- A quasi 20 giorni dal delitto, diffuso il video che svela come la ventitreenne ucraina è stata massacrata senza ragione sulla metro da un pregiudicato. È accaduto negli Usa, ma una violenza simile purtroppo è ovunque.
- Il tycoon ai progressisti: «Il sangue della ragazza è sulle vostre mani». Elon Musk contro magistrati e procuratori.
Lo speciale contiene due articoli
Guardava il telefono, Iryna Zarutska. Aveva lasciato la guerra in Ucraina alle spalle, il peggio era dunque passato. Alla fine, lei era tra i fortunati: aveva raggiunto l’America, il Paese dove tutto è possibile, perfino essere ammazzati senza alcun motivo. Come è successo a lei. Decarlos Brown, il suo killer, aveva deciso così: Iryna doveva morire. Era il 22 agosto scorso. All’epoca i giornali statunitensi diedero la notizia in modo secco: uccisa una rifugiata ucraina. Basta. Era sufficiente. Bisognava inoltrarsi nel pezzo per sapere da chi - un afroamericano di 34 anni - senza trovare alcun perché, visto che ancora oggi non esistono motivazioni per questo gesto se non quella fornita dalla sorella del killer, secondo la quale avrebbe agito perché la vittima gli stava leggendo la mente.
Poi, in questi giorni, ha cominciato a circolare sui social il primo video dell’omicidio, che pubblichiamo oggi sul nostro sito. Quello in cui si vede Brown ammazzare la ventitreenne ucraina e che si è voluto censurare fino all’ultimo. Fino a che non è diventato di dominio pubblico sui social, dove è stato condiviso da centinaia di migliaia di persone. Quello in cui si vede l’afroamericano che fruga tra le tasche, estrae un coltello a serramanico, si appoggia alla barra del sedile per avere stabilità e, infine, la colpisce tre volte al petto. Non agisce come uno sprovveduto: sa come fare per uccidere. Del resto, è già stato fermato 14 volte dalla polizia per diversi reati. È abituato. Sa agire con violenza. I colpi arrivano e Iryna non può far altro che toccarsi il petto e alzare gli occhi. Forse pensa di aver ricevuto dei pugni. Il suo sguardo è impaurito e assente. Stringe a sé il telefono nel quale si era rifugiata non appena si era seduta sulla metro. Il sangue sta cominciando a scorrere copioso. Il suo, ma pure quello di Brown. Perché, per sferrare i colpi, quei tre terribili affondi (quelli che in gergo si chiamano stabbing), la sua mano scivola sulla lama, ferendo anche lui. I frame scorrono. Le immagini, prima concitate, sembrano muoversi sempre più lentamente. Il killer si è allontanato. Gli occhi di Iryna sono vuoti di fronte all’aggressore, che le passa accanto come se nulla fosse accaduto. Lei è sotto choc, le forze cominciano a venirle meno. Forse, c’è tempo solo per pochi pensieri. Gli ultimi: com’è potuto succedere a me? Perché proprio io? Poi il vuoto. Chi ha assistito alla scena si è alzato ed è andato via. Il corpo della ragazza, che nel frattempo è scivolato tra i sedili, si muove ancora. Dalla sua mano l’ultimo segnale di vita. Iryna viene inghiottita dal pavimento. Scompare.
Solamente più tardi, quando ormai non ci sarà più nulla da fare, due soccorritori raggiungeranno la ragazza. Ancora qualche secondo e l’anima della ragazza lascerà il suo corpo.
