2023-05-11
La farsa delle tende per il caro affitti serve a non parlare del nodo stipendi
La protesta degli studenti è cavalcata per invocare espropri e tetti ai prezzi. Misure che colpiscono i privati, ignorando il vero nodo di cui è responsabile chi ha governato finora: il calo del potere di acquisto dei salari.Elly Schlein: «Soppresso il fondo per le locazioni». Falso: il governo non l’ha rifinanziato, come i predecessori. Giuseppe Valditara: «Problemi solo nelle città rosse». Anna Maria Bernini lo zittisce.Lo speciale contiene due articoli.Cresce il numero di tende piantate dagli studenti davanti alle sedi delle università e cresce anche il numero di città universitarie in cui la protesta prende piede. Ormai sono una dozzina i centri urbani, piccoli e grandi, nei quali gli studenti fuori sede inscenano l’originale rimostranza contro il costo degli alloggi, lanciata dalla studentessa del Politecnico di Milano, Ilaria Lamera. Con l’allargarsi della mobilitazione c’è da sperare che questa non finisca condita da un piatto di nuove Sardine, che inneschino una deleteria deriva da scontro generazionale. I ragazzi in tenda segnalano infatti un problema reale che però non è quello che loro stessi, molti media e certa politica si sono affrettati ad etichettare «caro affitti».Parlare di caro affitti significa orientare la discussione puntando l’attenzione sulla casa e sui proprietari, che forse a un certo côté piace raffigurare come cinici arricchiti, impegnati ad accumulare con cupidigia lacere banconote. Una narrazione ispirata a Charles Dickens e puntata sull’enfatizzazione di una ipotetica causa (l’affitto «troppo alto») che provoca un maligno effetto (l’impossibilità o l’estrema difficoltà di avere un’istruzione universitaria).Peccato che questa descrizione ponga quale causa ciò che in realtà è un effetto. Il problema non è che gli affitti siano alti in assoluto, ma che siano alti rispetto ai livelli di salari e stipendi. Gli affitti delle case nelle città universitarie riflettono condizioni di mercato, il mercato del lavoro no. È da questa plateale asimmetria che nasce il problema. Il potere di acquisto di salari e stipendi è drammaticamente calato negli ultimi anni. Secondo l’Ocse l’Italia è l’unico Paese europeo in cui i salari annui medi tra il 1991 e il 2020 sono addirittura scesi in termini reali (del 3,5%): in Germania sono aumentati del 33%. Nel nostro paese, nel 2022, a fronte di una crescita nominale del 2,3% dei salari, la crescita più bassa di tutta l’Unione europea, l’inflazione è stata dell’8,1%. Il tracollo dei redditi reali spiega in buona parte perché oggi molte cose costino «troppo». Abbiamo già parlato, qui, ad esempio, della salita dei prezzi medi delle automobili, che in pochi anni sono aumentati del 45%. Se lo stipendio di mamma e papà, entrambi lavoratori, non basta per mandare il figlio a studiare a Bologna c’è un problema di reddito, non di affitto.Dunque, il tema è più ampio e non riguarda il caro (affitti) ma il calo (del potere di acquisto). Stretto fra inflazione, pressione fiscale e deflazione salariale indotta dalla rigidità della moneta unica, il potere d’acquisto degli italiani ha subito con il tempo un drammatico regresso. Di questo conto devono entrare a far parte anche i tagli della spesa pubblica sui servizi come la sanità, i trasporti collettivi, l’istruzione, che sono una forma di reddito per il cittadino, almeno fino a che costano meno del privato. Ad oggi, poi, ci sono 112 contratti collettivi nazionali scaduti ancora da rinnovare, con circa sette milioni di lavoratori interessati.Non può sfuggire a questa analisi, per quanto rapida, il fatto che non si siano fatti molti investimenti pubblici per via dell’austerità a cui questo paese è sottoposto da trent’anni. Tra il 1995 e il 2019 i conti pubblici italiani hanno sempre mostrato un avanzo primario (differenza tra entrate e uscite pubbliche misurata in percentuale sul Pil), a parte l’eccezione del 2009. Il patto di stabilità e crescita europeo, la cui riforma è in discussione a Bruxelles, è una camicia di forza depressiva per l’economia e regressiva fiscalmente. Quindi se, nonostante la legge 338 del 2000 sull’edilizia residenziale per studenti, Regioni e Comuni non hanno sviluppato seri progetti è anche perché il patto di stabilità interno tra Stato centrale ed enti locali (conseguenza di quello europeo) ha fortemente limitato, quando non impedito, la possibilità di fare investimenti. Adesso il Pnrr mette a disposizione 300 milioni per gli alloggi per studenti: cioè, l’Europa che ci proibiva di fare debiti per edilizia pubblica e per studenti, ora, bontà sua, ce lo permette. In tutto ciò, la sinistra ha buon gioco nell’invocare misure eccezionali, espropri, requisizioni e tetti agli affitti. Una suggestione, quest’ultima, a cui anche qualcuno nel centrodestra sembra non essere alieno: c’è da sperare che l’esperienza dell’inutile price cap sul gas sia servita a capire che non ci potrebbe essere niente di peggio.La sinistra offre soluzioni punitive della proprietà della casa, non solo per additare un facile bersaglio, ma soprattutto per nascondere il ruolo avuto in dieci degli ultimi dodici anni, in cui ha governato. La grande sottrazione sta lì: nel jobs act e nell’erosione del potere di acquisto, conseguenza della cieca adesione al modello europeo, che frena la domanda interna, tiene bassi i salari e impone austerità nei conti pubblici. Il problema degli studenti fuori sede è in realtà un problema di potere d’acquisto di salari e stipendi, e si risolve riequilibrando una bilancia che da troppo tempo è fuori scala.