True
2025-05-09
Da Mosca l’avvertimento di Xi e Putin: «Usa ostili, uniti li contrasteremo»
Xi Jinping e Vladimir Putin (Ansa)
Il grande giorno, per la Russia, è arrivato: oggi si celebra l’ottantesimo anniversario della vittoria della seconda guerra mondiale, divenuta la più importante festa laica sotto Vladimir Putin, con la storica parata militare nella Piazza rossa. Un momento di orgoglio nazionale, un’esibizione di potenza militare e politica, un’occasione per approfondire le alleanze strategiche: il 9 maggio, nella Russia di Putin, è tutto questo e anche di più. È la memoria storica di una guerra costata il sacrificio di circa 27 milioni di uomini (tra soldati e civili), segno che i russi, quando - a ragione o a torto - sentono minacciata la loro esistenza, mostrano una forza sorprendente. Una retorica a cui l’Occidente non è più abituato ma che, al di là della propaganda, permea la cultura russa più di quanto siamo disposti a credere.
La cifra tonda, 80 anni, merita particolare riconoscimento, tanto da aver indotto lo zar ad annunciare una tregua, scattata (in linea teorica) alla mezzanotte di giovedì e prevista fino alla mezzanotte dell’11 maggio. Anche, probabilmente, per scongiurare rischi durante la visita dei molti leader internazionali accorsi a Mosca per le celebrazioni, a partire presidente cinese Xi Jinping, stretto alleato del Cremlino, che ieri ha avuto sette ore di colloqui col suo omologo russo. Oltre a lui, alla parata di oggi ci sarà anche il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, e il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko. Assente, per via delle tensioni con il Pakistan, il primo ministri indiano, Narendra Modi. Tra gli europei, presenti (tra le critiche) soltanto lo slovacco Robert Fico e il presidente della Serbia (ancora non appartenente all’Ue), Aleksandar Vučić.
Tra tutti, l’ospite d’onore è senz’altro Xi Jinping che ieri, al Cremlino, ha ricevuto un’accoglienza particolarmente pomposa. Putin e l’omologo cinese si sono salutati chiamandosi reciprocamente «caro amico», mentre il primo ha affermato che la cooperazione tra Pechino e Mosca ha raggiunto «il più alto livello nella storia». Xi, invece, ha espresso apprezzamenti per le relazioni sviluppate tra i due Paesi, definendole «più improntate alla fiducia, più stabili, più resilienti». «Di fronte alla tendenza internazionale all’unilateralismo e al bullismo egemonico», ha affermato il capo del Dragone, «la Cina lavorerà con la Russia per assumersi le responsabilità specifiche delle grandi potenze mondiali». I due Paesi continuano a rafforzare i loro legami «a beneficio dei rispettivi popoli», ha spiegato Putin, ma essi non sono «contro nessuno». «Le nostre relazioni», ha aggiunto, «sono alla pari e reciprocamente vantaggiose e non dipendono dall’attuale situazione. La decisione di costruire relazioni di buon vicinato, rafforzare l’amicizia e sviluppare la cooperazione è una scelta che la Russia e la Cina hanno fatto sulla base di un’interazione strategica».
La posizione condivisa dai due leader è piuttosto chiara: l’unilateralismo degli Stati Uniti è finito. Xi ha parlato espressamente della «necessità dei tempi di salvaguardare l’equità e la giustizia internazionale e di promuovere la riforma del sistema di governance globale», esortando «i due Paesi», riporta l’agenzia Xinhua, «a promuovere insieme la corretta prospettiva storica sulla Seconda guerra mondiale e un mondo multipolare equo e ordinato».
La giornata si è rivelata anche piuttosto produttiva, visto che le due parti hanno siglato oltre 20 documenti di cooperazione bilaterale e una lunga dichiarazione congiunta. Il tutto mentre il Parlamento ucraino ha ratificato l’accordo sui minerali con gli Stati Uniti.
