare in Occidente il baricentro della politica estera vaticana. Dall’altra parte, le parole sull’impero russo hanno probabilmente un significato che va oltre la crisi ucraina. Il pontefice sta cercando di tirare indirettamente la volata ai cardinali di orientamento terzomondista, come Matteo Zuppi, Luis Antonio Tagle e lo stesso Stephen Chow: il vescovo gesuita di Hong Kong, che riceverà a breve lo zucchetto rosso e che è tra i fautori dell’accordo sino-vaticano. L’intervento sull’impero russo è infatti un modo con cui il Papa tenta di rivolgersi, in implicita polemica con gli Usa, al blocco terzomondista: a un Global South sempre più vicino alle orbite di Pechino e Mosca. Con la dichiarazione sugli zar, il pontefice non ha dunque strizzato l’occhio tanto a Putin quanto a Xi Jinping. Cina e Russia sono d’altronde sempre più vicine, come testimoniato dal recente summit dei Brics. Ed è chiaro che, nel rapporto tra le due potenze, è Mosca quella che svolge ormai il ruolo di junior partner. Senza trascurare che il Papa sta per recarsi in Mongolia, dove -chissà- potrebbe avvenire un incontro con qualche alto esponente del governo cinese. Non è un caso che l’attacco alla Chiesa statunitense sia stato enfatizzato proprio dal direttore della Civiltà Cattolica, che è da sempre in prima linea nel sostegno all’intesa sino-vaticana. Un’intesa che il governo cinese sta violando e che non ha portato a un miglioramento delle condizioni dei cattolici cinesi, visto che Xi sta sottoponendo i fedeli a un processo di indottrinamento secondo i principi del socialismo (la cosiddetta «sinicizzazione»). Ecco: il prossimo conclave verterà anche (se non soprattutto) su questo controverso accordo. In gioco c’è la collocazione geopolitica della Santa Sede. E la libertà stessa della Chiesa cattolica.
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Proviene dal «maiale degli alberi»: dalle foglie alla corteccia, non si butta niente. E i suoi frutti finiscono nelle opere d’arte.
Due sabati fa abbiamo lasciato la castagna in bocca a Plinio il Vecchio e al fior fiore dell’intellighenzia latina, Catone, Varrone, Virgilio, Ovidio, Apicio, Marziale, i quali hanno lodato e cantato il «pane dei poveri», titolo ampiamente meritato dal frutto che nel corso dei secoli ha sfamato intere popolazioni di contadini e montanari.
Albert Bourla (Ansa)
Il colosso guidato da Bourla vende una quota della sua partecipazione nella casa tedesca. Un’operazione da 508 milioni di dollari che mette la parola fine sull’alleanza che ha dettato legge sui vaccini anti Covid.
Pfizer Inc vende una quota della sua partecipazione nella casa farmaceutica tedesca Biontech Se. Il colosso statunitense offre circa 4,55 milioni di American depositary receipts (Adr) tramite un collocamento accelerato, con un prezzo compreso tra 108 e 111,70 dollari per azione. L’operazione porterebbe a Pfizer circa 508 milioni di dollari, segnala la piattaforma di dati finanziari MarketScreener.
Da sinistra, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli e Maurizio Landini (Ansa)
Secondo uno studio, solo nel 2024 hanno assicurato all’erario ben 51,2 miliardi di euro.
A sinistra c’è gente come Maurizio Landini, Elly Schlein o l’immancabile duo Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni che si sgola per denunciare il presunto squilibrio della pressione fiscale che grava sui cittadini e chiede a gran voce che i ricchi paghino di più, perché hanno più soldi. In parole povere: vogliono la patrimoniale. E sono tornati a chiederla a gran voce, negli ultimi giorni, come se fosse l’estrema ancora di salvataggio per il Paese.






