2023-12-11
Carlo Fidanza: «Vogliamo costruire col Ppe un’alternativa alla sinistra»
Il capo di Fdi all’Europarlamento: «Esporteremo a Bruxelles il modello del governo Meloni. Penso a un centrodestra ampio, ma non ha senso mettere paletti sulle alleanze».Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia e uomo forte dei conservatori al Parlamento europeo: come finirà il braccio di ferro sul nuovo Patto di stabilità?«Il governo Meloni ha varato una legge di bilancio da 28 miliardi, nonostante i 20 miliardi di buco del Superbonus e 13 miliardi di maggiori interessi sul debito a causa delle scelte sciagurate della Bce. Abbiamo rimodulato con successo il Pnrr, siamo il primo Paese a ricevere la quarta rata, abbiamo applicato un approccio serio e responsabile ai conti pubblici. Forti di queste ragioni, chiediamo una riforma del Patto adeguata».Cosa significa «adeguata»?«Pretendiamo si tenga conto degli investimenti compiuti, in primo luogo quelli previsti dalle priorità europee: parlo della transizione green e digitale e delle spese per la difesa, stante il nostro impegno a fianco dell’Ucraina».E poi c’è il nodo sui tempi?«Certo: prima dobbiamo finire di ripagare il Pnrr mettendolo a terra nel suo complesso, e solo dopo potremo occuparci della riduzione del debito, che comunque dovrà essere sostenibile. La partita è in corso: siamo ottimisti, ma non firmeremo un Patto che non risponderà alle nostre esigenze. Abbiamo già il fardello del Superbonus che ci accompagnerà per i prossimi tre anni: accettare nuove regole restrittive sul Patto significherebbe avere margini di manovra troppo angusti nelle prossime leggi di bilancio».Non pensa, come dice anche Lorenzo Bini Smaghi, che la riforma del Patto andrebbe rinviata a dopo le Europee, con una nuova Commissione in carica? «La fretta rischia sicuramente di essere cattiva consigliera. Rispetto a una riforma penalizzante, sarebbe certamente meglio procedere verso una soluzione “ponte”, che possa consentire un atterraggio morbido verso una riforma più compiuta, con una Commissione che abbia un mandato politico pieno, in grado magari di riflettere equilibri politici differenti. Insomma, se la trattativa non si chiudesse, potrebbe non essere un dramma: meglio una pausa di riflessione piuttosto che accettare un accordo capestro».Intanto si moltiplicano le pressioni sul governo per l’accettazione del Mes. È chiaro che questa partita è legata a doppio filo con il confronto sul Patto.«È così, sono due partite politicamente collegate. Introdurre ulteriori elementi di rigidità in questo frangente sarebbe insostenibile».Così com’è il Mes è invotabile, dunque?«Non abbiamo cambiato idea su questo strumento. Nel momento in cui i Paesi “frugali” non intendono contrarre debito comune per sostenere investimenti sulla competitività, rimango personalmente convinto che i fondi del Mes andrebbero ridirezionati sulla crescita. Non devono restare bloccati. Penso che il Mes sia storicamente uno strumento datato: dobbiamo ripensarlo, alla luce delle nuove sfide che attendono l’Europa».Antonio Tajani è disposto ad accettare il Mes, in cambio però dell’unione bancaria. «È un altro pezzo del puzzle. Il nostro sistema bancario è stato sottoposto a una cura da cavallo per rientrare nei nuovi parametri, dall’unione bancaria a Basilea. Le banche tedesche sono perlopiù casse di risparmio locali sottoposte a regole diverse. Il sistema dev’essere armonizzato nell’ambito di un accordo complessivo».Vi preoccupa la crescita nei sondaggi dei sovranisti di Identità e Democrazia? «C’è un vento positivo per le forze di destra di Europa, a prescindere dalle appartenenze ai diversi gruppi, quindi non siamo affatto preoccupati. Sul piano delle alleanze, è presto per ragionare: bisogna prima vedere i numeri. Adesso per noi è importante dare un messaggio chiaro: vogliamo portare il “modello Meloni” anche in Europa, con un centrodestra di governo in versione ampia. Piantare adesso paletti avrebbe poco senso: c’è la campagna elettorale di mezzo e nessuno può ipotizzare alleanze future oggi inconfessabili. Occorre prima prendere i voti. L’esempio olandese ce lo dimostra: partiti che avevano escluso categoricamente collaborazioni di governo, oggi alla luce dei risultati stanno considerando la possibilità di governo comune».Quale Commissione immagina?«Una Commissione sicuramente “politica”, con un progetto diverso rispetto all’attuale governo europeo, che ha avallato la deriva “ultragreen” di Timmermans. Dopo le elezioni verrà scritta la parola fine sulle politiche ambientaliste deleterie per le nostre imprese».Da Firenze, dove si è celebrato il raduno sovranista, Matteo Salvini dice agli alleati di scegliere: o con noi o con i socialisti. Da che parte starete?