Tra i passaggi riportati dall’agenzia russa Tass, si legge che Russia e Cina intendono «incrementare la cooperazione e rafforzare il coordinamento per contrastare risolutamente la politica di Washington di doppio contenimento» di Mosca e Pechino. «Le parti», continua, «si oppongono con decisione all’imposizione di approcci ostili verso la Russia e la Cina su Paesi terzi in varie regioni del mondo». Inoltre, entrambe si sono dette convinte che «per una soluzione duratura e sostenibile della crisi ucraina sia necessario eliminarne le cause profonde, nel rispetto dei principi della Carta delle nazioni Unite nella loro interezza, totalità e interrelazione, nonché del principio di indivisibilità della sicurezza, tenendo conto dei legittimi interessi e delle preoccupazioni di tutti gli Stati in materia di sicurezza». «Guidate da ciò», prosegue, «le parti sostengono tutti gli sforzi che contribuiscono al raggiungimento della pace».
Il documento pubblicato sul sito del Cremlino rimarrà probabilmente un punto di riferimento storico, con Mosca e Pechino che chiedono il riconoscimento del loro ruolo internazionale. D’altra parte, il passato insegna che spesso i conflitti nascono proprio quando le potenze non si sentono adeguatamente rappresentate, rispetto al loro reale peso, negli equilibri internazionali. «Le due parti», si legge nel testo, «sono convinte che i destini dei popoli di tutti i Paesi siano interconnessi; gli Stati e le loro associazioni non dovrebbero cercare di garantire la propria sicurezza a scapito e a detrimento della sicurezza di altri Stati». Il messaggio riguarda, in particolare, le potenze nucleari, che «dovrebbero abbandonare la mentalità da Guerra fredda e i giochi a somma zero, risolvere le contraddizioni attraverso il dialogo su un piano di parità e consultazioni rispettose, costruire fiducia per evitare pericolosi errori di calcolo e astenersi da azioni che generano rischi strategici».
Tregua mai iniziata: 1.200 incursioni
La tregua unilaterale annunciata da Mosca in vista delle celebrazioni del 9 maggio non ha fermato gli scontri sul campo tra Russia e Ucraina. Le forze di entrambe le parti si accusano di violazioni sistematiche del cessate il fuoco, mentre sul piano diplomatico si susseguono aspre dichiarazioni.
Il presidente russo, Vladimir Putin, aveva proclamato un cessate il fuoco dall’8 al 10 maggio in coincidenza con le celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della «Giornata della vittoria» sulla Germani nazista. Il governo ucraino ha, però, respinto l’annuncio bollandolo come una «messa in scena», ribadendo di non riconoscere tregue unilaterali e proponendo, semmai, una sospensione delle ostilità di almeno 30 giorni. «Ho parlato con il comando militare ucraino, che mi ha fornito informazioni sulla situazione al fronte. Come previsto, la “tregua di parata” di Putin si è rivelata una farsa. Secondo i nostri dati militari, nonostante le dichiarazioni del Cremlino, le truppe russe continuano ad attaccare lungo tutta la linea del fronte», ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino, Andrij Sybiha, mentre il governo di Kiev riferiva che, nonostante l’annuncio russo, le sue truppe avevano subito 734 violazioni del cessate il fuoco e 63 attacchi nelle prime 12 ore della giornata.
La Russia ha reagito con un’accusa speculare: secondo il ministero della Difesa, sarebbero stati i militari ucraini a condurre almeno 488 operazioni offensive. In un crescendo di recriminazioni, Mosca ha definito gli attacchi dell’Ucraina su obiettivi civili come «atti terroristici», con l’ambasciatore con incarichi speciali presso il ministero degli Esteri russo, Rodion Miroshnik, che ha denunciato un raid con droni sul villaggio di Alyoshki, nel Sud della Russia, dove si sarebbero registrati morti e feriti tra i civili.
L’agenzia stampa russa Tass ha rilanciato la versione ufficiale del Cremlino: l’Ucraina sarebbe la sola responsabile della mancata tregua, con il portavoce, Dmitry Peskov, che ha accusato Kiev di «mettere a rischio la sicurezza» anche dei leader stranieri attesi a Mosca per le celebrazioni, visto che nella giornata di ieri, anche il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Mosca per festeggiare con il suo omologo la «Giornata della vittoria» . Duro anche il portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, secondo cui «l’unico ostacolo a una pace duratura è l’intransigenza di Volodymyr Zelensky».
