2025-07-25
Per le torri non basta la Scia. La Cassazione conferma i sigilli ai cantieri irregolari
Gli ermellini silurano il Sistema Milano: per costruire palazzi oltre i 25 metri si devono seguire le norme scritte nel 1942. Che, per i Sala-boys, «erano disapplicate ovunque».«Si faceva così da dieci anni» e lui andava in Scia. Niente autorizzazioni, per costruire palazzi su un garage bastava l’autocertificazione. L’ex assessore all’Urbanistica, Giancarlo Tancredi, continua a difendere il «Sistema Milano» («Siamo convinti di avere sempre rispettato la legge»), ma l’altro ieri il buco nel muro è diventato enorme e ha legittimato ancora di più le inchieste della Procura. La Corte di cassazione ha, infatti, ribadito che «non possono essere realizzati edifici con volumi e altezze superiori (a 25 metri), se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata». Di fatto ha chiamato in causa la legge urbanistica del 1942, definendola «un principio fondamentale e inderogabile».L’ulteriore colpo di maglio arriva con la pubblicazione delle motivazioni della sentenza con cui gli ermellini hanno dichiarato «inammissibile» il ricorso contro il sequestro del cantiere delle Residenze Lac nell’area del Parco delle cave, bloccato con i sigilli esattamente un anno fa. L’intervento prevedeva la realizzazione di tre torri di nove, dieci e 13 piani (altezza da 27 a 43 metri) con 77 appartamenti. Fra gli otto indagati per abuso edilizio ci sono Paolo Mazzoleni, attuale assessore all’Urbanistica di Torino, progettista della Lake Park proprietaria dell’area, e Rossella Bollini, titolare della stessa società. Più alcuni tecnici del Comune. Le presunte violazioni allora oggetto del sequestro da parte del gip sono quelle classiche di Palazzopoli : l’assenza di un piano di lottizzazione, la qualifica illegittima di «ristrutturazione edilizia» e non «nuova costruzione» (con indebiti vantaggi tributari ai danni dell’erario), la sottostima degli oneri per la pubblica utilità.La sentenza è paradigmatica del Sistema Milano, fra cemento e fondi d’investimento. Non a caso l’ex assessore Tancredi, in un’intervista, sosteneva che l’articolo 41-quinquies comma 6 della legge 1150 del 1942 «è disapplicato, non solo a Milano, perché è del 1942 quando ben poche città avevano piani regolatori». Così commentando, ammetteva involontariamente d’essere su una strada molto scivolosa. Uno slalom speciale e il rito ambrosiano delle costruzioni ha potuto proliferare. Un profondo disallineamento in deroga, che ha indotto parecchi costruttori a gettarsi a pesce sulla metropoli tascabile della deregulation (business is business).Nel pronunciamento di ieri la Cassazione, al contrario, ha ribadito che «è la consistenza dell’intervento edificatorio, con il suo impatto sul territorio, a spiegare la necessità di una pianificazione nei termini scelti insindacabilmente dal legislatore». E poi, altro passaggio: «Gli interventi edificatori consistenti sono come tali dotati di una inevitabile incidenza anche sul piano della rielaborazione e della rimodulazione delle opere di urbanizzazione, comunque da affidarsi alla programmazione pubblica». Traduzione con domanda: dove sono qui i servizi e gli spazi pubblici adeguati alle necessità? La sottolineatura è decisiva: interesse pubblico, piano urbanistico, concessione edilizia, valutazione dell’impatto sul quartiere. La Cassazione rafforza la validità della legge del 1942, altro che «disapplicata». Beppe Sala potrebbe provare a disconoscerla solo perché è stata emanata durante il periodo fascista. Magari ci prova pure.Verrebbe rimbalzato, perché la legge ponte 765 del 1967 impone che per tutti gli interventi urbanistici di un certo rilievo (oltre i 25 metri d’altezza) venga realizzato un piano attuativo e aggiunge l’obbligo per i privati che costruiscono di pianificare e pagare la costruzione di opere di urbanizzazione necessarie ai cittadini. Il decreto ministeriale 1444 del 1968 ne fissa gli standard. Ed è preciso: «Ogni abitante deve avere una dotazione minima, inderogabile, di 18 metri quadri per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio». C’è poco da lavorare con la fantasia. L’urbanista Paolo Berdini ha più volte denunciato che «il governo della città è stato sottratto alla mano pubblica e consegnato ai privati». Nulla di più facile, se si saltano i polverosi passaggi delle leggi nazionali considerandoli barbosa burocrazia per rincorrere in bicicletta Amsterdam.Palazzopoli si è consolidata negli anni anche per le divergenze amministrative determinate da alcune decisioni del Tar, talvolta pronto ad accettare l’urban vision dei Sala boys. Mentre tentava di far passare in Parlamento il Salva-Milano, il sindaco ha detto: «Non capiamo quali sono le regole». Eppure in Lombardia c’è anche una legge regionale del 2005 (numero 12) che recita: «In relazione alla popolazione da insediare secondo le previsioni del documento di piano è assicurata una dotazione minima di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale pari a 18 metri quadri per abitante». Come le precedenti. Quelle che i campioni della «fluidification» hanno utilizzato per fare gli aeroplanini di carta. E che la Cassazione ieri ha ribadito essere «principi fondamentali e inderogabili».
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