2023-03-28
Con i «saggi» di Calderoli autonomia già a rischio
Giuliano Amato e Anna Finocchiaro (Imagoeconomica)
Abbiamo bisogno di dare maggiori poteri alle Regioni per responsabilizzare i governatori e oggi esistono i presupposti politici per cambiare. Ma nel comitato di Roberto Calderoli sono troppi i professionisti dello status quo.Sono da sempre favorevole all’autonomia regionale differenziata. Non soltanto perché penso che rendendo esecutiva una riforma di cui si parla da oltre vent’anni consentirebbe la piena applicazione del dettato costituzionale, ma perché sono convinto che se davvero si arrivasse al punto di concedere alle Regioni i poteri e le competenze su una serie di materie, i governatori non avrebbero più scuse. Invece di lagnarsi dell’inefficienza dello Stato dovrebbero rendere conto ai propri cittadini della carenza dei servizi. Come è noto, la Costituzione assegna al governo centrale un potere esclusivo su 17 materie e si va dalla legge di bilancio all’istruzione, ma ci sono una ventina di materie che sono oggetto di una legislazione concorrente, nel senso che il potere di fare le leggi è sia dello Stato che delle Regioni. Con il risultato che spesso, nel passato, abbiamo assistito a ricorsi di Palazzo Chigi contro decisioni prese a livello periferico e viceversa. Nel campo della salute, ad esempio, sulla gestione della pandemia abbiamo visto le scintille e ancora adesso tocca alla magistratura dipanare la matassa delle regole, per decidere se fosse compito del ministero o dei governatori dichiarare le zone rosse. Ma se dall’inizio degli anni 2000 non si è arrivati a un’intesa, ora con il governo di centrodestra sembra la volta buona per concludere un iter avviato con la riforma del titolo V (varata in extremis dal centrosinistra per paura di perdere le elezioni: che poi perse lo stesso). Ho scritto sembra, perché le premesse per un risultato positivo ci sono, ma temo che, come al solito, ci sarà qualcuno che proverà a mettersi di traverso.Mi spiego: fino a prima che i moderati vincessero le elezioni e Giorgia Meloni divenisse presidente del Consiglio, esisteva un’ampia maggioranza fra i presidenti delle Regioni italiane a favore dell’autonomia regionale differenziata. Tanto per capirci, oltre a Luca Zaia e Attilio Fontana, rispettivamente governatori di Veneto e Lombardia, ad essere schierati per il cambio delle regole erano anche i numeri uno di Liguria, Friuli, Piemonte ed Emilia-Romagna, vale a dire vari esponenti di centrodestra ma anche di centrosinistra. Stefano Bonaccini fino all’altro ieri era per il sì, come in passato lo erano stati Sergio Chiamparino e Vincenzo De Luca. Ma ora che i governatori del Pd sono in minoranza le cose sono cambiate, con il risultato che i vertici di Campania e Puglia si dicono preoccupati che la riforma tolga ai loro concittadini una parte dei finanziamenti ottenuti finora. Del resto, non c’è da stupirsi: così come a sinistra hanno cambiato idea sul reddito di cittadinanza e sul salario minimo, nella speranza di recuperare consensi, era inevitabile che anche sull’autonomia regionale differenziata storcessero il naso. Anzi, visto che a Palazzo Chigi non c’è più nessuno dei loro, Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, viceré di due delle quattro regioni rimaste al Pd, parlano della riforma come di una misura che disgregherà il Paese, togliendo soldi al Mezzogiorno. Ovviamente non è così e gli unici fondi che spariranno sono quelli che ogni anno vengono sprecati senza garantire livelli adeguati di servizio, sia nella Sanità che nell’Istruzione. Così come vi ho spiegato perché sono favorevole all’autonomia regionale differenziata, affinché la classe politica locale si assuma le proprie responsabilità, vi devo raccontare anche perché sono preoccupato che, come è stato negli ultimi venti anni, non se ne faccia niente. In genere non sono pessimista, ma dopo aver visto il parterre che il ministro Roberto Calderoli ha predisposto per fissare i paletti dei famosi Lep, temo che finirà male. Infatti, del comitato di 61 saggi che dovrà individuare i criteri per definire i livelli di assistenza delle prestazioni, ossia garantire a ogni cittadino - a prescindere dal fatto che viva in Lombardia o in Campania - lo stesso trattamento sanitario, faranno parte una serie di rodati esperti dello status quo. L’organismo dovrebbe essere presieduto da Sabino Cassese, ex giudice della Corte costituzionale assai caro a Mattarella, ma a ruota seguiranno Giuliano Amato, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, l’ex senatrice del Pd Anna Finocchiaro, l’ex presidente della Camera Luciano Violante eccetera. Insomma, l’establishment della prima e della seconda Repubblica è schierato in prima fila. Con il che c’è da chiedersi come sia possibile fare la “rivoluzione”, recuperando lo spirito della Costituzione, con gente che per decenni ha rappresentato la conservazione. Se nessuno, anche emeriti giudici costituzionali, (ed Amato è fra questi) ha mai sentito il bisogno di richiamare gli articoli 116 e 117, perché dovrebbe farlo ora che sfiora la soglia dei 90 anni?
Il ministro dell'Agricoltura Francesco Lollobrigida (Ansa)
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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