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2023-10-04
Ora Biden tratta con i repubblicani per ridurre gli aiuti all’Ucraina
Joe Biden (Ansa)
Non è una fase tranquilla, questa, per la politica americana. Lo Speaker della Camera, Kevin McCarthy, ha dovuto affrontare ieri una mozione di destituzione, presentata dal suo rivale interno, Matt Gaetz, che, tra le altre cose, lo aveva accusato di aver raggiunto un accordo «segreto» con Joe Biden sul sostegno all’Ucraina. Era dal 1910 che non veniva presentata una mozione del genere e ieri Donald Trump ha criticato il fatto che «i repubblicani sono sempre in lotta tra loro». Nel momento in cui La Verità andava in stampa, l’esito del voto non era ancora noto. Tuttavia, al di là della crisi parlamentare, non è da escludere che, negli scorsi giorni, si sia svolta una trattativa sotterranea tra McCarthy e Biden.
D’altronde, era stato lo stesso presidente americano, domenica, a citare un non meglio precisato «accordo» sull’Ucraina tra la Casa Bianca e lo Speaker. Negli ultimi giorni, si sono inoltre verificati due eventi che è forse possibile interpretare in modo collegato. In primis, sabato è stata raggiunta un’intesa parlamentare per evitare in extremis lo shutdown, vale a dire il blocco delle attività federali non essenziali: un’intesa che, prontamente siglata da Biden, ha di fatto portato al congelamento degli aiuti a Kiev. In secondo luogo, l’altro ieri Politico ha rivelato l’esistenza di un documento «sensibile ma non classificato» del governo statunitense, che fotograferebbe una situazione assai problematica in Ucraina sul fronte della lotta alla corruzione. «I funzionari dell’amministrazione Biden sono molto più preoccupati per la corruzione in Ucraina di quanto ammettano pubblicamente», ha riportato la testata. «L’amministrazione vuole fare pressione sull’Ucraina affinché tagli la corruzione, anche perché sono in gioco i dollari americani», ha aggiunto Politico. Perché gli apparati hanno fatto trapelare tale documento proprio ora? È uno sgambetto a Biden? O è Biden che vuole inviare un segnale?
Non è dato saperlo. È tuttavia possibile formulare delle ipotesi. Innanzitutto, l’accordo per evitare lo shutdown è stato approvato da una larga maggioranza bipartisan al Congresso e lo stesso presidente, come abbiamo detto, si è affrettato ad apporre la propria firma. Qualcuno potrebbe pensare che la cosa non sia troppo controversa, visto che, alla fin fine, mancavano poche ore all’avvio dello shutdown, che sarebbe iniziato il primo ottobre. Eppure qualcosa non torna. Lo shutdown è sicuramente uno scenario che si cerca di evitare. Tuttavia va anche ricordato che la maggior parte dei suoi effetti economici negativi non scatta subito e che, nella storia americana, ci sono stati casi di shutdown durati pochi giorni o addirittura poche ore. Questo vuol dire che a far danni sono gli shutdown prolungati e non quelli che, magari, durano al massimo una manciata di giorni. Ecco: se Biden avesse considerato gli aiuti all’Ucraina una priorità inderogabile, avrebbe potuto accettare il rischio di uno shutdown breve, per rafforzare la propria posizione negoziale e cercare di mettere i parlamentari riottosi con le spalle al muro (una tattica usata già da Reagan negli anni Ottanta). Tanto più che Biden avrebbe avuto anche la possibilità di scaricare sul Gop le responsabilità di un eventuale shutdown. Eppure non lo ha fatto. Perché? A tale interrogativo si aggiungono il leak pubblicato da Politico e le oscure parole del presidente su un «accordo» con McCarthy in materia ucraina.