La reazione di Kiev è stata altrettanto decisa. Lo stesso presidente Zelensky, che nei giorni scorsi aveva chiesto l’invio urgente di ulteriori sistemi antiaerei, ha sottolineato come le truppe russe continuino a bombardare infrastrutture e centri abitati nonostante la proclamata tregua. Secondo fonti citate da Reuters, l’Ucraina avrebbe avanzato la richiesta formale per almeno dieci nuovi sistemi, mentre alcuni membri della Nato, tra cui Stati Uniti e Polonia, starebbero valutando la possibilità di fornirli in vista del vertice dell’Alleanza atlantica di giugno.
Sul piano politico europeo, si registra un nuovo fronte di frizione all’interno dell’Unione. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha dichiarato da Bruxelles che la guerra in Ucraina è diventata «un pozzo senza fondo», annunciando il veto di Budapest a ogni ulteriore pacchetto di aiuti finanziari o militari a Kiev. Una posizione che isola nuovamente l’Ungheria nel consesso europeo, proprio mentre il Parlamento di Strasburgo ha approvato il prolungamento delle esenzioni doganali per i prodotti ucraini fino al 2028. Secondo fonti diplomatiche citate da Bloomberg, il Cremlino starebbe, inoltre, ponendo nuove condizioni per aprire un dialogo di pace, ossia il controllo totale delle quattro regioni ucraine parzialmente occupate: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Richiesta giudicata «inaccettabile» da Kiev e che allontana la possibilità di mediazioni efficaci nel breve termine.
Continua a leggereRiduci
L’incontro tra i due leader in occasione del Giorno della vittoria è servito per lanciare un messaggio chiaro: l’unilateralismo statunitense, per loro, è concluso. Firmati oltre 20 memorandum di cooperazione bilaterale.Ucraina e Russia non rispettano lo stop annunciato dal Cremlino, che alza la posta dei territori da annettere per parlare di pace. «No» dell’Ungheria ad altri aiuti a Kiev.Lo speciale contiene due articoli Il grande giorno, per la Russia, è arrivato: oggi si celebra l’ottantesimo anniversario della vittoria della seconda guerra mondiale, divenuta la più importante festa laica sotto Vladimir Putin, con la storica parata militare nella Piazza rossa. Un momento di orgoglio nazionale, un’esibizione di potenza militare e politica, un’occasione per approfondire le alleanze strategiche: il 9 maggio, nella Russia di Putin, è tutto questo e anche di più. È la memoria storica di una guerra costata il sacrificio di circa 27 milioni di uomini (tra soldati e civili), segno che i russi, quando - a ragione o a torto - sentono minacciata la loro esistenza, mostrano una forza sorprendente. Una retorica a cui l’Occidente non è più abituato ma che, al di là della propaganda, permea la cultura russa più di quanto siamo disposti a credere.La cifra tonda, 80 anni, merita particolare riconoscimento, tanto da aver indotto lo zar ad annunciare una tregua, scattata (in linea teorica) alla mezzanotte di giovedì e prevista fino alla mezzanotte dell’11 maggio. Anche, probabilmente, per scongiurare rischi durante la visita dei molti leader internazionali accorsi a Mosca per le celebrazioni, a partire presidente cinese Xi Jinping, stretto alleato del Cremlino, che ieri ha avuto sette ore di colloqui col suo omologo russo. Oltre a lui, alla parata di oggi ci sarà anche il presidente del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, e il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko. Assente, per via delle tensioni con il Pakistan, il primo ministri indiano, Narendra Modi. Tra gli europei, presenti (tra le critiche) soltanto lo slovacco Robert Fico e il presidente della Serbia (ancora non appartenente all’Ue), Aleksandar Vučić.Tra tutti, l’ospite d’onore è senz’altro Xi Jinping che ieri, al Cremlino, ha ricevuto un’accoglienza particolarmente pomposa. Putin e l’omologo cinese si sono salutati chiamandosi reciprocamente «caro amico», mentre il primo ha affermato che la cooperazione tra Pechino e Mosca ha raggiunto «il più alto livello nella storia». Xi, invece, ha espresso apprezzamenti per le relazioni sviluppate tra i