
L’emergere, durante il Covid, di una classe di unici depositari della verità ha contraddetto le regole base del dibattito.La filosofia si è occupata da sempre delle strutture razionali del conoscere e, in particolare, negli ultimi decenni ha iniziato ad approfondire i presupposti della veridicità della conoscenza condivisa, implementando una nuova disciplina: l’epistemologia sociale. Questa disciplina, nuova e antica nel contempo, ha tra i suoi obiettivi quello di analizzare le caratteristiche del soggetto qualificato a consegnare il suo sapere in uno specifico settore ad altri soggetti. Tale soggetto, definito soggetto epistemico o «esperto», è quello abilitato a fornire conoscenze, accettabili dai più, come credenze veritiere. La condivisione della conoscenza, però, si basa sull’interazione tra persone e, quindi, anche fattori sociali possano influenzare, a diverso titolo, il percorso e la qualità dello scambio epistemico. La «ingiustizia epistemica», questa è la definizione, può diventare, così, una piaga in un mondo globalizzato e tecnocratico.Durante la pandemia le più popolari trasmissioni televisive ospitavano medici e ricercatori, che elargivano informazioni sul quanto stesse accadendo. Questi medici e i ricercatori, sempre gli stessi, furono definiti «esperti», e quindi abilitati a orientare la popolazione. Anche altri medici e ricercatori iniziarono a fornire informazioni riguardo la pandemia, redigendo e sottoscrivendo anche appelli ai propri governi. Questi medici e ricercatori, anche se provvisti di accertate e consolidate credenziali nella materia, non furono mai riconosciuti come esperti, ma trattati sempre come terrapiattisti. Le continue ed evidenti contraddizioni degli «esperti» furono e sono ancora giustificate attribuendole alla loro scarsa e inadeguata esperienza comunicativa, gravata, per giunta, dalla complessità dell’argomento. L’attendibilità della conoscenza condivisa si basa essenzialmente sull’esperienza e sull’onestà intellettuale di chi condivide il proprio sapere. Denigrare e offendere un esperto con maldicenze e con accuse coscientemente false è una ignominia che calpesta anche la conoscenza. Queste due possibili evenienze devono essere prese in considerazione quando ci si interroga sul «dare e chiedere ragione» delle informazioni che ci vengono trasmesse. Un esempio emblematico di una parziale e distorta condivisione del sapere è rappresentato dalle spiegazioni che gli «esperti» tendono a dare riguardo al ruolo degli anticorpi nel proteggere dalle infezioni e, quindi, sulla necessità e sui limiti delle vaccinazioni. Gli «esperti» giustificano i fallimenti vaccinali, rimarcando solo che nessuna vaccinazione può avere un’efficacia del 100%. Tale presentazione del binomio antigene – anticorpo come presupposto di acquisita immunizzazione non è semplicemente una comunicazione parziale, è decisamente una comunicazione falsa: un torto nei confronti di chi si affida all’esperto e si fida di ciò che gli viene detto. Oggigiorno, la comunità scientifica è ben consapevole che la produzione di anticorpi non è condizione sufficiente e necessaria per garantire l’immunità verso un patogeno. Anzi, molte volte la presenza di anticorpi può essere anche deleteria.È corretto dare fiducia o, meglio, meritano fiducia gli «esperti» che informano solo parzialmente e inadeguatamente gli inesperti? L’analisi della gestione pandemica è in pieno corso in tutti Paesi occidentali, evidenziando sempre più gli errori fatti. Tali errori sono effettivamente da correlare alle scarse capacità comunicative degli «esperti» associate alla novità e complessità della drammatica situazione oppure le motivazioni sono altre? L’Italia fu tra le prime nazioni occidentali ad attuare, a fine febbraio 2020, stringenti misure di contenimento. Le persone furono obbligate a rimanere chiuse in casa, limitate nelle loro normali attività, con l’incognita del futuro. Le più popolari trasmissioni televisive ospitavano medici e ricercatori, sempre gli stessi, eletti «esperti» a cui affidarsi per ottenere informazioni certificate riguardo la pandemia e il nuovo coronavirus. Questi «esperti» asserivano che non si sapesse nulla riguardo al virus e a come curarlo e si iniziò, così, a sperare nel vaccino in via di preparazione. Questi «esperti», per facilità di esposizione, verranno