2022-03-22
Nei bunker di Kiev ora la guerra si sente e i civili si armano
(Credit: Niccolò Celesti)
Tra racconti degli stupri e canzoni della resistenza l’odio sale. Mentre le prime schegge di mortaio sfiorano i palazzi centrali.Niccolò Celesti da KievLe informazioni che ci erano arrivate dal personale militare erano giuste: durante la notte a Kiev sono piovuti missili, vicini al centro e vicini a dove dormiamo, in un bunker situato in una zona della città che ha numerosi obiettivi sensibili.Alle 21 ci sono una quindicina di persone, tra civili e militari, che mangiano e scambiano due parole prima di andare a dormire. Cantano le canzoni della resistenza, quelle vecchie dei guerrieri cosacchi e quelle nuove, come quella riadattata sulle note di Bella ciao e resa celebre dalla cantante ucraina Khrystyna Soloviy. C’è una signora che canta più forte di tutti, viene da fuori città. Gli altri provengono da case che sono state distrutte o gravemente danneggiate oppure sono volontari. Parlano dei nuovi nomi che daranno ai figli e ai nipoti. I più diffusi sono due: Javelina per le ragazze (da Javelin, il missile anticarro che sta spopolando in Ucraina per gli ottimi risultati nel distruggere i carri armati russi), mentre per i maschietti il nome preferito è Bayractar (un drone di fabbricazione turca che sta mettendo a dura prova i convogli di Mosca). Il clima è reso ancora più tagliente dalla calma apparente (a parte due importanti bombardamenti in zone residenziali) della città. Ci si aspetta un attacco e si ascoltano le agghiaccianti notizie che provengono da Odessa e Mariupol, ma anche da Brovary e Irpin, i due fronti principali più vicini a Kiev. Si parla di ragazze stuprate, vecchi fatti spogliare in strada, persone deportate in Russia, di politici locali uccisi e torturati insieme alle loro famiglie e di soldati russi che stanno commettendo i peggiori crimini contro l’umanità. Le persone sono sempre più impaurite, ma anche più incattivite. A differenza di una settimana o di dieci giorni fa, ora ci sono molti più civili che hanno intenzione di prendere in mano le armi, una volta che i combattimenti su larga scala si sposteranno all’interno della città. Sarà una mattanza ma sarà anche un problema per l’esercito russo, che non ha abbastanza uomini per invadere il Paese e che di conseguenza mette in atto la strategia usata in Siria: radere al suolo le città, uccidere i civili e convincere così il governo a consegnargli il Paese. Verso le 22 una ragazza irrompe nella stanza folta di gente: una grossa bomba è appena esplosa vicino. Tutti si alzano velocemente, prendono poche cose e corrono verso il bunker. Sono già in un posto bene protetto, ma dicono: «Abbiamo imparato che le bombe di Putin possono distruggere edifici interi e penetrare in profondità». Uscendo dalla stanza, nel corridoio illuminato al neon e con tutte le attrezzature su un lato ora c’è traffico: i civili vanno nel bunker, i militari raggiungono le loro postazioni. Per arrivare al bunker bisogna scendere in profondità utilizzando una grande scalinata che ricorda la vecchia stazione di una metropolitana. La porta di acciaio stondata all’interno (contro la pressione delle esplosioni) porta in un grande ambiente. C’è un viavai di militari e un dormitorio i cui letti sono formati da pannelli isolanti in lana di vetro. Sulla destra un tavolo con due sedie e i telefoni connessi con i vari comandi della zona. Alcuni militari dormono, anche se è relativamente presto. Chi può recupera di giorno la fatica dei turni di notte. Davanti al tavolo dei telefoni c’è una postazione per il «risveglio», ci spiegano. Ogni militare che viene svegliato dal cambio guardia, dopo aver fatto il suo zaino dove mette il sacco a pelo e le ciabatte, passa da questa postazione dove c’è una stufetta elettrica e un bollitore. Tre minuti per fare il caffè o il tè e poi via, su per la grande scalinata verso la propria destinazione.Le luci rimangono accese tutta la notte. C’è un punto, in cima alle scale vicino alla porta, dove prende Internet. Qui diventiamo i protagonisti di una videochiamata con la madre di un giovanissimo militare, che vive in Italia. Quando la schermata si accende troviamo una signora bionda sulla cinquantina che fa la badante vicino a Rimini. Lui in cima a quelle scale cerca il segnale verso il soffitto, poi il segnale arriva e continua a parlare con la madre visibilmente preoccupata. Fuori dal bunker ci sono cinque soldati al buio. Arrivano informazioni sulla bomba e con il vento arriva anche l’odore dell’incendio che ne è scaturito. Dalle radio escono comunicazioni disturbate, i militari di guardia parlano fitto fitto tra di loro: l’attacco ancora una volta si è avvicinato al centro, nel quartiere di Podilsky. Ci sono morti, arrivano immagini dai primi pompieri intervenuti, non si capisce molto ma ci sono fiamme alte. Nello stesso istante si sentono bene le esplosioni sul fronte di Irpin. Ufficialmente, i combattimenti sono ricominciati stanotte sulla linea del fronte più vicina della città. Mentre scriviamo, una fonte da Irpin, un militare che ci aveva accompagnati in precedenza, ci avvisa di un fatto inquietante: alcune schegge di colpi di mortaio hanno raggiunto i primi palazzi di Kiev, quelli davanti al punto di raccolta dei profughi, in una zona considerata sicura. Il 13 marzo sul ponte distrutto di Irpin, poco dopo la morte dell’americano Brent Renaud (il primo giornalista caduto in questo conflitto) eravamo stati sotto altri colpi di mortaio, ma da quella zona ai primi palazzi di Kiev ci sono circa sei chilometri di strada. I mortai russi quindi potrebbero essere molto più vicini. Non a caso il punto di raccolta dei profughi è stato spostato più indietro, in un luogo protetto dai palazzi. Le difese e la presenza militare sono aumentate. La zona è assolutamente vietata a civili e giornalisti. Nessuno lo dice ma gli occhi parlano: è qui che si gioca la battaglia cruciale, la battaglia di Kiev.