2021-03-08
Capasanta, il piatto che unisce papi, pellegrini e buongustai
Da secoli la conchiglia di Santiago stimola le menti con i suoi simbolismi e gli appetiti con la sua dolcezza. Tutte le virtù del mollusco che mette d'accordo Aristotele, Joseph Ratzinger e i moderni chef.Il quotidiano argentino La Nación ha anticipato l'estratto di un colloquio, risalente a due anni fa, col giornalista e medico Nelson Castro (incaricato di redigere un libro sulla salute dei papi di prossima pubblicazione), nel quale il papa Jorge Mario Bergoglio dichiarava di immaginare la fine della sua vita «come papa, in carica o emerito». Quello di «papa emerito», anche detto «pontefice emerito», è il titolo assunto da papa Benedetto XVI otto anni fa, quando il 28 febbraio 2013 ha rinunciato all'ufficio di romano pontefice. Una cosa che non molti sanno è che lo stemma araldico del papato di Joseph Ratzinger contiene una capasanta. Il sito Internet del Vaticano spiega che «ha un significato teologico: vuole ricordare la leggenda attribuita a Sant'Agostino, il quale incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l'acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l'infinità di Dio nella limitata mente umana. La leggenda ha un evidente simbolismo spirituale, per invitare a conoscere Dio, seppure nell'umiltà delle inadeguate capacità umane, attingendo alla inesauribilità dell'insegnamento teologico. La conchiglia, inoltre, è da secoli usata per rappresentare il pellegrino: simbolismo che Benedetto XVI vuole mantenere vivo, calcando le orme di Giovanni Paolo II, grande pellegrino in ogni parte del mondo. La casula da lui usata nella solenne liturgia dell'inizio del suo pontificato, domenica 24 aprile (2005, ndr), portava con evidenza il disegno di una grande conchiglia».Il legame tra conchiglia e pellegrinaggio chiama direttamente in causa il santo Giacomo, tanto che «conchiglia di San Giacomo» è sinonimo di capasanta. Secondo la tradizione cristiana, nella cattedrale di Santiago de Compostela si trovano le spoglie mortali di Giacomo il Maggiore, apostolo di Gesù. Santiago di Compostela, e il famoso cammino del pellegrinaggio omonimo del quale è meta, sono stati dichiarati patrimonio dell'umanità dall'Unesco nel 1985 e il 23 ottobre 1987 il Consiglio d'Europa ha riconosciuto l'importanza dei percorsi religiosi e culturali che attraversano l'Europa verso Santiago di Compostela dichiarandoli «itinerario di devozione europeo». Quando il 25 luglio, giorno della festa del santo, cade di domenica (massimo 14 volte in un secolo), allora quell'anno è proclamato Anno santo compostelano e il 31 dicembre che lo precede l'arcivescovo di Santiago apre la Porta santa della cattedrale. L'ultimo Anno santo è stato nel 2010, il prossimo è questo 2021.Il legame tra San Giacomo e la capasanta è presto spiegato: era tradizione che il pellegrino che si recava a Santiago di Compostela raccogliesse poi sulle spiagge galiziane e sulla costa di Finis Terrae (in lingua galiziana Fisterra) la conchiglia della capasanta, per cucirla sul mantello o sul cappello allo scopo di attestare l'avvenuto pellegrinaggio alla tomba dell'apostolo di Gesù. La conchiglia veniva infatti mostrata alle autorità per rientrare nella propria città e per essere esentati dal pagamento di pedaggi lungo il viaggio di ritorno. Oggi invece le capesante sono ormai solo simboli del viaggio e si possono acquistare lungo il percorso.La simbologia della capasanta, però, non si esaurisce qui: nella giustamente arcifamosa tela di Botticelli Nascita di Venere, la dea nasce da un guscio di capasanta, in perfetto rispetto del mito della nascita di Venere dall'acqua marina, ma anche dell'idea cristiana della nascita dell'anima dall'acqua del battesimo. La capasanta che troviamo nei nostri mercati e supermercati con banco di pesce è la Pecten jacobaeus, un mollusco «bivalve», cioè con due valve, a struttura «inequivalve», perché le due valve sono tra loro dissimili. Quella inferiore, tramite la quale la capasanta si poggia sul fondo del mare, è molto convessa e chiara, quella superiore più piatta e tende al colore marrone. Appartiene al phylum dei Mollusca, classe Bivalvia (la stessa di cozze, vongole, ostriche, fasolari), genere