
Ogni giorno gli intellettuali lanciano allarmi. Ma l'autoritarismo che denunciano è roba loro. L'obiettivo resta zittire i sovranisti. Il populismo, come ha spiegato bene il filosofo politico (di sinistra) Ernesto Laclau appartiene da sempre alla storia della democrazia.Allarmi son fascisti! È la parola d'ordine di gruppi, gruppetti, intellettuali, star dello spettacolo e altro che si dichiarano di sinistra e si presentano con questo allarmato invito, aspettandosi che venga condiviso. Invece suscita imbarazzo. Perché dove sono poi, oggi, i fascisti? Chi oggi grida al fascismo fa venire in mente un famoso smargiasso, il «Giovanni senza paura» raccontato in vari modi dalle molte fiabe europee (tra le quali, naturalmente, una milanese) che si sono occupate di questo tipo psicologico. In queste diverse narrazioni, di Paesi diversi, Giuanin fa lo spaccone mangiando salsicce e bevendo vino, seduto nella poltrona del castello, mentre i fantasmi gli buttano giù dal camino pezzi di cadaveri per spaventarlo.Disinvolto con le cose morte, i fantasmi e cadaveri del castello, Giovanni però muore poi di paura quando fuori, per la strada, tra la gente di ogni giorno in carne e ossa, grazie alla luce vede finalmente la propria ombra. Allora si spaventa e gli viene un colpo. Anche i nostri allarmati amici fanno oggi i bulli parlando di cose che non esistono più con i fantasmi della «Compagnia della buona morte» (ogni lettore provi un po' a immaginare chi sono) della fiaba. Ciò che però li atterrisce nella realtà, alla luce del sole e tra la gente di ogni giorno, è dover riconoscere la propria ombra: elitaria e autocratica, parecchio prepotente, accuratamente ricacciata nell'inconscio. Al vederla sono così scombussolati che gli viene un colpo. È l'autoritarismo che gli intellettuali allarmati non vedono in sé e proiettano sugli altri, reclamando censure, punizioni, arresti per chi non la pensa come loro. Eccoli allora gridare (posseduti dal «fascista» che è in loro): «Zittite i populisti sovranisti». Perché? «Perché sono fascisti». Come spesso coloro che cadono in preda alla paura, i nostri allarmati sbagliano di grosso: si tratta, infatti, di fenomeni completamente diversi. Il populismo, come ha spiegato bene il filosofo politico (di sinistra) Ernesto Laclau (ma lo scriveva anche il convinto conservatore Vilfredo Pareto, cent'anni prima, perché è un dato di fatto), appartiene da sempre alla storia della democrazia. Furono «populisti» lo schiavo Spartaco, Carlo Pisacane, ma anche il sottile Oliver Cromwell, fondatore del Commonwealth. Ciò che caratterizza il populismo oggi è la sua opposizione alle élite, divenute nel frattempo globali e soffocanti per tutti, tranne che per ristrettissime oligarchie. Il fascismo fu invece, pur con le sue originalità (soprattutto in campo artistico ed educativo), un movimento autoritario.È comunque attraverso nazionalismo e populismo, tuttora vivi e vegeti, che passa oggi la partecipazione politica, con le sue scelte a cominciare dal voto. La demonizzazione dell'avversario, realizzata presentandosi come un'élite colta e pulita contro la «melma fascista» e liquidando gli avversari con qualche slogan marginalizzante, non paga più. Anche se la gran parte delle istituzioni culturali e del sistema di comunicazione sono tuttora occupate dal personale del passato regime. Non è comunque più tempo di oligarchie e «Compagnie della buona morte» per restare in tema con la fiaba del Giuanin. Bisogna stare nella vita come è oggi, con la sua spinta di cambiamento. Il popolo non lo hanno inventato Matteo Salvini o Luigi Di Maio: è l'operatore numero uno della politica, è quello che vota, scende in piazza, legittima i governi o li abbatte. Ciò accade anche perché è il popolo, proprio per la molteplicità degli individui che lo compongono, quello che percepisce lo spirito del tempo, il misterioso Zeitgeist che muove la storia stupendo gli specialisti, e sfugge alle interpretazioni intellettuali, astratte ed elaborate da gruppi ristretti, protetti e quindi lontani dalla realtà.Questo