2021-08-31
Con politica estera e interessi diversi l’Ue non può avere una Difesa comune
Joseph Borrell (Getty Images)
In seguito alla débâcle afgana torna in auge l'ipotesi di un esercito europeo. Ma l'idea è irrealizzabile finché non si decide chi comanda e senza una strategia condivisa tra Stati. E l'asse Italia-Usa sarebbe indebolito. La veloce ritirata Usa da Kabul viene letta da molti politici targati Bruxelles come un segno definitivo e l'avvio di un percorso che non prevede svolte. «Gli americani non combatteranno guerre di altri», ha spiegato Josep Borrell, il capo della diplomazia Ue, parlando dalle colonne del Corriere della Sera per poi concludere che serve un vero esercito unico in grado di avviare missioni in giro per il mondo senza dover attendere l'ok del Consiglio Ue. Insomma, a sentire Borrell, ma anche Paolo Gentiloni e per certi versi il presidente Sergio Mattarella, è arrivato il momento di rimanere nella Nato ma di trasportare contingenti anche senza l'immensa logistica a Stelle e strisce. Fare da sé, in poche parole. L'assunto di Borrel omette volutamente più di un dettaglio e questo si rende necessario per evitare di affrontare i veri nodi del progetto, tutti politici. Il primo assunto riguarda gli americani. Innanzitutto, il loro esercito non ha mai combattuto guerre di altri. Gli Usa hanno sempre combattuto le proprie, solo che in molti casi sono diventate guerre anche della Nato. Il loro apporto è stato decisivo, ma ai fini della geopolitica mezzi e fini non devono essere confusi. Il che ci porta a mettere in discussione la seconda conclusione di Borrell. Gli Usa molleranno il resto del mondo. In realtà, è più facile che salti la testa di Joe Biden che il Pentagono rinunci nel prossimo decennio a dire la sua in giro per il mondo. Semmai sarà importante capire dove saranno i prossimi teatri bellici. Nel Pacifico? E si giocheranno sul mare o nell'oceano virtuale tramite intelligenza artificiale? In poche parole, usare la debacle di Kabul per accelerare l'unificazione dell'esercito Ue è un tantino forzato e ricorda un po' la fretta utilizzata per introdurre il bail in bancario, le norme sulle sofferenze creditizie o la gestione dei vincoli del fiscal compact. Il Trattato di Lisbona prevede che le scelte di natura bellica o difensiva restino in capo ai singoli governi e Parlamenti. Anche se apre a forti convergenze. Così, nel 2017 è stata avviata una struttura permanente che si chiama Pesco. Esiste un fondo comune che stanzia circa 8 miliardi per sviluppare sistemi di difesa partecipati da almeno tre nazioni Ue. Esiste un piano per la mobilità veloce che a sua volta comunica con una struttura di comando e controllo. Ciò per dire che molti passi sono stati fatti e nessuno nega che l'Unione faccia la forza e che i Paesi Ue tutti assieme potrebbero contrastare la capacità di ricerca e sviluppo della Cina rimanendo in scia agli Stati Uniti. Allo stesso tempo, unificando la capacità bellica avremmo minori spese relative. Basti pensare che gli Usa possono contare su una flotta aerea di 2.700 velivoli di 11 modelli diversi. L'Ue si ferma a 1.700, ma deve manutenere 19 diverse tipologia di caccia. Per razionalizzare le spese si favorirà Parigi o Berlino? E l'Italia? È chiaro che i numeri non sono sufficienti a tirare le somme finché non si chiarirà chi comanda e chi decide. Immaginare che esista un esercito Ue per andare a recuperare gli afgani in pericolo a Kabul è fuorviante. Perché troppo semplice. Dobbiamo, per esempio, chiederci nel caso in cui ci sia un colpo di stato in un Paese africano come il Mali, chi deciderà di accendere la luce verde per un intervento rapido? La missione italiana in Niger è molto complessa. È fondamentale per presidiare il Sud della Libia ma va a sovrapporsi a forti interessi francesi. È però formalmente stata approvata dal nostro Parlamento a cui il governo deve costantemente riferire. In un futuro potremmo invece trovarci a inviare nostri militari inquadrati dentro una missione finanziata dall'Ue ma che poi finisca con il fare gli interessi esclusivamente di Parigi. L'esempio africano non è campato per aria. Da poco Bruxelles ha approvato la politica del Neighbourhood Development and International Cooperation o Ndici con cui sarà possibile dispiegare forze armate lungo il Continente nero con l'obiettivo di fare contro terrorismo e addestrare le forze armate locali. Non è altro che il vecchio modo di affrontare le guerre fredde usando Paesi locali o periferici. I prossimi anni saranno caldi in Africa. Si contrasterà così Al Qaeda ma anche la Cina. Immaginare che tali scelte non abbiano fortissimi impatti economici è da finti ingenui. E immaginare che gli eserciti non servano direttamente o di sponda a difendere vecchi interessi o a costruirne di nuovi è altrettanto limitativo. Quindi, come si può dare il via a un esercito unico se prima non si definiscono una politica estera unica e degli interessi finanziari condivisi? Nessuno mette in discussione l'importanza della Difesa Ue, ma chi comanderà i militari è la prima domanda da farsi. Senza un risposta, ci saranno solo problemi. La gestione delle politiche economiche ha dimostrato quanti errori si sono compiuti. In campo militare gli errori diventano morti da trasportare in sacchi neri. Chi si prenderà la responsabilità di accoglierli in Patria, visto che i cargo con le bare non atterrerebbero certo a Bruxelles? Le crisi bancarie sono state affrontate senza exit strategy, con la Difesa comune non si può fare la stessa cosa. Inoltre, a indurre alla cautela rispetto alle parole di Borrel c'è anche un aspetto diplomatico. La sfida di Mario Draghi è guidare le necessità italiane ed europee dentro il perimetro atlantico senza perdere il sostegno degli Usa, i quali certo non vogliono un esercito comune per il Vecchio Continente, come ieri ha ben spiegato Dario Fabbri. Il percorso di successione alla Merkel è un campo minato e abbracciare la necessità di un esercito Ue in questo momento può significare per Roma la perdita di una sponda troppo importante.
Beatrice Venezi (Imagoeconomica)