«Il tema non ci tocca: noi siamo nati e moriremo alternativi alla sinistra, in Italia e in Europa. Siamo impegnati ad allargare la famiglia dei conservatori europei, mantenendo un dialogo con i popolari, senza i quali sarà impossibile numericamente costruire uno schema alternativo alla sinistra. Negli ultimi mesi abbiamo già registrato nell’Europarlamento maggioranze ampie, che hanno tenuto insieme vasti schieramenti, dai liberali fino ai sovranisti. È chiaro che sono voti su singoli provvedimenti, che manifestano sensibilità diverse su green e immigrazione: difficile pensare ora che questa convergenza possa tramutarsi in alleanza politica stabile. Tuttavia, è il segno di una tendenza che va verso destra e su cui dobbiamo lavorare».Cosa vi distingue dai sovranisti?«Non voglio dare patenti di legittimità democratica, arrivando da un’esperienza politica a lungo esclusa dall’arco costituzionale. Io spero che il centrodestra italiano faccia prevalere il patrimonio che ci unisce, senza abbandonarsi troppo ai toni da campagna elettorale che inevitabilmente saliranno di volume. Detto questo, ci sono valori non negoziabili, per esempio in politica estera, su cui tutte le forze di governo hanno sempre votato compatte. Non abbiamo motivo di pensare che i nostri alleati si comporteranno diversamente in Europa».Dunque?«Diciamo che l’impegno del centrodestra europeo, di cui Fratelli d’Italia sarà un motore fondamentale, è questo: con un vento che porta a destra, abbiamo il dovere di evitare una Commissione orientata a sinistra».Però attualmente i numeri sembrano remare verso una nuova maggioranza Ursula. La accettereste, se non vi fossero alternative? «La navigazione di una nuova maggioranza Ursula ad oggi non sarebbe così agevole. Basti guardare allo scontro durissimo sul nuovo governo socialista spagnolo, accusato giustamente anche da popolari e liberali, oltre che da noi conservatori, di violare lo stato di diritto. Per il resto, un conto è il voto sul presidente della Commissione, un altro la composizione della maggioranza che sostiene stabilmente il governo europeo. Ricordiamoci che Von der Leyen è stata eletta con i voti decisivi dei 5 stelle, degli ungheresi di Orban e dei nostri alleati polacchi, che però non sono entrati nella maggioranza. Insomma, oggi fare certi discorsi è prematuro».Pare che Macron stia lavorando dietro le quinte per proporre Mario Draghi a capo della Commissione. Credibile?«Indiscrezioni giornalistiche già smentite dall’interessato. E poi non viviamo più nel tempo in cui Macron decide da solo chi comanda in Europa. Mi fanno sorridere le vedove di Draghi che già si stracciano le vesti, me le ricordo anche in campagna elettorale: se oggi abbiamo il governo Meloni è perché gli italiani hanno scelto il ritorno della politica. Magari ci porteranno bene anche alle Europee».Ma accettereste il nome di Draghi?«Noi vogliamo una Commissione politica, che applichi la ricetta del centrodestra. Che Draghi abbia una statura riconosciuta a livello internazionale è evidente: ma questo non basta, come ha dimostrato anche il caso italiano. Se hai maggioranze innaturali e programmi poco chiari, puoi chiamarti Mandrake ma fallirai. Il toto-nomi non serve, serve invece una Commissione vicina alle posizioni italiane su immigrazione, ambiente e regole di bilancio».Viste le scadenze cruciali che attendono l’Italia nei prossimi mesi, è sempre meglio gestire le pratiche europee dalle stanze dei bottoni, piuttosto che isolarsi?«Qualunque sia lo schema di gioco, l’Italia sarà protagonista. Se continueremo a fare bene, sono certo che le forze di governo, a partire da Fratelli d’Italia, otterranno prevedibilmente risultati importanti: avremo quindi la conferma di una maggioranza nazionale stabile e di un governo di legislatura».Certamente in questa campagna elettorale il tema green riveste un importanza cruciale, più che in passato. «E pensare che in principio eravamo isolati quando muovemmo le prime critiche alla tendenza ultraecologista, che stava prendendo piede anche per via di una subalternità del Ppe, che fino a pochi mesi fa era appiattito sulla linea Timmermans. Noi passavamo per gli eretici del clima: oggi finalmente se ne può discutere apertamente. Abbiamo lavorato quotidianamente per respingere gli eccessi, da ultimo ammorbidendo la normativa sugli imballaggi, che rischiava di mettere in ginocchio un’eccellenza italiana».L’ultima direttiva su case e pannelli solari obbligatori non sembra lasciare speranze per le tasche degli italiani. «Inizialmente era previsto un target di efficientamento per ogni immobile: siamo riusciti a far passare un obiettivo nazionale di emissioni, che poi ogni Stato deciderà come raggiungere. Questo consente una maggiore flessibilità, e ammorbidisce quell’elemento draconiano che sarebbe costato migliaia di euro ad ogni famiglia. Ci sono chiaramente ancora delle ombre. Si parla tanto di autonomia strategica, ma questi provvedimenti ci consegnano alla Cina. Credetemi, la nuova Europa di centrodestra metterà fine a queste follie».
(Totaleu)
«Tante persone sono scontente». Lo ha dichiarato l'eurodeputato della Lega in un'intervista al Parlamento europeo di Strasburgo.