due Paesi, definendole «più improntate alla fiducia, più stabili, più resilienti». «Di fronte alla tendenza internazionale all’unilateralismo e al bullismo egemonico», ha affermato il capo del Dragone, «la Cina lavorerà con la Russia per assumersi le responsabilità specifiche delle grandi potenze mondiali». I due Paesi continuano a rafforzare i loro legami «a beneficio dei rispettivi popoli», ha spiegato Putin, ma essi non sono «contro nessuno». «Le nostre relazioni», ha aggiunto, «sono alla pari e reciprocamente vantaggiose e non dipendono dall’attuale situazione. La decisione di costruire relazioni di buon vicinato, rafforzare l’amicizia e sviluppare la cooperazione è una scelta che la Russia e la Cina hanno fatto sulla base di un’interazione strategica».La posizione condivisa dai due leader è piuttosto chiara: l’unilateralismo degli Stati Uniti è finito. Xi ha parlato espressamente della «necessità dei tempi di salvaguardare l’equità e la giustizia internazionale e di promuovere la riforma del sistema di governance globale», esortando «i due Paesi», riporta l’agenzia Xinhua, «a promuovere insieme la corretta prospettiva storica sulla Seconda guerra mondiale e un mondo multipolare equo e ordinato».La giornata si è rivelata anche piuttosto produttiva, visto che le due parti hanno siglato oltre 20 documenti di cooperazione bilaterale e una lunga dichiarazione congiunta. Il tutto mentre il Parlamento ucraino ha ratificato l’accordo sui minerali con gli Stati Uniti.Tra i passaggi riportati dall’agenzia russa Tass, si legge che Russia e Cina intendono «incrementare la cooperazione e rafforzare il coordinamento per contrastare risolutamente la politica di Washington di doppio contenimento» di Mosca e Pechino. «Le parti», continua, «si oppongono con decisione all’imposizione di approcci ostili verso la Russia e la Cina su Paesi terzi in varie regioni del mondo». Inoltre, entrambe si sono dette convinte che «per una soluzione duratura e sostenibile della crisi ucraina sia necessario eliminarne le cause profonde, nel rispetto dei principi della Carta delle nazioni Unite nella loro interezza, totalità e interrelazione, nonché del principio di indivisibilità della sicurezza, tenendo conto dei legittimi interessi e delle preoccupazioni di tutti gli Stati in materia di sicurezza». «Guidate da ciò», prosegue, «le parti sostengono tutti gli sforzi che contribuiscono al raggiungimento della pace».Il documento pubblicato sul sito del Cremlino rimarrà probabilmente un punto di riferimento storico, con Mosca e Pechino che chiedono il riconoscimento del loro ruolo internazionale. D’altra parte, il passato insegna che spesso i conflitti nascono proprio quando le potenze non si sentono adeguatamente rappresentate, rispetto al loro reale peso, negli equilibri internazionali. «Le due parti», si legge nel testo, «sono convinte che i destini dei popoli di tutti i Paesi siano interconnessi; gli Stati e le loro associazioni non dovrebbero cercare di garantire la propria sicurezza a scapito e a detrimento della sicurezza di altri Stati». Il messaggio riguarda, in particolare, le potenze nucleari, che «dovrebbero abbandonare la mentalità da Guerra fredda e i giochi a somma zero, risolvere le contraddizioni attraverso il dialogo su un piano di parità e consultazioni rispettose, costruire fiducia per evitare pericolosi errori di calcolo e astenersi da azioni che generano rischi strategici».<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/giornata-della-vittoria-xi-putin-2671920917.