
L'ad Claudio Descalzi è accusato di aver pagato tangenti in Nigeria e ora di fare affari illeciti in Congo. Il rischio è di danneggiare l'Italia nei suoi settori strategici. Come è accaduto con l'inchiesta indiana sul manager di Finmeccanica, poi assolto in pieno.Non so se avete presente Giuseppe Orsi. Era un manager che a metà del 2011 il governo Berlusconi mise a capo di Finmeccanica, la più grande azienda italiana nel settore aerospaziale e militare. Ingegnere aeronautico con ottimi studi e un solido curriculum, Orsi il 12 febbraio 2013 viene arrestato con l'accusa di corruzione internazionale e false fatturazioni. In pratica, la Procura di Busto Arsizio lo accusa di aver pagato tangenti a politici indiani per vendere 12 elicotteri a New Delhi. Comincia un calvario giudiziario, con Orsi costretto a lasciare gli incarichi aziendali e con Finmeccanica costretta a rinunciare all'operazione. Orsi finisce alla sbarra, il gruppo nella bufera. Dopo processi e controprocessi, il 22 maggio di quest'anno Orsi viene assolto con sentenza definitiva perché non vi sono prove sufficienti per sostenere che i fatti che gli furono contestati sussistessero. Risultato, dopo sei anni l'ex amministratore delegato di Finmeccanica è dichiarato innocente dalla Cassazione. Nel frattempo, Finmeccanica ha avuto modo di cambiare un paio di amministratori delegati, di cambiare nome, di perdere gli affari che aveva in India e anche in altri Paesi e così via.Perché però vi racconto ora la storia di Giuseppe Orsi a quattro mesi dalla sua assoluzione definitiva? Per un motivo molto semplice: perché ho la sensazione che quello che è capitato a Orsi si stia ripetendo con un altro manager di un'azienda strategica per l'Italia, ossia l'amministratore delegato di Eni. Claudio Descalzi per certi versi somiglia molto a Orsi, perché anche lui è un ingegnere e anche lui ha studi e curriculum solidi. Al vertice dell'ente idrocarburi arriva nel 2014, dopo essere stato a lungo un dirigente di spicco del gruppo petrolifero in Africa, Medioriente e Cina. Ma, come Orsi, oltre ad avere un bagaglio di esperienze tecniche, anche Descalzi incappa in un guaio: la Procura di Milano gli contesta di aver pagato tangenti a politici nigeriani in cambio di un'autorizzazione a sfruttare un giacimento offshore al largo delle coste africane. Sotto la sua guida l'Eni avrebbe ricoperto d'oro il ministro dell'Energia di Abuja. Ad accusarlo è un ex manager del gruppo, un tizio che l'ente aveva licenziato e che potrebbe per questo avere il dente avvelenato. Il problema però non è se il dirigente allontanato ha o meno motivo per raccontare di una presunta tangente. Il problema è che il processo incardinato a Milano va avanti a singhiozzo, con accuse e contro accuse, passi avanti e retromarce. La prova regina della corruzione non si trova, ma si trovano tante piste suggestive, a cominciare dai depistaggi, per poi passare a un nuovo fronte, questa volta non in Nigeria, bensì in Congo. Anche lì qualcuno avrebbe pagato e per questo i magistrati hanno spedito i finanzieri a perquisire la casa dell'amministratore delegato di Eni.Tutto ciò mentre l'ente è impegnato in una serie di sfide importanti, come per esempio mantenere lo storico presidio petrolifero in Libia, ma anche nel trovarne di nuovi, come quello appena conquistato in Norvegia. E poi ci sono i giacimenti acquisiti in Egitto, la bioraffineria di Gela, i progetti per sviluppare energia dal mare e quelli per produrne altra con sistemi puliti. Insomma, c'è un vertice sotto accusa e c'è un'azienda che è sotto stress per tutte le sfide che ha davanti. Io non so come finirà il processo in corso a Milano e non so neppure se ne verrà aperto uno nuovo per presunti reati in Congo. A leggere gli articoli che appaiono sulla stampa, non riesco