2018-04-25
        Calistri, l’eroe martire per errore del massacro partigiano a Dongo
    
 
Pietro Calistri, pluridecorato capitano dell'aviazione, si ritrova quasi per caso nella colonna Mussolini diretta in Valtellina. Molti dubitano abbia a che fare con le alte cariche del regime. Ma l'ordine dei comunisti è: «Uccideteli tutti».«Padre, perché mi trovo qui?». «Caro capitano, non lo so». Passano alcuni secondi e una raffica di mitra nell'uggioso pomeriggio di Dongo, 28 aprile 1945, compie il suo freddo lavoro. Quel luogo, dove 73 anni fa calava il sipario definitivo sul fascismo, con la cattura di Benito Mussolini, è anche il giorno in cui iniziano le vendette da parte dei vincitori. E il primo a pagare con il sangue è proprio quel capitano che, in divisa da aviatore, ebbe la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.Pietro Calistri non era solo un aviatore, era un eroe dell'aria. Veterano di numerose campagne, era nato il 20 ottobre 1914 a Verona e, fin da giovane, non nascose la sua grande passione: il volo. Dopo avere completato la trafila dell'addestramento, a soli 21 anni ottenne il brevetto di pilota militare nella Regia Aeronautica e prese parte alla guerra di Spagna, insieme al contingente mandato da Mussolini per aiutare Francisco Franco. Ricevette le sue prime medaglie dal governo spagnolo, dopo la vittoria delle truppe franchiste, in segno di gratitudine. Ma non c'era tempo per pensare alle onorificenze. Nubi di guerra si addensavano su tutta l'Europa e, il 10 giugno 1940, anche l'Italia scese in campo. Calistri, nei tre anni di conflitto, vide dall'alto le sabbie dei deserti libici e sfrecciò tante volte su quell'isola, maledetta per gli italiani, che tanti lutti finì per causare al tricolore: Malta. Fu comandante della 76ª squadriglia di caccia e proprio in quel reparto conobbe l'amico Adriano Visconti, senza sapere, allora, che pochi anni più tardi entrambi sarebbero andati incontro allo stesso destino. Nel corso della guerra, per il suo impegno guadagnò altre onorificenze, due medaglie d'argento e una di bronzo al valor militare, l'ultima delle quali durante la battaglia di Mezzo Giugno, nel 1942, una delle ultime vittorie italiane nel Mediterraneo.Dopo El Alamein e la caduta della Tunisia, il destino dell'Italia in guerra era segnato e, nel tentativo disperato di difendere lo stivale dall'invasione anglo-americana, il capitano Calistri venne ferito in combattimento nel luglio 1943 e posto a riposo a Padova. Proprio lì lo colse l'armistizio, l'8 settembre e, dopo avere affrontato come tanti altri soldati italiani i dubbi derivanti dall'atto del re Vittorio Emanuele III, decise di rispondere all'appello del colonnello Ernesto Botto, suo comandante durante la campagna di Spagna. Calistri infatti era uno dei tanti piloti a chiedersi come mai, nonostante l'armistizio, imponenti formazioni di bombardieri angloamericani continuassero a rovesciare tonnellate di bombe sulle città del nord Italia.Per questo aderì all'Aeronautica nazionale repubblicana, l'aviazione della Repubblica di Salò. Venne assegnato al comando della terza squadriglia «Dante Ocarso» (detta anche Arciere), ma all'inizio del 1944 dovette lasciare l'incarico per motivi di salute. Trovò il modo di restare in azione, come ufficiale di collegamento presso una sezione radar della Luftwaffe nei pressi di Milano. E con i tedeschi, il 25 aprile 1945, decise di partire verso la Valtellina. Voleva raggiungere il ridotto alpino, quello che nelle intenzioni di Mussolini doveva essere il luogo dell'ultima resistenza italiana contro gli alleati. Fu un errore pensare che la guerra sarebbe potuta continuare ancora, ma forse Calistri voleva solamente mettersi in salvo in Svizzera.Così la storia del capitano si intreccia con la grande Storia degli ultimi giorni del fascismo e della sua caduta. Calistri si aggrega alla colonna tedesca che prova a riparare in Svizzera, passando lungo le rive del lago di Como, la stessa a cui si unisce per caso Mussolini con il suo seguito. A Musso la colonna venne fermata e tutti gli italiani vengono consegnati dai tedeschi ai partigiani della zona, in cambio di un lasciapassare. Il duce, Claretta Petacci, tutti i gerarchi e anche il capitano Calistri vengono arrestati. Di per sé, l'aviatore non ha commesso alcun reato, la sua guerra si è svolta nei cieli, non è uno dei militi che effettuavano i rastrellamenti, né tantomeno uno dei comandanti che li ordinava. Ma uno scambio di persona segna il suo destino. Calistri viene infatti scambiato per il pilota personale del duce, che invece è Virgilio Pallottelli, anch'egli presente nella colonna. Basta questo per emanare la condanna a morte. Invano l'ufficiale tenta di spiegare la situazione e la sua vera identità. Si era infatti consegnato ai partigiani dicendo: «Sono il capitano Pietro Calistri, mi trovavo nella colonna per puro caso. Sono venuto qui, visto che tutti gli italiani sono stati arrestati. Ecco la mia pistola».L'ordine da Milano, su come agire nei confronti dei prigionieri, è chiaro e lapidario: «Uccideteli tutti». E il colonnello Valerio, inviato dalla metropoli per prendere in consegna Mussolini prima degli alleati, fa eseguire l'ordine. In tanti cercano di salvare la vita a Calistri, molti partigiani hanno forti dubbi che lui abbia qualcosa a che fare con le alte cariche del fascismo. Ma non c'è niente da fare. Calistri, pluridecorato capitano della Regia Aeronautica, incontra il destino alle 17.48 del 28 aprile 1945. Non può sapere che, a poche ore di distanza, anche la vita del suo caro amico e asso dell'aviazione Adriano Visconti avrà lo stesso epilogo.Il corpo del capitano viene esposto al pubblico ludibrio di Piazzale Loreto. È la madre che, a guerra terminata, ha l'ingrato compito di riconoscere il figlio. Ci riesce grazie a una protesi a una rotula, applicatagli dopo il suo ferimento in combattimento. Solo così riesce a dare al figlio Pietro una dignitosa sepoltura. Restano aperti i conti con la giustizia da parte di chi lo ha ammazzato. «Atto di guerra» (a guerra finita): così viene infatti rubricata la fucilazione del capitano da parte del tribunale di Como. Tutto il fascicolo riguardante la vicenda viene archiviato, insieme a tanti altri. Ciò che non può passare in archivio è la memoria di Pietro Calistri, aviatore nell'anima sin da bambino, eroe dell'aria pluridecorato, idealista fino alla fine e sfortunato testimone di uno dei momenti più controversi della storia d'Italia. Le sue ultime parole sono racchiuse in quella domanda incredula al prete che lo sta assolvendo anche da un peccato inesistente. «Padre, perché mi trovo qui?». «Caro capitano, non lo so».
        Beatrice Venezi (Imagoeconomica)