Iryna non c’è più. È successo a lei, ma poteva succedere a chiunque. Lo scorso aprile, per esempio, era stato accoltellato a morte a Frisco, in Texas, un ragazzo statunitense: Austin Metcalf. Per quel crimine è oggi accusato un afro americano, Karmelo Anthony, che andrà a processo nel 2026. Anche in questo caso, il giudice ha emanato un’ordinanza per silenziare il fatto. Perché certe cose è meglio non raccontarle, non solo in America, ma soprattutto nel nostro Paese, dove l’immigrazione è un fenomeno relativamente fresco. Secondo le statistiche, però, gli stranieri, soprattutto se nordafricani e latinos, sono più propensi ai crimini violenti. E non si tratta solo di stupri, ma anche di aggressioni. Perché, in un certo senso, fa parte della loro cultura. Perché spesso la vita da loro vale meno. Perché la violenza serve a raggiungere il loro scopo. Qualsiasi esso sia: entrare in una gang o avere un paio di cuffiette per il telefono.
Lo sguardo di Iryna è il nostro. E non basta dire che i reati diminuiscono quando la percezione della sicurezza nelle nostre città è ormai ai minimi termini, non solo tra chi le abita ma anche tra coloro che vengono nel nostro Paese per turismo. Capita per esempio che turisti americani facoltosi (ma non noti) arruolino servizi di sicurezza perché temono di subire rapine e aggressioni. Non si sentono sicuri, dicono. E non è difficile da credere. Basta girare attorno alle stazioni delle nostre città per rendersene conto, oppure nei centri storici. La minaccia è dietro l’angolo. È violenza apparentemente senza senso, anche se invece ce l’ha.
Gli occhi di Iryna sono i nostri. Sono quelli di chi si chiede se val la pena morire così. Sono quelli di Cassandra, che predice un futuro che non vogliamo vedere. Ma che è già tra noi ed è fatto di sangue e violenza.
Trump: «Pena capitale per quell’animale»
Processo rapido e pena di morte: a queste condizioni - e solo queste - si potrà parlare di giustizia per il caso che riguarda l’omicidio di Iryna Zarutska, la ventitreenne ucraina assassinata con brutale violenza da un pluripregiudicato a piede libero su un mezzo pubblico a Charlotte, North Carolina, Stati Uniti.
È questo il pensiero dell’inquilino della Casa Bianca Donald Trump, che in un videomessaggio trasmesso dalla sua scrivania nello Studio Ovale ha affermato: «È stata massacrata da un mostro folle che vagava libero dopo essere stato arrestato 14 volte e rilasciato con cauzione zero», ha detto il tycoon. «L’animale che ha ucciso così violentemente la bella ragazza ucraina, venuta in America in cerca di pace e sicurezza, dovrebbe essere sottoposto a un processo rapido e condannato alla pena di morte. Non ci possono essere altre opzioni». «Non possiamo permettere che una banda criminale depravata di violenti recidivi continui a seminare distruzione e morte. Dobbiamo essere feroci proprio come loro». Il presidente Usa ha poi attaccato i democratici, affermando che «il sangue» della ragazza «è sulle loro mani, sulle mani di queste persone che si rifiutano di arrestare i criminali». Nonostante Iryna sia stata uccisa il 22 agosto scorso, per settimane la notizia non è stata trattata che con superficialità: «Ragazza ucraina uccisa a Charlotte, Usa». E basta. Ora però che il vaso è stato scoperchiato e si è capito il perché di questo silenzio, tutti hanno qualcosa da dire. Perché la notizia è passata sottotraccia? Semplice, lo si è detto: il suo assassino, Decarlos Brown, un nero senzatetto con uno sterminato elenco di crimini alle spalle, era stato arrestato 14 volte e rilasciato senza cauzione. Qualcuno ha tentato di discolpare un sistema politico e giuridico incompetente dalla responsabilità di quanto accaduto. Ci ha provato, per esempio, il democratico Roy Cooper, guarda caso ex governatore della Carolina del Nord, che ha asserito: «L’omicidio di Iryna Zarutska è una tragedia orribile e dobbiamo fare tutto il possibile per garantire la sicurezza delle persone. Solo un cinico insider di Washington potrebbe pensare che sia accettabile usare la sua morte per scopi politici, soprattutto uno che ha sostenuto il taglio dei fondi alle forze dell’ordine in North Carolina». Ma il vicepresidente americano J. D. Vance non ci ha messo né uno né due a rispedire le accuse al mittente: «Le forze dell’ordine hanno arrestato questo delinquente 14 volte. Non sono state le forze dell’ordine a fallire. Sono stati politici deboli come te che hanno continuato a farlo uscire di prigione».