Pecten, specie, appunto, Pecten jacobaeus, anche chiamata Ostrea jacobaea, Pecten intermedius, Vola jacobea, Vola jacobea var. striatissima. Al genere Pecten appartiene anche la specie Pecten maximus, che è la capasanta atlantica, tipica dei fondali nordeuropei di Francia e Gran Bretagna (quella che riportava indietro chi andava in pellegrinaggio). Dette anche capesante giganti, hanno un diametro che supera tranquillamente i 15 centimetri e tra 15 e 17 coste per valva. La nostra tipica capasanta, invece, è più piccola, raggiunge i 12, al massimo 15 centimetri (per alcuni esemplari adulti e longevi), ha 14-16 coste, vive tra i 25 e i 200 metri di profondità ed è il più grande mollusco bivalve del Mediterraneo (fatta eccezione per la Pinna nobilis, nota come «nacchera» o «cozza penna», un incrocio tra cozza e ostrica che giunge fino a un metro e mezzo di altezza, ma non ne abbiamo conoscenza alimentare perché la raccolta è vietata e le cozze penna, in quanto molluschi filtratori, sono sfruttate come indicatori dell'inquinamento marino, anche nucleare presso la Maddalena). Gli esemplari di capesante ancora infantili vivono attaccati al fondale tramite filamenti, gli adulti si spostano con un sistema che li fa sembrare piccoli sommergibili o, addirittura, per la forma circolare, navicelle spaziali acquatiche: aprendo e chiudendo le valve caricano ed espellono acqua creando getti propulsivi.Si usa dire che «anche i muri hanno gli occhi» o «le orecchie» per intendere, in senso figurato, momenti e luoghi nei quali è meglio essere discreti. Parafrasando il modo di dire, possiamo affermare che anche le capesante, diversamente da molti molluschi e similmente ad altri animali, hanno gli occhi. Eh già. Lungo il perimetro di entrambe le valve, ogni capasanta ha 200 occhi catadiottrici elementari (cioè che funzionano riflettendo perché sono strutturati a specchio) che le consentono di vedere bene anche in assenza di luce, come è tipico delle profondità marine: questa caratteristica visiva era già nota agli zoologi marini dagli anni Sessanta, ma soltanto recentemente un team composto da studiosi del Weizmann institute of science israeliano e della Lund university svedese ha potuto studiare meglio questi occhi non «di ragazza», ma di capasanta, e pubblicare i risultati della ricerca sulla rivista Science. In questi tempi si tende a esaltare la «fluidità di genere» e a stimolarla anche in chi, invero, è molto solido nel suo genere, raccontandola quasi come condizione elettiva rispetto alla - chiamiamola così - ovvietà di genere, tanto che perfino sul social network Tiktok spopola l'hashtag #homisexual che identifica scenette di uomini etero che si fingono gay. Le capesante non fingono: esse sono sul serio animali ermafroditi. Nella conchiglia che compriamo, chiaramente già mondata di visceri e quant'altro del frutto di mare non sia commestibile (l'alveola, cioè le frange che circondano il corallo, viene rimossa), noi troviamo due parti: la noce, soda, bianca e di forma cilindrica, e il corallo, una specie di sacca molliccia arancione. Il corallo sono le gonadi della capasanta, cioè i suoi organi riproduttivi: a seconda del periodo l'organo è maschile (colore rosa grigiastro) oppure femminile (arancione acceso). La stagione della riproduzione, quella estiva, è anche la più adatta alla pesca. Le capesante si pescano in due modi: con reti a strascico, tecnica che può stressare il mollusco col risultato di carni un pochino granulose, oppure manualmente. Non si possono pescare se di diametro inferiore a 10 centimetri. In ogni caso, ormai si trovano tutto l'anno perché sono ampiamente allevate.Sono oggetto di sushi e sashimi, quindi consumate crude, in Giappone, dove si vendono vive e chiuse come le ostriche, ma da noi si mangiano per lo più cotte perché si vendono già aperte, quindi morte, poggiate su una sola valva. Si mangiano sia la noce sia il corallo, ma se preparerete ricette che richiedono solo la noce potete sfruttare il corallo per realizzare una bottarga, frullandolo dopo averlo essiccato al forno a 90 gradi per un'ora e mezza. L'uomo mangia in generale molluschi e in particolare capesante da sempre: già Aristotele consigliava