2022-11-12
Le carte taroccate per le super pensioni di «Repubblica»
Scoperti 45 libretti manomessi per garantire il vitalizio anticipato ai lavoratori e alleggerire i conti di Gedi. Aggiunti anni di contributi e assunzioni fasulle presso ignare società. La «regia unica» di sindacati e azienda.Eccoli finalmente i documenti taroccati grazie ai quali sindacalisti e dirigenti del gruppo editoriale Gedi (che pubblica giornali come La Repubblica, La Stampa e il Secolo XIX), secondo la Procura di Roma, avrebbero drenato risorse dello Stato per mandare in pensione lavoratori senza requisiti, assunti in società non in crisi, sfruttando gli scivoli garantiti dalla legge sull’editoria per chi era effettivamente a rischio tracollo. Fondi che così sono stati sottratti a chi davvero ne aveva bisogno. Ma i furbetti del libretto, convinti di avere dalla loro parte magistratura e opinione pubblica pensavano di farla franca. E forse non avevano tutti i torti a sperare di uscire indenni dalla brutta vicenda in cui sono stati coinvolti considerata la copertura mediatica che viene riservata in questi giorni su giornali, tv e siti d’informazione a una storia che coinvolge uno dei gruppi editoriali più importanti del Paese. Accusato di aver risparmiato 38,9 milioni di euro di costi per il personale accollandone all’Inps più di 22 milioni grazie ai prepensionamenti.Per la prima volta un avviso di chiusura delle indagini che chiama in causa 101 persone e cinque importanti società non è stato citato neppure in un articoletto.Una censura che la dice lunga sullo stato di salute del giornalismo in questo Paese, capace di confezionare ore di trasmissioni e paginate sui giornali contro i cosiddetti furbetti del cartellino, colpevoli di essere andati al bar o a fare la spesa in orario di lavoro, e di ignorare completamente i magheggi di chi con timbri falsi avrebbe costruito carriere lavorative false per scaricare sull’Inps i costi aziendali, magari di lavoratori neanche cinquantenni. Una scelta editoriale che si spiega solamente con il fatto che negli anni dei grandi esodi dai giornali anche altre aziende hanno approfittato allegramente degli incentivi per mandare in pensione centinaia di lavoratori, magari, in alcuni casi, con le carte non in regola.Secondo il pm Francesco Dall’Olio in Gedi, per ottenere quasi una cinquantina di prepensionamenti, avrebbero contraffatto i libretti di lavoro di diversi dipendenti a cui mancavano anni di «marchette» per accedere ai benefici. I casi contestati nell’avviso di chiusura delle indagini riguardano per l’esattezza 45 lavoratori, compreso l’ex sindacalista della Cgil Danilo Di Cesare, per gli inquirenti uno dei «soggetti corresponsabili» della truffa aggravata. Gli investigatori della Guardia di finanza, nelle perquisizioni del marzo 2018, hanno trovato nella sede di Gedi le prove di quei ritocchi. Negli uffici del personale c’erano ancora alcune copie originali e quelle modificate. Correzioni approssimative degne della tipografia dei Soliti ignoti.Come quelle sul libretto di Umberto Ottaviani (andato in pensione nel 2010 a 52 anni) che come incentivo per lasciare l’azienda ha ricevuto da Gedi 95.000 euro, l’equivalente dei contributi mancanti. Nel suo fascicolo personale, «sequestrato presso il gruppo Gedi», gli investigatori hanno trovato «una copia del frontespizio dell’attestato sostitutivo del libretto di lavoro, recante la data artatamente modificata al fine di trarre in inganno l’Inps». La prova? Le Fiamme gialle hanno rinvenuto nell’azienda «sia la copia dell’originale sia di quello falsificato». Nella corposa informativa agli atti si legge che il libretto autentico «risulta emesso il 12 settembre 1977» e «non il 3 gennaio 1977, come indicato sulla copia presentata all’Inps». In quest’ultima versione compare un’assunzione avvenuta l’1 febbraio 1977, aggiunta in uno spazio che nel fascicolo originale era vuoto. Grazie ad essa Ottaviani ha raggiunto i 32 anni di lavoro necessari ad andare in pensione.Il datore di lavoro che compare nel presunto documento falso è la Varone Sas, la stessa per cui avrebbero lavorato altri tre ex dipendenti Gedi: Massimo Campitelli, Serenella Giorgi e Anna Piludu. La Varone si occupava di produzione e installazione di impianti di posta pneumatica e aveva la sede legale in via della Pelliccia a Roma, all’indirizzo riportato sul timbro presente sui libretti, e la sede operativa sempre nella capitale, in via Siculiana. Nei locali della Varone, che nel frattempo ha più volte cambiato ragione sociale e si è trasferita fuori Roma, adesso si trova un’autofficina.Sentita dagli investigatori, Rossana Varone, socia della ditta, quando gli investigatori le hanno fatto i nomi dei