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="tregua-mai-iniziata-1-200-incursioni" data-post-id="2671920917" data-published-at="1746744115" data-use-pagination="False"> Tregua mai iniziata: 1.200 incursioni La tregua unilaterale annunciata da Mosca in vista delle celebrazioni del 9 maggio non ha fermato gli scontri sul campo tra Russia e Ucraina. Le forze di entrambe le parti si accusano di violazioni sistematiche del cessate il fuoco, mentre sul piano diplomatico si susseguono aspre dichiarazioni. Il presidente russo, Vladimir Putin, aveva proclamato un cessate il fuoco dall’8 al 10 maggio in coincidenza con le celebrazioni per l’ottantesimo anniversario della «Giornata della vittoria» sulla Germani nazista. Il governo ucraino ha, però, respinto l’annuncio bollandolo come una «messa in scena», ribadendo di non riconoscere tregue unilaterali e proponendo, semmai, una sospensione delle ostilità di almeno 30 giorni. «Ho parlato con il comando militare ucraino, che mi ha fornito informazioni sulla situazione al fronte. Come previsto, la “tregua di parata” di Putin si è rivelata una farsa. Secondo i nostri dati militari, nonostante le dichiarazioni del Cremlino, le truppe russe continuano ad attaccare lungo tutta la linea del fronte», ha dichiarato il ministro degli Esteri ucraino, Andrij Sybiha, mentre il governo di Kiev riferiva che, nonostante l’annuncio russo, le sue truppe avevano subito 734 violazioni del cessate il fuoco e 63 attacchi nelle prime 12 ore della giornata. La Russia ha reagito con un’accusa speculare: secondo il ministero della Difesa, sarebbero stati i militari ucraini a condurre almeno 488 operazioni offensive. In un crescendo di recriminazioni, Mosca ha definito gli attacchi dell’Ucraina su obiettivi civili come «atti terroristici», con l’ambasciatore con incarichi speciali presso il ministero degli Esteri russo, Rodion Miroshnik, che ha denunciato un raid con droni sul villaggio di Alyoshki, nel Sud della Russia, dove si sarebbero registrati morti e feriti tra i civili. L’agenzia stampa russa Tass ha rilanciato la versione ufficiale del Cremlino: l’Ucraina sarebbe la sola responsabile della mancata tregua, con il portavoce, Dmitry Peskov, che ha accusato Kiev di «mettere a rischio la sicurezza» anche dei leader stranieri attesi a Mosca per le celebrazioni, visto che nella giornata di ieri, anche il presidente cinese Xi Jinping si è recato a Mosca per festeggiare con il suo omologo la «Giornata della vittoria» . Duro anche il portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, secondo cui «l’unico ostacolo a una pace duratura è l’intransigenza di Volodymyr Zelensky». La reazione di Kiev è stata altrettanto decisa. Lo stesso presidente Zelensky, che nei giorni scorsi aveva chiesto l’invio urgente di ulteriori sistemi antiaerei, ha sottolineato come le truppe russe continuino a bombardare infrastrutture e centri abitati nonostante la proclamata tregua. Secondo fonti citate da Reuters, l’Ucraina avrebbe avanzato la richiesta formale per almeno dieci nuovi sistemi, mentre alcuni membri della Nato, tra cui Stati Uniti e Polonia, starebbero valutando la possibilità di fornirli in vista del vertice dell’Alleanza atlantica di giugno. Sul piano politico europeo, si registra un nuovo fronte di frizione all’interno dell’Unione. Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha dichiarato da Bruxelles che la guerra in Ucraina è diventata «un pozzo senza fondo», annunciando il veto di Budapest a ogni ulteriore pacchetto di aiuti finanziari o militari a Kiev. Una posizione che isola nuovamente l’Ungheria nel consesso europeo, proprio mentre il Parlamento di Strasburgo ha approvato il prolungamento delle esenzioni doganali per i prodotti ucraini fino al 2028. Secondo fonti diplomatiche citate da Bloomberg, il Cremlino starebbe, inoltre, ponendo nuove condizioni per aprire un dialogo di pace, ossia il controllo totale delle quattro regioni ucraine parzialmente occupate: Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. Richiesta giudicata «inaccettabile» da Kiev e che allontana la possibilità di mediazioni efficaci nel breve termine.
Gabriele D'Annunzio (Ansa)
Il patrimonio mondiale dell’umanità rappresentato dalla cucina italiana sarà pure «immateriale», come da definizione Unesco, ma è fatto di carne, ossa, talento e creatività. È il risultato delle centinaia di migliaia di persone che, nel corso dei secoli e dei millenni, hanno affinato tecniche, scoperto ingredienti, assemblato gusti, allevato animali con amore e coltivato la terra con altrettanta dedizione. Insomma, dietro la cucina italiana ci sono... gli italiani.