popolo che rivendica la propria sovranità si riappropria oggi anche di concetti secolari, divenuti tabù negli ultimi cinquant'anni di globalismo obbligatorio: la nazione e l'etnia. Sono temi a dire il vero già tornati d'attualità nell'ultimo quarto del secolo scorso, quando proprio le rivendicazioni nazionali ed etniche rivoltarono il mondo intero. Negli ultimi decenni del Novecento infatti, individui, culture e nazioni in cerca delle identità perdute si ribellarono al gioco delle grandi potenze che cercavano di costringere il pianeta negli equilibri artificiali della Guerra fredda (lo raccontai in: Psicanalisi della guerra). Le nazioni e le etnie che le popolano cambiarono così la faccia della carta geografica disegnata a Yalta dalle grandi potenze; e alla fine del secolo le nazioni imprigionate nell'Urss e in Stati appositamente costruiti come la Jugoslavia, arrivarono a far esplodere anche l'Unione sovietica (lo raccontai nel mio corso di polemologia all'Università di Gorizia-Trieste sulle «guerre postmoderne» etnonazionali). Si sentivano risuonare gli spari fino al giardino dell'università, confinante con la Slovenia. Fu proprio la caduta dell'Urss, però, a far pensare a molti che ormai tutto si stava omogeneizzando sotto l'ombrello del grande capitalismo e delle multinazionali. Il politologo americano Francis Fukuyama scrisse allora La fine della storia, spiegando che ormai il mondo era davvero uno, più o meno uguale dovunque. Molti ci credettero e nazione, sovranità, popolo ritornarono nell'ombra: chi se ne occupava, tornò a essere un sovversivo, malvisto. Non tutti però erano d'accordo. Tra essi Stanley Hoffmann, un harvardiano controcorrente (tra i miei più amati maestri), che contraddicendo Fukuyama scrisse La fine della globalizzazione, prevedendo ciò che stava per accadere. Il mondo unificato sotto gli interessi delle élite stava per esplodere e le nazioni tornavano protagoniste della storia, con i loro popoli in cerca di identità e sovranità. È ciò che appunto accade oggi, anche in Europa con i nazionalismi sovranisti. Fenomeni verso cui i popoli mostrano oggi più fiducia che per le organizzazioni internazionali o i superstati tipo l'Unione europea. Anche per via dalla sudditanza di questi verso le multinazionali e le loro esose burocrazie.Il nazionalismo, con la sua attenzione alla sovranità sul territorio, e il populismo, interprete degli interessi del popolo rispetto alle oligarchie, sono due forme della politica presenti nella storia umana già a partire dai primi raggruppamenti in comunità. È solo durante l'immaginazione (un po' delirante) della «fine della storia» grazie alla globalizzazione (un pugno di anni rispetto alla storia umana), che qualcuno ha fantasticato che di nazioni, etnie, territori e popoli si potesse smettere di parlare. Difficile che accada, per il fatto elementare che sono loro gli elementi primari della storia, mentre quelli economici e tecnici sono sovrastrutturali e in continuo mutamento. Anche le aggregazioni tra nazioni ci sono sempre state, sia all'interno degli Stati, tra le diverse etnie regionali, o al di sopra di esse, come organizzazioni sovranazionali, come ad esempio gli imperi. L'ultimo tra essi, quello asburgico, per ora finito un secolo fa, comprendeva al suo interno dodici nazioni, tutte con le loro lingue, riconosciute, scritte, parlate, ed è durato 104 anni. Le moderne strutture sovranazionali, come l'Ue, sono contemporaneamente più deboli e più autoritarie di quegli imperi, pretendendo anche di comandare in ambiti molto più personali (come quello linguistico, o affettivo), e ne risultano complessivamente più fragili. Meglio per tutti smetterla di delirare contro fascismi inesistenti e partecipare a ciò che si vede: popoli, con le loro diverse etnie e nazioni, che chiedono rappresentanti lucidi e disinteressati. Prima che arrivino (o tornino) i soliti banditi. Così frequenti nelle fiabe. E anche nella realtà.
Giulia Buongiorno (Ansa)
La proposta è rimandata per supplementi di indagine. Giulia Bongiorno: «Scriverla bene».
