2023-10-22
Come perdersi in mezzo ai castagneti immersi tra le cime e i torrenti abruzzesi
Un labirinto che in autunno diventa arena di una lotta serrata tra i cercatori, intenti a portarsi via sacchi pieni di marroni.Questo articolo inizia con una voce minacciosa: «Io lo so perché lei è qui! Lei è qui per le castagne! Voi altri venite sempre qui a riempirvi le sacche di castagne!» La traduzione in corretto italiano è di per sé un ingentilimento dal più diretto, ruvido e verace dialetto locale, l’abruzzese di questo paese o frazione affossato tra montagne e castagneti a perdita d’occhio. Qualche termine mi sfugge ma il senso resta chiaro e intatto. Io in auto, in strada, un vecchietto dal viso tempestoso chino sul proprio pezzo di terra. Ah, sono le 7 di mattina, piove, risveglio uggiosissimo, col cielo posato sulle cime dei castagni più svettanti. Sono risalito fin qui per incontrare il maggiore castagno per circonferenza del tronco del centro Italia, il noto, quantomeno tra i cercatori di alberi monumentali, Piantone di Nardò. Dalle descrizioni di amici mi pareva facile. Arrivi, parcheggi e imbocchi il sentiero che conduce placidamente all’albero. Non avverrà proprio così. Anzitutto l’ingresso del sentiero è presidiato da quell’ometto già pimpante di prim’ora; procedo per cento metri e davanti ad una casa incontro un altro uomo e gli chiedo se mi può indicare il sentiero al grande castagno. Oltre al sentiero che ho appena superato, segnalato da un cartello alla fine delle abitazioni del centro, ovvero una curva prima, si può salire seguendo un sentiero roccioso dopo duecento metri circa dal punto in cui mi trovo. E qui commetto onestamente il mio primo errore. Invece di seguire quel sentiero scelgo l’avventura e scarpino sotto la pioggerella sulle pietre che sarebbero il timido letto di un minuscolo torrente. Arranco, sbuffo, ma arrivo ai piani superiori dove molti terreni sono circondati, vorrei dire asfissiati, da lunghi nastri a strisce bianche e rosse con decine di avvertimenti: proprietà privata, divieto assoluto di ingresso, divieto di racconta delle castagne. E dunque il benvenuto precedente era solo una nota in uno spartito molto nutrito che racconta la vicenda degli abitanti e proprietari dei castagneti che difendono un bene per loro vitale che, a quanto mi verrà in seguito spiegato, viene sovente dilapidato da forestieri che da Ascoli o da altre località salgono qui in questi giorni solo per «fottersi» chili e chili di castagne, o, in altre zone dei monti d’attorno, chili di funghi. In sostanza assisto alle scaramuzze di una vera e propria guerra della castagna, qui in un labirinto di castagneti produttivi, per lo più di grosse castagnotte piene e invitanti, marronazzi dei desideri! E ammetto di averne raccolta qualche d’una nella tasche. Tra bergamasca, entroterra ligure, Toscana, Emilia e Piemonte, di castagneti ne ho attraversato molti, e di castanodonti, o larghi sofferti bucati scolpiti ne ho documentati, in vent’anni, assai. Ma un castagneto cosi sontuoso e curato e bandito e presidiato, sinceramente, mi mancava. Tornando al motivo del mio arrivo, sono riuscito a raggiungere il grande negromante del bosco, con le sue braccia aperte e la testa lassù. La pancia nera e vuota. I segni dei secoli, 400 o 500, chissà, le cortecce gonfiate, lucide, scavate, e lavorate. La misura del suo tronco mi risulta pari a 14 metri e 52 cm, prossima ad altre misurazioni ufficiali. Quanti silenzi che vorrei cucire qui intorno, ma ora, mentre decido di tornare indietro commetto un secondo errore. Mi accorgo di non ritrovare la discesa di prima. E contemporaneamente seguo quello che mi pareva il sentiero che avevo mancato ma che arrivava dalla parte opposta in tale tratto di bosco. Macché! A ogni curva si perde la direzione, un campo apre in un altro, rocce, altri grossi castagni, ne vedi a decine che altrove misurerei e documenterei ma qui sono modesti, rispetto al Nardò. Inizio a spazientire, e scivolo, e qui no, e qua no, e dopo un’ora mi ritrovo sotto il punto di partenza. Ma come?! Santo Iddio delle castagne matte! Eppure...Riparto, mica mi voglio dare per vinto. Ricordo i miei monaci buddisti, che la fatica e la stanchezza sono dentro di noi, e cerco di scacciarle ma finisco sempre in un cul de sac. Finché scendo per un altro torrente ma mi devo stoppare. E rido, inizio a ridere istericamente e rumorosamente, e mi accorgo che non va per niente bene. Mi scopro più stanco e sfinito di quanto non percepissi. Anche il cuore mi batte stranamente, lo sento a orecchio... Mi fermo. Sopra di me un enorme castagno tozzo e nero come il carbone. Sara un 9 o 10 metri di circonferenza. Che faccio, gli chiedo? Alla fine apro il telefono e chiamo il Comune. Mi risponde una signora che inizialmente non capisce ma poi si attiva la macchina del recupero imbecilli persi o sconfitti nei boschi. Acronimo: Ripb. Dopo un’oretta mi verrà in soccorso un simpatico ex alpino, ce la ridiamo mentre scendiamo. E anche questa è andata. P.s: Scoprirò anche che il sentiero per così dire ufficiale alla fine non porta indicazioni, lungo il cammino, forse sono state tolte o compromesse dai vietcong della guerra delle castagne di Morrice, frazione di Valle Castellana, che saluto con affetto. Ora pro vobis.
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