Ed è a tutti questi peones e protagonisti della nostra storia che il riconoscimento va intestato. Ma anche a chi assapora le pietanze in un ristorante, in un bistrot o in un agriturismo. Alla fine, se ci si pensa, la cucina italiana siamo tutti noi: sono i grandi chef come le mamme o le nonne che si danno da fare tra le padelle della cucina. Sono i clienti dei ristoranti, gli amanti dei formaggi come dei salumi. Sono i giornalisti che fanno divulgazione, sono i fotografi che immortalano i piatti, sono gli scrittori che dedicano pagine e pagine delle loro opere ai manicaretti preferiti dal protagonista di questo o quel romanzo. Insomma, la cucina è cultura, identità, passato e anche futuro.
Giancarlo Saran, gastropenna di questo giornale, ha dato alle stampe Peccatori di gola 2 (Bolis edizioni, 18 euro, seguito del fortunato libro uscito nel 2024 vincitore del Premio selezione Bancarella cucina), volume contenente 13 ritratti di personaggi di spicco del mondo dell’italica buona tavola («Un viaggio curioso e goloso tra tavola e dintorni, con illustri personaggi del Novecento compresi alcuni insospettabili», sentenzia l’autore sulla quarta di copertina). Ci sono il «fotografo» Bob Noto e l’attore Ugo Tognazzi, l’imprenditore Giancarlo Ligabue e gli scrittori Gabriele D’Annunzio, Leonardo Sciascia e Andrea Camilleri. E poi ancora Lella Fabrizi (la sora Lella), Luciano Pavarotti, Pietro Marzotto, Gianni Frasi, Alfredo Beltrame, Giuseppe Maffioli, Pellegrino Artusi.
Un giro d’Italia culinario, quello di Saran, che testimonia come il riconoscimento Unesco potrebbe dare ulteriore valore al nostro made in Italy, con risvolti di vario tipo: rispetto dell’ambiente e delle nostre tradizioni, volano per l’economia e per il turismo, salvaguardia delle radici dal pericolo di una appiattente omologazione sociale e culturale. Sfogliando Peccatori 2, si può possono scovare, praticamente a ogni pagina, delle chicche. Tipo, la passione di D’Annunzio per le uova e la frittata. Scrive Saran: «D’Annunzio aveva un’esperienza indelebile legata alle frittate, che ebbe occasione di esercitare in diretta nelle giornate di vacanza a Francavilla con i suoi giovani compagni di ventura in cui, a rotazione, erano chiamati “l’uno a sfamare tutti gli altri”. Lasciamogli la cronaca in diretta. Chi meglio di lui. “In un pomeriggio di luglio ci attardavamo nella delizia del bagno quando mi fu rammentato, con le voci della fame, toccare a me le cura della cucina”. La affronta come si deve. “Non mancai di avvolgermi in una veste di lino rapita a Ebe”, la dea della giovinezza, “e di correre verso la vasta dimora costruita di tufo e adornata di maioliche paesane”. Non c’è storia: “Ruppi trentatré uova e, dopo averle sbattute, le agguagliai (mischiai) nella padella dal manico di ferro lungo come quello di una chitarra”. La notte è illuminata dal chiaro di luna che si riflette sulle onde, silenziose in attesa, e fu così che “adunai la sapienza e il misurato vigore... e diedi il colpo attentissimo a ricevere la frittata riversa”. Ma nulla da fare, questa, volando nel cielo non ricadde a terra, ovvero sulla padella. E qui avviene il miracolo laico. “Nel volgere gli occhi al cielo scorsi nel bagliore del novilunio la tunica e l’ala di un angelo”. Il finale conseguente. “L’angelo, nel passaggio, aveva colta la frittata in aria, l’aveva rapita, la sosteneva con le dita” con la missione imperativa di recarla ai Beati, “offerta di perfezione terrestre...”, di cui lui era stato (seppur involontario) protagonista. “Io mi vanto maestro insuperabile nell’arte della frittata per riconoscimento celestiale”.
La buona e sana cucina, dunque, ha come traino produttori e ristoratori «ma ancor più valore aggiunto deriva da degni ambasciatori e, con questo, i Peccatori di gola credo meritino piena assoluzione», conclude l’autore.