presunti ex collaboratori ha risposto secca: «Non li ho mai sentiti nominare. Escludo che siano stati nostri dipendenti». Quindi ha aggiunto che presso la ditta non aveva mai lavorato alcuna donna, tranne lei e forse le sue cugine. A proposito dei timbri ha spiegato di non essere in grado di verificarne l’autenticità, ma ha negato che fossero del padre e dello zio «le firme apposte in corrispondenza dei timbri relativi all’azienda Varone». Nella loro annotazione gli investigatori hanno inserito anche le due versioni dell’attestato sostitutivo del libretto di Campitelli: quella depositata all’Inps, datata 3 luglio 1975, sempre con il timbro della Varone, e quella reperita nel fascicolo aziendale, che risalirebbe al 15 settembre 1978 e che «nella parte relativa alle attestazioni dei datori di lavoro è completamente in bianco».Secondo i finanzieri la data di rilascio dell’attestato, indicata nel frontespizio, sarebbe stata modificata per poter inserire un periodo lavorativo presso la solita Varone Sas il cui inizio è stato fatto risalire al 6 luglio 1975. Un altro caso di presunta falsificazione è quello del libretto di Maria Clotilde Velardi (la quale ha ricevuto una buonuscita di 53.000 euro ed è andata in pensione nel 2013 a 60 anni), che nella copia presente negli archivi di Gedi «risulta emesso in data 6 febbraio 1984, cioè successivamente alla data dei periodi lavorativi oggetto di riscatto», che si collocano tra il 1977 e il 1980. Nel documento usato per ottenere la pensione la donna indica come primo datore di lavoro la società «Augustea Srl officine grafice e cartotecniche». E qui gli investigatori evidenziano che il timbro con l’evidente errore di ortografia, che mal si sposa con l’attività nel settore della grafica, sarebbe già «stato utilizzato tra le attestazioni dei datori di lavoro del libretto di lavoro di Danilo Di Cesare». Quest’ultimo ha lasciato l’azienda nel dicembre 2009 all’età di 52 anni grazie al presunto illecito riscatto e avrebbe aiutato altri otto colleghi a fare altrettanto. Negli atti è specificato che dal confronto dei libretti della Velardi e di Di Cesare «si rileva la similitudine dei due timbri sia per l’utilizzo degli stessi caratteri di scrittura, sia per il medesimo errore ortografico». Le fiamme gialle hanno evidenziato anche che la Augustea «non risulta censita nelle banche dati in uso al Corpo».Secondo i calcoli della Gdf Ottaviani, Campitelli e Velardi dovrebbero restituire all’Inps, rispettivamente, 406.310, 148.316 e 232.954 euro. Per Di Cesare il pm non ha inserito il conteggio nell’avviso. Un’altra società usata per falsificare i libretti sarebbe la Ettore Leoni, citata in quelli di Francesca Ciarcianelli e Paolo Bernardini. Sentito dagli investigatori il nipote del fondatore, Vito Leoni, ha risposto così alla domanda sui due: «No, non li conosco; non li ho mai sentiti nominare prima d’ora». L’uomo ha consegnato agli investigatori le copie delle pagine dei registri aziendali con la lista del personale che ha lavorato nella ditta tra il 1974 e il 1979. E i due ex dipendenti Gedi indagati non compaiono. Inoltre il timbro che è stato mostrato al testimone risulterebbe essere di «dimensioni più piccole rispetto a quello effettivamente utilizzato dalla società del nonno».Per gli inquirenti ci sarebbe una «regia unica» dietro alla presunta truffa ai danni dell’Inps. E un ruolo importante lo avrebbero giocato tre sindacalisti: il già citato Di Cesare, la collega Alma Mazzi e Vincenzo di Martino. Ma anche l’ufficio risorse umane del gruppo. Come hanno annotato gli investigatori «l’ufficio del personale delle aziende del gruppo interessate (Gedi gruppo editoriale Spa e Rotocolor Spa) ha, a suo tempo, consegnato i libretti di lavoro ai dipendenti per produrli all’Ente a corredo delle loro istanze […] al fine di consentire la giustificazione all’Inps dei periodi lavorativi oggetto di riscatto». La conclusione degli inquirenti? «È di tutta evidenza, quindi, il coinvolgimento dell’ufficio del personale che custodiva tali libretti, atteso che i periodi lavorativi riportati in quelli consegnati ai dipendenti erano insufficienti a coprire i contributi necessari».Infine gli investigatori giudicano particolarmente significativa un’intercettazione tra Di Cesare e Campitelli, in cui, quest’ultimo, dopo l’inizio delle indagini, ammette sconfortato: «Io c’ho due fotocopie del libretto di lavoro.. dove non c’è scritto un cazzo ! Capisci? E secondo me... so anche antecedenti […] secondo me è un libretto vecchio […] Ce so’ du’ timbretti uno del 79 e uno 80, che so secondo me de’ Repubblica, non so che cosa sono...[…] invece lì doveva risulta’ 76 […]».
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