nemmeno a capire che prove ci siano sulle presunte tangenti, né comprendo perché l'avvocato del super testimone a un certo punto abbia mollato il super testimone e lo accusi di aver raccontato balle, per lo meno sul suo conto (un'accusa che il presidente del Tribunale ha preso sul serio tanto da inserirla nel fascicolo del procedimento in corso). Ciò detto, precisato che non ho intenzione qui di fare il resoconto del processo, una cosa mi preme, ed è che a Eni non tocchi la stessa sorte di Finmeccanica, e cioè finisca nella bufera, riuscendo a perdere le posizioni di vantaggio che con fatica ha guadagnato. Nel mondo dell'energia e anche in quello dell'aerospazio, Paesi e concorrenti lottano senza esclusione di colpi cercando di fottere l'avversario. In Libia la Francia ha dichiarato guerra a Gheddafi non perché le stessero a cuore i diritti umani (per anni ha sostenuto ben altri dittatori), ma perché era interessata al petrolio di Tripoli. La lotta è senza esclusione di colpi e non vorremmo che tra un po', tra un anno o due o forse fra cinque, fossimo costretti a leccarci le ferite, rinunciando a importanti forniture nel settore aereo e militare e anche in quello petrolifero. Mentre altri se la spassano e i nostri manager - che non sono peggio degli altri, ma spesso meglio - magari si consolano con un'assoluzione.
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Pure la Francia fustiga l’ostinazione green di Bruxelles: il ministro Barbut, al Consiglio europeo sull’ambiente, ha detto che il taglio delle emissioni in Ue «non porta nulla». In Uk sono alle prese con le ambulanze «alla spina»: costate un salasso, sono inefficienti.
Con la Cop 30 in partenza domani in Brasile, pare che alcuni Paesi europei si stiano svegliando dall’illusione green, realizzando che l’ambizioso taglio delle emissioni in Europa non avrà alcun impatto rilevante sullo stato di salute del pianeta visto che il resto del mondo continua a inquinare. Ciò emerge dalle oltre 24 ore di trattative a Bruxelles per accordarsi sui target dell’Ue per il clima, con alcune dichiarazioni che parlano chiaro.
Ranieri Guerra (Imagoeconomica). Nel riquadro, Cristiana Salvi
Nelle carte di Zambon alla Procura gli scambi di opinioni tra i funzionari Cristiana Salvi e Ranieri Guerra: «Mitighiamo le critiche, Roma deve rifinanziare il nostro centro a Venezia e non vogliamo contrattacchi».
Un rapporto tecnico, destinato a spiegare al mondo come l’Italia aveva reagito alla pandemia da Covid 19, si è trasformato in un dossier da riscrivere per «mitigare le parti più problematiche». Le correzioni da apportare misurano la distanza tra ciò che l’Organizzazione mondiale della sanità dovrebbe essere e ciò che era diventata: un organismo che, di fronte a una crisi globale, ha scelto la prudenza diplomatica invece della verità. A leggere i documenti depositati alla Procura di Bergamo da Francesco Zambon, funzionario senior per le emergenze sanitarie dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Oms, il confine tra verità scientifica e volontà politica è stato superato.
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L’annuncio per un’abitazione a Roma. La padrona di casa: «Non dovete polemizzare».
La teoria di origine statunitense della «discriminazione positiva» ha almeno questo di buono: è chiara e limpida nei suoi intenti non egualitari, un po’ come le quote rosa o il bagno (solo) per trans. Ma se non si fa attenzione, ci vuole un attimo affinché la presunta e buonista «inclusione» si trasformi in una clava che esclude e mortifica qualcuno di «meno gradito».
Su Facebook, la piattaforma di Mark Zuckerberg che ha fatto dell’inclusività uno dei principali «valori della community», è appena apparso un post che rappresenta al meglio l’ipocrisia in salsa arcobaleno.