Continua a leggereRiduci
iStock
Dal primo luglio 2026, in tutta l’Unione europea entrerà in vigore un contributo fisso di tre euro per ciascun prodotto acquistato su internet e spedito da Paesi extra-Ue, quando il valore della spedizione è inferiore a 150 euro. L’orientamento politico era stato definito già il mese scorso; la riunione di ieri del Consiglio Ecofin (12 dicembre) ne ha reso operativa l’applicazione, stabilendone i criteri.
Il prelievo di 3 euro si applicherà alle merci in ingresso nell’Unione europea per le quali i venditori extra-Ue risultano registrati allo sportello unico per le importazioni (Ioss) ai fini Iva. Secondo fonti di Bruxelles, questo perimetro copre «il 93% di tutti i flussi di e-commerce verso l’Ue».
In realtà, la misura non viene presentata direttamente come un’iniziativa mirata contro la Cina, anche se è dalla Repubblica Popolare che proviene la quota maggiore di pacchi. Una delle preoccupazioni tra i ministri è che parte della merce venga immessa nel mercato unico a prezzi artificialmente bassi, anche attraverso pratiche di sottovalutazione, per aggirare le tariffe che si applicano invece alle spedizioni oltre i 150 euro. La Commissione europea stima che nel 2024 il 91% delle spedizioni e-commerce sotto i 150 euro sia arrivato dalla Cina; inoltre, valutazioni Ue indicano che fino al 65% dei piccoli pacchi in ingresso potrebbe essere dichiarato a un valore inferiore al reale per evitare i dazi doganali.
«La decisione sui dazi doganali per i piccoli pacchi in arrivo nell’Ue è importante per garantire una concorrenza leale ai nostri confini nell’era odierna dell’e-commerce», ha detto il commissario per il Commercio, Maroš Šefčovič. Secondo il politico slovacco, «con la rapida espansione dell’e-commerce, il mondo sta cambiando rapidamente e abbiamo bisogno degli strumenti giusti per stare al passo».
La decisione finale da parte di Bruxelles arriva dopo un iter normativo lungo cinque anni. La Commissione europea aveva messo sul tavolo, nel maggio 2023, la cancellazione dell’esenzione dai dazi doganali per i pacchi con valore inferiore a 150 euro, inserendola nel pacchetto di riforma doganale. Nella versione originaria, l’entrata in vigore era prevista non prima della metà del 2028. Successivamente, il Consiglio ha formalizzato l’abolizione dell’esenzione il 13 novembre 2025, chiedendo però di anticipare l’applicazione già al 2026.
C’è poi un secondo balzello messo a punto dall’esecutivo Meloni. Si tratta di un emendamento che prevede l’introduzione di un contributo fisso di due euro per ogni pacco spedito con valore dichiarato fino a 150 euro.
La misura, però, non sarebbe limitata ai soli invii provenienti da Paesi extra-Ue. Rispetto alle ipotesi circolate in precedenza, l’impostazione è stata ampliata: se approvata, la tassa finirebbe per applicarsi a tutte le spedizioni di piccoli pacchi, indipendentemente dall’origine, quindi anche a quelle spedite dall’Italia. In origine, l’idea sembrava mirata soprattutto a intercettare le micro-spedizioni generate da piattaforme come Shein o Temu. Il punto, però, è che colpire esclusivamente i pacchi extra-europei avrebbe reso la misura assimilabile a un dazio, materia che rientra nella competenza dell’Unione europea e non dei singoli Stati membri. Per evitare questo profilo di incompatibilità, l’emendamento alla manovra 2026 ha quindi «generalizzato» il prelievo, estendendolo all’intero perimetro delle spedizioni. L’effetto pratico è evidente: la tassa non impatterebbe solo sulle piattaforme asiatiche, ma anche sugli acquisti effettuati su Amazon, eBay e, in generale, su qualsiasi negozio online che spedisca pacchi entro quella soglia di valore dichiarato.
Continua a leggereRiduci
Ansa
Insomma: il vento è cambiato. E non spinge più la solita, ingombrante, vela francese che negli ultimi anni si era abituata a intendere l’Italia come un’estensione naturale della Rive Gauche.
