2024-10-08
Tavares demolito pure dai suoi concessionari
Carlos Tavares (Getty Images)
I venditori italiani di Stellantis scrivono alla Von der Leyen: «Siamo in una posizione contraria al costruttore, i clienti non comprano l’elettrico». Artusi (Federauto): «Bruxelles spinge ma il mercato non assorbe. E la Cina può farsi una propria rete di distribuzione».Era prevedibile che prima o poi il problema si sarebbe scaricato sull’ultimo anello della filiera dell’automotive. Il fenomeno è stato anticipato dai concessionari negli Stati Uniti allarmati per l’aumento dell’invenduto con alcuni che hanno addirittura chiuso per gli alti costi dei saloni pieni di vetture elettriche senza acquirenti. Ora è la volta della rete dei distributori italiani di Stellantis: hanno preso carta e penna e hanno scritto alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, per metterla al corrente di una situazione che è sotto gli occhi di tutti ma che anche Bruxelles continua a far finta di non vedere. Ovvero che è impossibile, per il mercato, assorbire tutte le auto elettriche necessarie a rispettare i target della decarbonizzazione fissati dal Green deal.«In qualità di distributori, siamo in contatto quotidiano con clienti finali», spiegano i concessionari Stellantis nella lettera, «che spesso rifiutano i Bev (i veicoli a batteria, ndr) a causa di preoccupazioni su prezzo, autonomia e accessibilità. Ciò ci pone in una posizione contraria a quella del produttore che rappresentiamo, che rimane ottimista circa il rispetto di queste severe normative Ue. Tuttavia, dal nostro punto di vista, è chiaro che il settore non è ancora pronto a raggiungere il volume necessario di vendite di veicoli elettrici. Questa crescente divergenza tra obiettivi normativi, prontezza del mercato e aspettative del produttore è motivo di preoccupazione. Non è stata, quindi, una sorpresa quando la maggior parte dei produttori europei, tramite Acea, ha chiesto un rinvio di questi obiettivi, una proposta che sosteniamo pienamente».Il tema è chiaro. Dal 2020, da quando sono stati introdotti i target alle emissioni, le case automobilistiche, per non dover pagare multe salate, sono costrette a tenere il parco auto venduto sotto il livello medio di emissioni di CO2. Con i nuovi limiti che scattano dal prossimo gennaio, per centrare gli obiettivi di 94 gr/km dagli attuali 116, di fatto le vendite di auto a batteria dovrebbero raddoppiare. Un’utopia. L’associazione dei costruttori, l’Acea, ha già chiesto alla Commissione di far slittare questa scadenza al 2027 ma è la sollecitazione è caduta nel vuoto. Peraltro il ceo di Stellantis, Carlos Tavares, si è dissociato, sostenendo (non si capisce su quali basi) che la norma non va toccata e che il gruppo può rispettarla.Di qui la reazione dei concessionari che hanno i piazzali strapieni di auto elettriche invendute perché i consumatori non ne vogliono sapere, nemmeno con gli incentivi. «Non è una rivolta della rete contro il costruttore ma il grido d’allarme del settore che vede la casa automobilistica impossibilitata dal fare iniziative rivolte al mercato perché ostacolata da una legge contraria al mercato», afferma a La Verità il presidente di Federauto, la Federazione dei concessionari, Massimo Artusi. «Se i dealers sono costretti a rivolgersi al presidente della Commissione Ue per il cattivo funzionamento del rapporto con un produttore, è il segnale che le cose non stanno andando come il legislatore vorrebbe. Bruxelles sta forzando la produzione rispetto a quello che il mercato può assorbire». Artusi spiega che i concessionari «sono inermi, stretti tra la politica di Stellantis e quello che la Ue impone a questa di fare. Non possiamo continuare ad accumulare auto nei nostri piazzali. Le percentuali di decarbonizzazione fissate dal Green deal automotive sono impossibili da raggiungere con questi numeri di immatricolazioni».I concessionari sono consapevoli che da gennaio il pressing di Stellantis potrebbe aumentare proprio per rispettare i nuovi target delle emissioni e ciò significherebbe, per la rete, un ulteriore immobilizzo di capitali tale da mettere a rischio l’attività. Va ricordato che il settore dà lavoro a oltre 150.000 persone, soltanto in Italia. Una preoccupazione che spiega la lettera alla Von der Leyen.«Ci stiamo battendo per il carbon corrector factor, cioè un fattore di correzione del carbonio che riconsideri l’impatto in termini di CO2 del vettore energetico. Non bisogna valutare solo le emissioni finali ma anche quelle di tutta la vita dei veicoli elettrici: allora apparirà chiaro che questi tanto ecologici non sono dal momento che si usa ancora energia che viene dal carbone. Finora non siamo stati ascoltati. Chiediamo anche che debbano essere impiegate altre tecnologie come i biocarburanti, finora presi poco in considerazione», afferma Artusi.I concessionari sono alle prese anche con un altro problema, ancora non immediato ma che potrebbe manifestarsi in un prossimo futuro qualora si intensificasse la presenza di auto cinesi in Italia e in Europa: «C’è il rischio che le case automobilistiche cinesi possano creare una loro rete di concessionari. E allora per la categoria sarebbe davvero guai», afferma il presidente di Federauto.Peraltro quando i cinesi di Faw si erano fatti avanti per acquisire Iveco, l’obiettivo non era solo mettere le mani sul colosso dei camion ma anche impossessarsi dell’altro boccone allettante che era la rete dei concessionari e dell’assistenza Iveco. La trattativa allora saltò ma è stato un avvertimento.
Ecco #DimmiLaVerità del 10 novembre 2025. Il deputato di Sud chiama Nord Francesco Gallo ci parla del progetto del Ponte sullo Stretto e di elezioni regionali.