Altre gravi considerazioni derivano poi da ulteriori esponenti della compagine governativa. Il segretario ai Trasporti Sean Duffy ha accusato i funzionari cittadini di Charlotte: «Questo mostro aveva un curriculum criminale lungo un rotolo, incluso il carcere per rapina con arma pericolosa, effrazione e furto. Non punendolo adeguatamente, Charlotte ha tradito Iryna e i cittadini della Carolina del Nord». Elon Musk ha scritto diversi post su X criticando i giudici e i procuratori che permettono ai «criminali di girare liberi». Del medesimo avviso anche il procuratore generale degli Stati Uniti, Pamela Bondi. «Iryna era una giovane donna che viveva il sogno americano: il suo orribile omicidio è il risultato diretto di politiche fallimentari di tolleranza nei confronti della criminalità, che mettono i criminali al primo posto rispetto agli innocenti», ha dichiarato. «Chiederemo la pena massima per questa imperdonabile violenza: non vedrà mai più la luce del giorno da uomo libero».
- L’incontro tra i due leader in occasione del Giorno della vittoria è servito per lanciare un messaggio chiaro: l’unilateralismo statunitense, per loro, è concluso. Firmati oltre 20 memorandum di cooperazione bilaterale.
- Ucraina e Russia non rispettano lo stop annunciato dal Cremlino, che alza la posta dei territori da annettere per parlare di pace. «No» dell’Ungheria ad altri aiuti a Kiev.
Lo speciale contiene due articoli
Il grande giorno, per la Russia, è arrivato: oggi si celebra l’ottantesimo anniversario della vittoria della seconda guerra mondiale, divenuta la più importante festa laica sotto Vladimir Putin, con la storica parata militare nella Piazza rossa. Un momento di orgoglio nazionale, un’esibizione di potenza militare e politica, un’occasione per approfondire le alleanze strategiche: il 9 maggio, nella Russia di Putin, è tutto questo e anche di più. È la memoria storica di una guerra costata il sacrificio di circa 27 milioni di uomini (tra soldati e civili), segno che i russi, quando - a ragione o a torto - sentono minacciata la loro esistenza, mostrano una forza sorprendente. Una retorica a cui l’Occidente non è più abituato ma che, al di là della propaganda, permea la cultura russa più di quanto siamo disposti a credere.
La cifra tonda, 80 anni, merita particolare riconoscimento, tanto da aver indotto lo zar ad annunciare una tregua, scattata (in linea teorica) alla mezzanotte di giovedì e prevista fino alla mezzanotte dell’11 maggio. Anche, probabilmente, per scongiurare rischi durante la visita dei molti leader internazionali accorsi a Mosca per le celebrazioni, a partire presidente cinese Xi Jinping, stretto alleato del Cremlino, che ieri ha avuto sette ore di colloqui col suo omologo russo. Oltre a lui, alla parata di oggi ci sarà anche il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, e il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko. Assente, per via delle tensioni con il Pakistan, il primo ministri indiano, Narendra Modi. Tra gli europei, presenti (tra le critiche) soltanto lo slovacco Robert Fico e il presidente della Serbia (ancora non appartenente all’Ue), Aleksandar Vučić.