E invece no. Il pendolo torna indietro. E con esso tornano anche ricordi e fantasie: Piersilvio Berlusconi sogna la Francia. Non quella dei consessi istituzionali, ma quella di quando suo padre, l’unico che sia riuscito a esportare il varietà italiano oltre le Alpi, provò l’avventura di La Cinq.
Una televisione talmente avanti che il presidente socialista François Mitterrand, per non farla andare troppo lontano, decise di spegnerla. Letteralmente.
Erano gli anni in cui gli italiani facevano shopping nella grandeur: Gianni Agnelli prese una quota di Danone e Raul Gardini mise le mani sul più grande zuccherificio francese, giusto per far capire che il gusto per il raffinato non ci era mai mancato. Oggi al massimo compriamo qualche croissant a prezzo pieno.
Dunque, Berlusconi – quello junior, stavolta – può dirlo senza arrossire: «La Francia sarebbe un sogno». Si guarda intorno, valuta, misura il terreno: Tf1 e M6.
La prima, dice, «ha una storia imprenditoriale solida»: niente da dire, anche le fortezze hanno i loro punti deboli. Con la seconda, «una finta opportunità». Tradotto: l’affare che non c’è, ma che ti fa perdere lo stesso due settimane di telefonate.
Il vero punto, però, è che mentre noi guardiamo a Parigi, Parigi si deve rassegnare. Lo dimostra il clamoroso stop di Crédit Agricole su Bpm, piantato lì come un cartello stradale: «Fine delle ambizioni». Con Bank of America che conferma la raccomandazione «Buy» su Mps e alza il target price a 11 euro. E non c’è solo questo. Natixis ha dovuto rinunciare alla cassaforte di Generali dov’è conservata buona parte del risparmio degli italiani. Vivendi si è ritirata. Tim è tornata italiana.
Il pendolo, dicevamo, ha cambiato asse. E spinge ben più a Ovest. Certo Parigi rimane il più importante investitore estero in Italia. Ma il vento della geopolitica e cambiato. Il nuovo asse si snoda tra Washington e Roma Gli americani non stanno bussando alla porta: sono già entrati.
E non con due spicci.
Ieri le due sigle più «Miami style» che potessero atterrare nel dossier Ilva – Bedrock Industries e Flacks Group – hanno presentato le loro offerte. Americani entrambi. Dall’odore ancora fresco di oceano, baseball e investimenti senza fronzoli.
E non è un caso isolato.
In Italia operano oltre 2.700 imprese a partecipazione statunitense, che generano 400.000 posti di lavoro. Non esattamente compratori di souvenir. Sono radicati nei capannoni, nella logistica, nelle tecnologie, nei servizi, nella manifattura. Un pezzo intero di economia reale. Poi c’è il capitolo dei giganti della finanza globale: BlackRock, Vanguard, i soliti nomi che quando entrano in una stanza fanno più rumore del tuono. Hanno fiutato l’aria e annusato l’Italia come fosse un tartufo bianco d’Alba: raro, caro e conveniente.
Gli incontri istituzionali degli ultimi anni parlano chiaro: data center, infrastrutture, digitalizzazione, energia.
Gli americani non si accontentano. Puntano al core del futuro: tecnologia, energia, scienza della vita, space economy, agritech.
Dopo l’investimento di Kkr nella rete fissa Telecom - uno dei deal più massicci degli ultimi quindici anni - la direzione è segnata: Washington ha scoperto che l’Italia rende.
A ottobre 2025 la grande conferma: missione economica a Washington, con una pioggia di annunci per oltre 4 miliardi di euro di nuovi investimenti. Non bonus, non promesse, ma progetti veri: space economy, sostenibilità, energia, life sciences, agri-tech, turism. Tutti settori dove l’Italia è più forte di quanto creda, e più sottovalutata di quanto dovrebbe.
A questo punto il pendolo ha parlato: gli americani investono, i francesi frenano.
E chissà che, alla fine, non si chiuda il cerchio: gli Usa tornano in Italia come investitori netti, e Berlusconi torna in Francia come ai tempi dell’avventura di La Cinq.
Magari senza che un nuovo Mitterrand tolga la spina.
Continua a leggereRiduci