di «cucinarle alla griglia e cospargere il frutto con dell'aceto, al fine di esaltare la loro dolcezza». Le capesante, infatti, insieme alle ostriche, erano un tipo di bivalvi molto apprezzato già nel mondo classico: abbondanti nelle coste inglesi e francesi e, soprattutto, gratuite, erano un cibo di facilissima reperibilità per la parte povera della popolazione. Sono diventate un piatto di lusso solo a partire dalla fine del XIX secolo, quando il numero di esemplari disponibili ha subito un forte ridimensionamento a causa dell'inquinamento che si riversava nei mari e dell'eccesso di raccolta dei secoli precedenti. Da allora, le scorte sono diminuite, i prezzi sono saliti e sono nati gli allevamenti. Cento grammi di capesante forniscono circa 69 calorie, un apporto calorico basso che ne fa un perfetto secondo piatto (ci vogliono 8 capesante per fare una porzione da due etti, giacché una capasanta pesa circa 25 grammi) oppure un ottimo primo piatto con apporto proteico che abbassa l'indice glicemico complessivo. Dopo 82,53 grammi di acqua, in un etto di capesante abbiamo infatti 12,06 grammi di proteine e un terzo, 3,18 grammi, in carboidrati. È molto bassa la quota di lipidi: sono 0,49 grammi di cui 0,128 di grassi saturi, 0,048 di grassi monoinsaturi, 0,130 di grassi polinsaturi (fra cui 215 milligrammi di omega 3 e 4 milligrammi di omega 6), 0,005 grammi di grassi trans e 24 milligrammi di colesterolo.La capasanta è il terzo mollusco più consumato dopo ostriche e cozze, ma rispetto a queste presenta molti meno grassi saturi (le ostriche ne hanno 0,443 grammi e le cozze 0,425). Questa limitata presenza di grassi saturi ne fa un mollusco molto interessante, perché - come sappiamo - un eccesso di grassi saturi può minare la salute di cuore e arterie. Positiva è anche la presenza di omega 3, gli acidi grassi che invece proteggono cuore e arterie (effetto potenziato dal contenuto di potassio, che regola la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa: le capesante ne hanno 205 milligrammi).Bisogna invece fare attenzione al colesterolo: non dobbiamo superare i 300 milligrammi al giorno (200 in presenza di disturbi cardiovascolari), anche se 24 milligrammi ogni 100 grammi di capesante imporrebbero di consumarne 1,2 chili per arrivare a tale soglia critica, una quantità eccessiva che nessuno mangerebbe mai. Inoltre, ricordiamoci che il contenuto di colesterolo oscilla in virtù della stagione di pesca e della presenza o assenza di «fregola» riproduttiva (se è in corso, la concentrazione di colesterolo aumenta). Altro elemento al quale fare attenzione nelle capesante è il sodio: ricordiamoci che non dovremmo superare i 2 grammi al giorno, quindi non saliamole o saliamole poco perché un etto di capesante (cioè 4 esemplari) ne contiene già 0,4 grammi.Seppur non in quota altissima, sono assai interessanti anche le proteine nobili fornite dalle capesante e il loro piccolo paniere multivitaminico: abbiamo 3 ui (unità internazionali) di vitamina A, 0,007 milligrammi di vitamina B1, 0,015 milligrammi di B2, 0,703 milligrammi di B3, 0,073 milligrammi di B6, 16 microgrammi di vitamina B9 e 1,41 microgrammi di B12. Quest'ultima, che troviamo soltanto nei cibi di derivazione animale, è coinvolta nel metabolismo degli aminoacidi, degli acidi nucleici e degli acidi grassi, nella produzione dei globuli rossi e nella formazione del midollo osseo; inoltre contribuisce anche al benessere del sistema nervoso perché interviene nella creazione della guaina mielinica, che riveste i nostri nervi. Annotiamo, infine, lo zinco che, se carente, predispone alla formazione di noduli tiroidei e intralcia la trasformazione del T4 in T3 da parte della tiroide (la capasanta ne ha 0,91 milligrammi). Poi, il selenio, che oltre a proteggere il nostro organismo dai radicali liberi e stimolare il sistema immunitario, è coinvolto, appunto, nel processo di produzione e trasformazione del T4 in T3: una sua carenza può contribuire allo sviluppo delle patologie tiroidee, soprattutto autoimmuni. La tiroide infatti contiene la più alta quantità di selenio per grammo di tessuto rispetto a ogni altro organo del corpo. La capasanta ne contiene 22,33 microgrammi ogni 100 grammi.