Tra tutti, l’ospite d’onore è senz’altro Xi Jinping che ieri, al Cremlino, ha ricevuto un’accoglienza particolarmente pomposa. Putin e l’omologo cinese si sono salutati chiamandosi reciprocamente «caro amico», mentre il primo ha affermato che la cooperazione tra Pechino e Mosca ha raggiunto «il più alto livello nella storia». Xi, invece, ha espresso apprezzamenti per le relazioni sviluppate tra i due Paesi, definendole «più improntate alla fiducia, più stabili, più resilienti». «Di fronte alla tendenza internazionale all’unilateralismo e al bullismo egemonico», ha affermato il capo del Dragone, «la Cina lavorerà con la Russia per assumersi le responsabilità specifiche delle grandi potenze mondiali». I due Paesi continuano a rafforzare i loro legami «a beneficio dei rispettivi popoli», ha spiegato Putin, ma essi non sono «contro nessuno». «Le nostre relazioni», ha aggiunto, «sono alla pari e reciprocamente vantaggiose e non dipendono dall’attuale situazione. La decisione di costruire relazioni di buon vicinato, rafforzare l’amicizia e sviluppare la cooperazione è una scelta che la Russia e la Cina hanno fatto sulla base di un’interazione strategica».
La posizione condivisa dai due leader è piuttosto chiara: l’unilateralismo degli Stati Uniti è finito. Xi ha parlato espressamente della «necessità dei tempi di salvaguardare l’equità e la giustizia internazionale e di promuovere la riforma del sistema di governance globale», esortando «i due Paesi», riporta l’agenzia Xinhua, «a promuovere insieme la corretta prospettiva storica sulla Seconda guerra mondiale e un mondo multipolare equo e ordinato».
La giornata si è rivelata anche piuttosto produttiva, visto che le due parti hanno siglato oltre 20 documenti di cooperazione bilaterale e una lunga dichiarazione congiunta. Il tutto mentre il Parlamento ucraino ha ratificato l’accordo sui minerali con gli Stati Uniti.
Tra i passaggi riportati dall’agenzia russa Tass, si legge che Russia e Cina intendono «incrementare la cooperazione e rafforzare il coordinamento per contrastare risolutamente la politica di Washington di doppio contenimento» di Mosca e Pechino. «Le parti», continua, «si oppongono con decisione all’imposizione di approcci ostili verso la Russia e la Cina su Paesi terzi in varie regioni del mondo». Inoltre, entrambe si sono dette convinte che «per una soluzione duratura e sostenibile della crisi ucraina sia necessario eliminarne le cause profonde, nel rispetto dei principi della Carta delle nazioni Unite nella loro interezza, totalità e interrelazione, nonché del principio di indivisibilità della sicurezza, tenendo conto dei legittimi interessi e delle preoccupazioni di tutti gli Stati in materia di sicurezza». «Guidate da ciò», prosegue, «le parti sostengono tutti gli sforzi che contribuiscono al raggiungimento della pace».
Il documento pubblicato sul sito del Cremlino rimarrà probabilmente un punto di riferimento storico, con Mosca e Pechino che chiedono il riconoscimento del loro ruolo internazionale. D’altra parte, il passato insegna che spesso i conflitti nascono proprio quando le potenze non si sentono adeguatamente rappresentate, rispetto al loro reale peso, negli equilibri internazionali. «Le due parti», si legge nel testo, «sono convinte che i destini dei popoli di tutti i Paesi siano interconnessi; gli Stati e le loro associazioni non dovrebbero cercare di garantire la propria sicurezza a scapito e a detrimento della sicurezza di altri Stati». Il messaggio riguarda, in particolare, le potenze nucleari, che «dovrebbero abbandonare la mentalità da Guerra fredda e i giochi a somma zero, risolvere le contraddizioni attraverso il dialogo su un piano di parità e consultazioni rispettose, costruire fiducia per evitare pericolosi errori di calcolo e astenersi da azioni che generano rischi strategici».
