2024-12-21
«Blauer fa affari con prezzi rispettosi di questo periodo»
Enzo Fusco @enzofusco.com
Il presidente di Fgf industry: «Puntiamo su nuovi negozi e sull’estero. Niente outlet per tutelare le boutique».Il regalo di Natale, Enzo Fusco, presidente di Fgf industry che guida insieme con la sua famiglia, se l’è già fatto. «Siamo riusciti a chiudere l’anno con il fatturato della stagione scorsa, positivo, con un ottimo margine, in un momento difficile come questo». Il gruppo veneto cui fanno capo i marchi Blauer Usa e Ten c non sente pesare sulle spalle la crisi che attraversa il settore. «Parlando in particolare di Blauer, la situazione è positiva e molto interessanti sono l’apertura di due negozi, uno a Verona e uno a Torino e devo dire che tutti i nostri otto negozi stanno lavorando davvero bene e quindi anche quelli nuovi, dove avevamo qualche timore, hanno invece incontrato subito il favore della clientela. Per questo, ci stiamo concentrando su altre aperture come quella di Bari prevista tra giugno e luglio e stiamo guardando a Napoli e alla Sicilia in maniera che in ogni città ci possa essere il nostro Blauer shop. Un’immagine che serve a far capire chi siamo, cosa facciamo: una vetrina con tutti i prodotti trasmette le tue caratteristiche e non solo con una giacca». Blauer, quindi, è sempre più un total look? «Siamo stati bravi e fortunati a fare delle icone. A suo tempo, quando siamo partiti, c’era il giubbotto del poliziotto che nelle novità della collezione abbiamo riproposto, il Police uomo e donna che vogliamo far tornare di moda. Quando non ci si mette il piumino ci si infila un cappotto o un capo in pelle, un giubbotto o un parka che spesso usano le donne. Ma sono cambiati i pesi, i volumi e bisogna tener conto di questo nuovo meteo. Noi facciamo delle collezioni per gente che tutti i giorni va in ufficio e a lavorare. Quello che ci hanno sempre detto e riconfermato è che noi offriamo una qualità e un prezzo perfetti ai quali abbiamo aggiunto stile e design. Direi che l’obiettivo, per quanto ci riguarda, l’abbiamo raggiunto». La chiave vincente di Blauer sta nell’essere un brand americano con un design italiano? «Senza dubbio. Sono sempre stato un cultore dello stile army, un collezionista di capi tecnici e militari. I 40.000 pezzi del mio archivio personale sono una miniera di idee e suggestioni che continuano a ispirare nuovi progetti dallo stile metropolitano e cosmopolita. Iniziai a importare in Italia il marchio Blauer circa 30 anni fa trovando accordi con la famiglia americana che, nel 1936, iniziò a vestire, con i suoi capispalla, poliziotti e Vigili del fuoco. Al mondo americano riconosciamo l’origine dell’universo sportswear e casual e a quello italiano l’attenzione ai dettagli. All’inizio provai a importare alcuni capi originali, ma erano decisamente troppo duri, allora li ho ripensati con tessuti più pregiati e li ho adattati al nostro stile».Prezzi, tema portante. Si dice che la grande crisi del settore, in particolare quello del lusso, parta dal fatto che sono aumentati in maniera esponenziale. «Penso che come in tutte le cose ci deve essere un limite che abbiamo raggiunto. È anche un fatto generazionale, i giovani d'oggi, anche quelli che possono spendere, arrivano fino a un certo punto ed è diventato più snob andarsi a prendere un capo da grande magazzino e mettere la borsa super costosa e super firmata, cosi come le scarpe. Oggi pagare una felpa del marchio importante 800/1.000 euro ha stufato. Lo fanno gli arabi e lo facevano i cinesi ma oggi nemmeno loro. Se diversi marchi hanno perso del fatturato non è dovuto solo al cambiamento di mentalità ma anche al fatto che hanno prezzi impossibili. Finché si tratta di comprare una borsa o un paio di scarpe va ancora bene, ma nell’abbigliamento non ha più senso». La sua politica è stata quella della fedeltà verso i suoi clienti con prezzi non alle stelle?«Le faccio un esempio. La piuma, quest’anno, è aumentata del 20% al chilo che significa che su un capo incide del 10%. Noi sui capi continuativi, quelli su cui facciamo i grossi numeri, abbiamo mantenuto i prezzi della stagione scorsa sacrificando un po’ del nostro margine perché ci siamo detti che entro quella gamma sarebbero stati venduti bene e per questo il rapporto con i negozi si è mantenuto buono. Quando il ragazzino va a comprarsi un giubbotto pensando di spendere 320 euro, se ne costa 360 cambia tutto. È una forma di rispetto verso la nostra clientela. Siamo contenti della scelta perché sono circa 20 giorni che siamo usciti con le collezioni e devo dire che gli ordini che arrivano sono molto interessanti con degli incrementi. È presto per parlarne ma se il buon giorno si vede dal mattino siamo contenti». Quali i migliori mercati? «Ci stiamo organizzando per diventare bravi anche all’estero, oggi siamo al 65% in Italia e 35% estero. I nostri mercati di punta sono la Germania e l’Austria in assoluto, molto bene Spagna e Portogallo. A seguire Repubblica Ceca e Polonia. Abbiamo iniziato in Inghilterra ma serve tempo per farsi conoscere. In America abbiamo persone interessate a creare partnership. Il nostro futuro punta su due cose: sviluppare meglio il retail e aprire mercati nuovi». Premiate serietà e coerenza.«Sì, siamo sempre stati molto corretti. Siamo l’unico marchio che non ha un outlet, una scelta fatta per rispetto ai clienti. Significa rinunciare a milioni di fatturato. Abbiamo uno spaccio aziendale che serve all’azienda in loco. Se pensiamo che ci sono marchi come Ralph Lauren che il 60% del fatturato lo fanno con gli outlet forse non abbiamo capito niente. Ma se si può fare a meno preferiamo così. Tuteliamo i negozianti. Mia mamma diceva una cosa: “Tu fai del bene, se non lo ricevi non importa”».
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)