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/caro-affitti-non-parlare-stipendi-2659994742.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-bufala-del-pd-sussidi-azzerati" data-post-id="2659994742" data-published-at="1683765107" data-use-pagination="False"> La bufala del Pd: «Sussidi azzerati» Crescono insieme alle tende piantate le polemiche tra ministri, sindaci e segretari di partito. Ieri il ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, ha sottolineato che le proteste studentesche si sono concentrate a Milano, Torino, Roma, Bologna, Firenze, «ovvero, città guidate da giunte di centrosinistra che non hanno attivato politiche a favore dei giovani e degli studenti per offrire loro un panorama abitativo decoroso». Immediata la reazione dei primi cittadini. Ironico il sindaco di Milano Giuseppe Sala: «Se è una battuta, rispondo con una battuta: magari è così perché gli studenti hanno più voglia di stare nelle città di centrosinistra che non di centrodestra». «Ministro disinformato, dovrebbe sapere che il diritto allo studio è una prerogativa del governo e delle Regioni, che devono realizzare subito studentati pubblici» ha attaccato Matteo Lepore, da Bologna, mentre il collega di Roma, Roberto Gualtieri, si è schierato con i manifestanti: «Quello del caro affitti è un problema enorme, i ragazzi hanno ragione e io li vorrei incontrare. Siamo un Paese con pochi studentati, ma ci sono le risorse del Pnrr e noi vogliamo realizzarne a Roma. C’è un mercato degli affitti drogato, anche perché manca una legge che limiti i cosiddetti Airbnb, legge che io vorrei come c’è in tutte le capitali europee. Nel nostro Piano prevediamo anche una agenzia degli affitti che intermedi tra domanda e offerta dando anche garanzie». Evita le polemiche il ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, irritata dalla «contrapposizione con le amministrazioni locali, ritenuta controproducente al raggiungimento di una soluzione efficace e il più possibile condivisa» che vuole dare «risposte subito anche se servono più risorse». «Con l’aiuto di tutto il governo per le residenze universitarie abbiamo già messo in legge di bilancio 400 milioni in più rispetto alle risorse ordinarie, che ci permetteranno di creare 14.000 nuovi posti letto. Si tratta di risorse extra rispetto a quelle Pnrr che prevede di realizzare 60.000 posti aggiuntivi, tant’è che il Miur ha già raggiunto il primo target, assegnando agli studenti 7.500 posti letto mentre sta per partire una manifestazione d’interesse per capire gli immobili pubblici su cui possiamo contare per creare gli altri 52.500 posti previsti» ha spiegato il ministro azzurro. E a proposito di risorse, la segretaria del Pd Elly Schlein ha assicurato: «Il Pd continuerà a spingere per convincere il governo a tornare indietro sull’errore madornale che ha fatto cancellando il fondo per gli affitti di 330 milioni di euro». Epperò anche la Schlein fa un errore, perché il governo Meloni non ha «cancellato» il fondo da 330 milioni di «supporto per gli affitti», bensì non lo ha rifinanziato come già accaduto con altri governi. Infatti, il «Fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione», come sottolinea Pagella Politica, fu creato dal governo D’Alema e deve essere rifinanziato ogni anno dalla legge di Bilancio, e il ministero delle Infrastrutture deve con un decreto distribure alle regioni le risorse. Dal 2001 a oggi il fondo non ha ricevuto nessun finanziamento, con 5 governi: Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e il primo governo Conte. Il governo Meloni ha fatto la stessa cosa, non ha messo risorse ad un fondo che però continua ad esistere. E ieri anche il responsabile del Mit Matteo Salvini, dopo un incontro con i sindacati, ha parlato di riorganizzazione del dicastero per renderlo più efficiente e all’altezza di sfide delicate e ambiziose come il caro affitti e il tema abitativo nel suo complesso» e ha sottolineato l’intenzione di voler «creare una task force dentro il dicastero, una Direzione ad hoc riservata solo all’edilizia». Tuttavia, quella direzione al Mit esiste già.
Francesca Albanese (Ansa)
Andrea Sempio. Nel riquadro, l'avvocato Massimo Lovati (Ansa)
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