indicati con l’acronimo Eap: esperti accreditati della pandemia. Iniziarono, anche, a formarsi positivi legami di cooperazione scientifica tra medici e ricercatori estranei al gruppo degli Eap. Questi scienziati, anche di fama internazionale, non furono mai riconosciuti come «esperti» e, perciò, verranno indicati, sempre per facilità di esposizione, con l’acronimo Enap: esperti non accreditati della pandemia.Gli Eap si contraddicevano spesso: situazione paradossale per dei cosiddetti «esperti»! Contraddizioni sempre giustificate, ancora oggi, dal fatto che la scienza era di fronte a sfide inedite e non esistevano modalità semplici per comunicare ciò che era incomprensibile persino agli «esperti». Errori di comunicazione che, come sostenuto da molti intellettuali, compreso Michel Croce, hanno incentivato le cosiddette teorie complottiste dei no-vax. Grazie al bollino qualità, conferito da persone del tutto sconosciute e della dubbia preparazione scientifica, furono etichettati come complottisti, no vax e contrari al progresso scientifico anche medici e ricercatori di fama mondiale.Gli Eap avevano elaborato strategie comunicative raffinatissime: hanno utilizzato influencer noti al grande pubblico come casse di risonanza e hanno cercato di precludere ogni confronto sereno e fondato su solide basi scientifiche, colpevolizzando gli altri come incompetenti, ignoranti e arroganti che fanno «affermazioni senza avere le conoscenze necessarie». Nessun «esperto» televisivo ha fatto mai menzione di quanto già si sapesse riguardo ai vaccini contro i coronavirus. Un torto abissale nei confronti della popolazione spaventata che si era affidata a loro: conoscenza e credenza distorta che veniva amplificata con il metodo della cassa di risonanza delle piattaforme digitali, delle principali reti televisive e dei principali quotidiani nazionali. Costantemente venivano ripetuti con entusiasmo gli aggiornamenti sulla sperimentazione, ma nessuno ha mai divulgato correttamente le conoscenze disponibili riguardo le sperimentazioni di altri vaccini contro i coronavirus. Questo è stato il tipico atteggiamento di chi non partecipa correttamente e in modo veritiero al «gioco del dare e chiedere ragioni». La conoscenza è potere, quindi il suo utilizzo richiede responsabilità: un giusto utilizzo può portare vantaggi, e benefici; mentre, un utilizzo negativo può dare origine solo a ingiustizie e prevaricazioni. Gli organismi regolativi americani sapevano che il preparato non fosse né efficacie né sicuro, eppure i dirigenti dell’Oms e di altre istituzioni, così come tutte le stelline televisive, non facevano che affermare che questo siero fosse miracoloso e solo esso avrebbe potuto portarci fuori dalla pandemia. Convinzione che è rimasta propria di molte persone che non sono state ancora adeguatamente informata sulle ultime rivelazioni dei Pfizer Papers. Proprio queste considerazioni, ci spingono a riconsiderare tutta la vicenda pandemica in un’altra prospettiva e, d’accordo con il giornalista Francesco Borgonovo, sospettare che «[abbiano] comunicato alla perfezione ciò che gli era stato detto di comunicare» e non ciò che effettivamente era. Non c’è stata imperizia comunicativa; il sospetto è che ci sia stata un’ottima strategia comunicativa che puntava tutto sulla colpevolizzazione dell’avversario. di Simonetta Pulciani, Biofisico in pensione, esperto di trasformazione cellulari e di retrovirus, di microarray, epidemiologia genetica e malattie rare
Ansa
Josep Martínez stava andando ad Appiano quando ha travolto per cause da chiarire il disabile: è indagato per omicidio stradale.
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Francesco Buzzella: «L’anno scorso in Europa hanno chiuso impianti che fruttavano 11 milioni di tonnellate. Che oggi compriamo per lo più dall’Asia». Emanuele Orsini batte cassa in Ue: «Servono gli eurobond per sostenere l’industria».
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)
Un deputato attribuisce alla vicinanza a Fdi la nomina al Teatro Colon di Buenos Aires. Il sovrintendente reagisce: «Qui la vogliono gli artisti». Rischio incidente diplomatico.
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Rifugiato, aveva già compiuto diverse rapine e terrorizzava Porta Venezia. Le persone erano costrette a cambiare strada.