Tregua mai iniziata: 1.200 incursioni
La tregua unilaterale annunciata da Mosca in vista delle celebrazioni del 9 maggio non ha fermato gli scontri sul campo tra Russia e Ucraina. Le forze di entrambe le parti si accusano di violazioni sistematiche del cessate il fuoco, mentre sul piano diplomatico si susseguono aspre dichiarazioni.
Il presidente russo, Vladimir Putin, aveva proclamato un cessate il fuoco dall’8 al 10 maggio in coincidenza con le celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della «Giornata della vittoria» sulla Germani nazista. Il governo ucraino ha, però, respinto l’annuncio bollandolo come una «messa in scena», ribadendo di non riconoscere tregue unilaterali e proponendo, semmai, una sospensione delle ostilità di almeno 30 giorni. «Ho parlato con il comando militare ucraino, che mi ha fornito informazioni sulla situazione al fronte. Come previsto, la “tregua di parata” di Putin si è rivelata una farsa. Secondo i nostri dati militari, nonostante le dichiarazioni del Cremlino, le truppe russe continuano ad attaccare lungo tutta la linea del fronte», ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino, Andrij Sybiha, mentre il governo di Kiev riferiva che, nonostante l’annuncio russo, le sue truppe avevano subito 734 violazioni del cessate il fuoco e 63 attacchi nelle prime 12 ore della giornata.
La Russia ha reagito con un’accusa speculare: secondo il ministero della Difesa, sarebbero stati i militari ucraini a condurre almeno 488 operazioni offensive. In un crescendo di recriminazioni, Mosca ha definito gli attacchi dell’Ucraina su obiettivi civili come «atti terroristici», con l’ambasciatore con incarichi speciali presso il ministero degli Esteri russo, Rodion Miroshnik, che ha denunciato un raid con droni sul villaggio di Alyoshki, nel Sud della Russia, dove si sarebbero registrati morti e feriti tra i civili.
L’agenzia stampa russa Tass ha rilanciato la versione ufficiale del Cremlino: l’Ucraina sarebbe la sola responsabile della mancata tregua, con il portavoce, Dmitry Peskov, che ha accusato Kiev di «mettere a rischio la sicurezza» anche dei leader stranieri attesi a Mosca per le celebrazioni, visto che nella giornata di ieri, anche il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Mosca per festeggiare con il suo omologo la «Giornata della vittoria» . Duro anche il portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, secondo cui «l’unico ostacolo a una pace duratura è l’intransigenza di Volodymyr Zelensky».
La reazione di Kiev è stata altrettanto decisa. Lo stesso presidente Zelensky, che nei giorni scorsi aveva chiesto l’invio urgente di ulteriori sistemi antiaerei, ha sottolineato come le truppe russe continuino a bombardare infrastrutture e centri abitati nonostante la proclamata tregua. Secondo fonti citate da Reuters, l’Ucraina avrebbe avanzato la richiesta formale per almeno dieci nuovi sistemi, mentre alcuni membri della Nato, tra cui Stati Uniti e Polonia, starebbero valutando la possibilità di fornirli in vista del vertice dell’Alleanza atlantica di giugno.
Sul piano politico europeo, si registra un nuovo fronte di frizione all’interno dell’Unione. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha dichiarato da Bruxelles che la guerra in Ucraina è diventata «un pozzo senza fondo», annunciando il veto di Budapest a ogni ulteriore pacchetto di aiuti finanziari o militari a Kiev. Una posizione che isola nuovamente l’Ungheria nel consesso europeo, proprio mentre il Parlamento di Strasburgo ha approvato il prolungamento delle esenzioni doganali per i prodotti ucraini fino al 2028. Secondo fonti diplomatiche citate da Bloomberg, il Cremlino starebbe, inoltre, ponendo nuove condizioni per aprire un dialogo di pace, ossia il controllo totale delle quattro regioni ucraine parzialmente occupate: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Richiesta giudicata «inaccettabile» da Kiev e che allontana la possibilità di mediazioni efficaci nel breve termine.