«C’era un accordo politico importante, alla Camera c’è stato un voto unanime su questa legge, i massimi vertici dei gruppi parlamentari si erano stretti la mano e ciò ora significa che stringersi la mano con questa destra non vale niente perché all’ultimo momento si può tornare indietro, smentendo addirittura un voto unanime del parlamento. E hanno deciso di farlo proprio oggi, il 25 novembre (giornata internazionale contro la violenza sulle donne, ndr)». È uscito dalla commissione Giustizia del Senato sbraitando che la destra ha stracciato l’accordo sul ddl stupro, il senatore di Italia viva Ivan Scalfarotto.
Nel riquadro la produttrice Giulia Maria Belluco (iStock)
La produttrice di «C14» Giulia Maria Belluco spiega: «Ci abbiamo messo cinque anni per scrivere la sceneggiatura. Le riprese saranno girate l’anno prossimo tra Veneto e Alto Adige». Si cercano ancora due attori internazionali...
Nasce in Veneto un film, C14, sulla Sacra Sindone, la più importante reliquia della cristianità, la cui storia è trapunta di dispute per verificarne scientificamente l’autenticità. Una nota ricerca britannica del 1988 con il radiocarbonio-14 la datò tra il 1260 e il 1390, negando che sia il sudario che ha avvolto il volto di Cristo. Analisi successive, tuttavia, hanno confutato tale risultato, come quelle del professor Giulio Fanti, dell’università di Padova, consulente della sceneggiatura, intervistato dalla Verità il 14 novembre 2024. La produttrice del film è Giulia Maria Belluco, 35 anni, nata a Treviso. Vive a Bassano del Grappa (Vicenza) ed è titolare della EriadorFilm. «L’ho acquisita nel 2023» spiega «con l’obiettivo di portarla sul mercato internazionale attraverso collaborazioni con Paramount, Discovery, Magnolia, Hallmark con le quali abbiamo fatto co-produzioni e produzioni esecutive qui in Italia. Una delle più viste è quella sulla famiglia Stallone, girata tra Puglia e Lazio».
Pier Paolo Pasolini (Getty Images)
Oggi il discusso evento sui lati conservatori del grande scrittore. La sinistra grida alla lesa maestà, eppure ha avallato per anni ricostruzioni farlocche sulla sua morte, al fine di portare avanti astruse piste politiche. E il vero vilipendio è proprio questo.
Il convegno su Pier Paolo Pasolini organizzato da Fondazione Alleanza Nazionale e dal Secolo d’Italia che si terrà oggi pomeriggio a Roma, il cui fine - come da titolo: «Pasolini conservatore» - è quello di dibattere (con il contributo di numerosi relatori tra cui il critico letterario Andrea Di Consoli, certamente non vicino alla destra politica) gli aspetti dell’opera e del pensiero pasoliniani che appaiono in conflitto con la sua area ideologica di appartenenza, quella comunista, è vissuto dalla sinistra italiana letteralmente come un sacrilegio. Nonostante dai curatori dell’evento sia già stato chiarito in tutte le maniere possibili che scopo del convegno è unicamente promuovere una discussione, senza nessuna volontà di «annettere» PPP - operazione che non avrebbe d’altronde senso alcuno - al pantheon culturale della destra, a sinistra si è addirittura giunti a gridare alla «profanazione», come fatto ieri, a botte di gramscianesimo mal digerito, dal professor Sergio Labate sul quotidiano Domani.
Gaia Zazzaretti prima e dopo il vaccino (iStock)
L’ex karateka Gaia lo sente in tv e sceglie di porgere il braccio. Poi, la malattia neurologica. Ma la virostar nega il nesso.
È vero che non se ne può più di «burionate». Ma come si può passare sotto silenzio gli ultimi post della virostar più famosa d’Italia, mentre continua a disinformare e contemporaneamente ridicolizzare persone danneggiate dal vaccino anti Covid chiamandoli #sorciscemi, senza alcun rispetto anche del diritto, di tutti noi, a essere informati correttamente su questioni che riguardano la salute, specie da chi dovrebbe avere, come lui, il dovere di dare informazioni corrette?






