
Due articoli inseriti nel decreto «Cura Italia» ci espongono al pericolo di aprire le nostre reti informatiche a fornitori non sicuri. I nostri dati sensibili potrebbero finire in mano a società su cui Pechino ha il controllo statale, con il rischio di terremoti diplomatici.A pensar male si fa peccato, ma non si sbaglia quasi mai. Dentro il decreto Cura Italia, ci sono due articoli il cui inserimento in un testo d'urgenza non è poi così giustificabile. Si tratta del numero 75 e 76. Ne abbiamo già scritto per spiegare il rischio di conflitto d'interessi interno. Il secondo articolo in questione vorrebbe sanare una situazione che il ministro Paola Pisano non era riuscito ancora nemmeno a risolvere tramite gli ultimi provvedimenti fiscali prima dell'inizio dell'emergenza Covid-19. Dalla fine dell'anno, infatti, doveva andare in soffitta il team di trasformazione digitale gestito dai tempi del governo Renzi prima da Diego Piacentini e poi da Luca Attias. Il gruppo però è ancora operativo sotto l'ala della presidenza del Consiglio. Il ministro aveva già annunciato nei giorni scorsi che l'emergenza coronavirus sarebbe stata «una grandissima opportunità per il digitale», ma a distanza di quasi tre settimane da quella dichiarazione c'è il rischio che l'epidemia sia una possibilità soprattutto per le aziende vicine al Movimento 5 stelle. Il Cura Italia prevede che ci siano gare d'urgenza e visto che la Pisano appena insediata ringraziò sul sito Davide Casaleggio, il dubbio può venire. Ma questo è nulla rispetti ai dubbi che l'altra notte sono venuti a esponenti del Pd e una parte del Copasir, il comitato parlamentare per la sicurezza pubblica. Un interessante retroscena del Corriere della Sera rivela che uno dei motivi del ritardo della pubblicazione in Gazzetta sia stato dovuto proprio al pericolo di aprire le nostre reti informatiche a fornitori «non garantiti». Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, avrebbe avvertito - stando alle indiscrezioni di via Solferino che c'è «il rischio di far rientrare dalla finestra quello che abbiamo finora tenuto fuori dalla porta». Cosa succederebbe infatti se a vincere la gara fosse un'azienda cinese? E siccome i cinesi sono i favoriti, «l'Italia non può permettere che i suoi dati sensibili vengano gestiti da società su cui Pechino ha il diretto controllo statale: vorrebbe dire che dalla sponda atlantica il Paese farebbe rotta verso la via della Seta», è il commento informale del più atlantico dei ministri.Da lì sarebbe partito un estenuante braccio di ferro tra il titolare dell'Economia Roberto Gualtieri e il capodelegazione Dario Franceschini da un lato contro Luigi Di Maio e Giuseppe Conte dall'altro. L'oggetto delle preoccupazioni di Guerini sarebbe Huawei, la stessa azienda elogiata apertamente da Beppe Grillo tramite sito e social network, la medesima che per bocca del country manager ha confermato l'interesse ad aiutare i nostri ospedali e ad offrire sostegno digitale. Il colosso cinese presieduto in Italia da Luigi De Vecchis fornirà dispositivi di protezione e soluzioni tecnologiche per far fronte alla situazione di emergenza causata dalle infezioni da Covid-19. L'azienda «ha anche istituito un'unità interna di crisi per collaborare con le istituzioni nazionali e locali e avviare azioni di sostegno concertate con gli operatori di Tlc e i propri partner. L'obiettivo», si legge in una nota, «è quello di facilitare lo scambio di informazioni tra i team sanitari italiani e cinesi attraverso la sua piattaforma di collaborazione cloud Welink». Entrare in possesso dei dati e delle cartelle sanitarie degli italiani è uno dei bottini più ambiti a cui un Paese non Nato potrebbe ambire. Purtroppo dal testo definitivo del decreto si deduce che abbiano vinto Conte e Di Maio e che il presidente della Repubblica (che ha firmato la legge) stia con loro. Sergio Mattarella non si è posto il problema? Oppure è effettivamente intenzionato ad avere un partner extra Nato per attività che gli Usa classificano come «homeland security»? Non so se avremo nel breve risposta a questo interrogativo, speriamo solo che il Parlamento intervenga presto. «In fase di discussione del testo», spiega alla Verità Adolfo Urso, senatore di Fdi e vice presidente del Copasir, «sarà fondamentale porre almeno due paletti. Il primo è ribadire che le procedure digitali collegate al 5G non possono andare in deroga ad altre norme di natura superiore. Il secondo è che il comitato per il golden power non potrà essere bypassato». In effetti, il tema che Urso porterà in discussione riaccende il faro sulla necessità di finire il percorso delle riforme normative attorno ai poteri dello Stato in materia di sicurezza nazionale. Per quanto riguarda il 5G e per quanto riguarda banche e assicurazioni. Queste ultime sono tutelate genericamente come istituzioni finanziarie ma non protette in quanto quotate e società scalabili. Eppure immaginate istituzioni come Generali o Intesa in mano straniera: sarebbe un enorme problema politico. Mentre affidarsi ai cinesi per il lancio dell'infrastruttura del 5G sarebbe come abbandonare la Nato e il rapporto (sfilacciato) con gli Stati Uniti. In questo momento di dramma europeo, il Vecchio Continente sarà terra di conquista tra Cina e Usa. Il nostro Paese ha sempre tenuto il piede in due scarpe. Basti pensare al patto atlantico e i rapporti privilegiati e contemporanei con arabi e israeliani. Ma ci sono sempre stati tabù da non violare. Armi e Difesa sotto l'ombrello Nato. Oggi il 5G è come una batteria di missili ai tempi della Guerra fredda. «Nessun complotto, ma ricordiamoci che il Paese da cui è partito tutto è la Cina e non è il salvatore della patria, tecnologicamente parlando», ha detto ieri Matteo Salvini intervenendo sul tema. «Non vorrei dare i dati privati degli italiani a un regime che non è un regime democratico. Tracciabilità si, ma proteggendo la sicurezza nazionale». Bene la Lega, ma ora il Parlamento deve essere sovrano e superiore alle scelte di capipopolo come Grillo o di un ministro come Di Maio.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
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Al via un tour nelle principali città italiane. Obiettivo: fornire gli strumenti per far crescere le imprese.