A inizio agosto, un sondaggio della Cnn ha rilevato che il 55% degli americani è contrario al fatto che il Congresso autorizzi ulteriore assistenza all’Ucraina: un dato che Biden non può trascurare nell’ambito della sua ricandidatura alla Casa Bianca. Ed è qui che potrebbe essersi registrata una convergenza tra il presidente e McCarthy. Biden infatti non può ignorare gli umori dell’elettorato ma, dopo la crisi di credibilità dovuta al disastro afgano, non può certo tirare sic et simpliciter i remi in barca sul dossier ucraino. Non a caso, il presidente ha avuto ieri una telefonata con gli alleati (a cui ha preso parte anche Giorgia Meloni) per rassicurarli del sostegno americano all’Ucraina, mentre il Pentagono ha scritto al Congresso, sottolineando che i fondi per le armi a Kiev si stanno esaurendo. Il punto di caduta potrebbe allora essere rappresentato dalla posizione espressa dal think tank conservatore Heritage Foundation, che McCarthy ha fatto in gran parte propria. Primo: mantenere gli aiuti militari e ridurre quelli civili, a cui i conservatori guardano con ostilità. Tra l’altro, nello scoop di Politico è stato riportato che, secondo un funzionario americano, l’amministrazione Biden sta tenendo colloqui con la leadership di Kiev per subordinare ulteriori aiuti non militari all’adozione di riforme anticorruzione. Secondo: inserire l’invio di armamenti a Kiev all’interno di un piano strategico definito. Tradotto: prima è necessario stabilire precisi obiettivi militari, politici ed eventualmente diplomatici; successivamente vanno implementati i mezzi atti a conseguirli. Si punta così a stilare una strategia più oculata e misurabile. Le posizioni di Biden e McCarthy sull’Ucraina potrebbero essere quindi meno distanti di quanto appaia. E, anche venisse silurato, lo Speaker potrebbe contare su numerosi seguaci tra i repubblicani della Camera.
Mentre negli Usa questo dibattito va avanti, non è chiaro se prima o poi anche a Bruxelles verranno fatte riflessioni per elaborare un piano definito e misurabile, soprattutto dopo che l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, ha proposto, per il prossimo anno, una nuova dotazione bilaterale pluriennale del Fondo europeo per la pace fino a 5 miliardi di euro.
L’Onu «assolve» gli invasori azeri
«È chiaro a tutti che la Russia ha tradito la popolazione armena». Questa la dichiarazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel a Euronews. Per Michel «la Russia voleva avere soldati dislocati sul terreno per garantire l’accordo di pace e sicurezza. Ma l’operazione militare è stata lanciata senza alcuna reazione da parte delle forze di pace russe presenti sul territorio. L’Ue, invece, non ha alcuna presenza militare sul territorio». Anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha condannato la Russia per aver ignorato i segnali di escalation che arrivavano da Baku e per non aver protetto gli armeni residenti nell’isolata regione montuosa. Il Cremlino ha accusato Pashinyan di «essere succube degli occidentali». Se è vero che la Russia si è girata dall’altra parte e ha consentito l’operazione militare lampo nel Nagorno Karabakh, che oggi è una landa desolata dopo che 100.000 armeni (su 120.000 abitanti), sono scappati per sfuggire alla pulizia etnica, l’Ue non può cavarsela solo con «è tutta colpa dei russi». Vero che lo stesso Charles Michel si è più volte speso per mediare tra azeri e armeni, ma i membri dell’Eurocamera hanno più volte definito «un fallimento totale» i suoi tentativi di mediazione. Così come non si può dimenticare il silenzio dei leader politici europei che invece di occuparsi delle sofferenze dei cristiani armeni hanno preferito l’Azerbaigian musulmano ricco fornitore di gas. Michel ha anche detto di essere «estremamente deluso dalla decisione presa dall’Azerbaigian e l’ho espresso con molta fermezza al presidente Aliyev». A proposito di questioni religiose: da giorni circolano sui social network video di soldati azeri che tolgono le croci cristiane da chiese e cimiteri armeni e anche dei video nei quali soldati armeni vengono sgozzati da soldati azeri al grido di «Allah è Grande». Non sappiamo se i video degli sgozzamenti siano recenti oppure se sono stati girati nel recente passato, ma quello che è certo è che sono autentici e che quelli che mostrano i soldati azeri armati di coltello che girano tra le case disabitate del Nagorno Karabakh sono di questi giorni. Togliere le croci dai luoghi di culto è qualcosa che fanno gli uomini dell’Isis, così come gli sgozzamenti sono una specialità degli uomini dello Stato islamico. Chissà se li ha visti il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata (Fratelli d’Italia) che ieri su X ha scritto riferendosi al report dell’Onu: «Importante notare come in questo rapporto reso dalla missione di osservatori ed esperti dell’Onu, come non siano emerse prove, testimonianze, o anche semplici indizi di distruzioni sistematiche di culture, allevamenti, abitazioni, infrastrutture, né di violenze riconducibili a pulizie etniche di cui Baku è stata in queste settimane accusata o sospettata da alcune parti». Quello che Terzi non dice - e la cosa stupisce vista la sua lunga esperienza - è che il report dell’Onu è stato fatto in un giorno e mezzo, quando gli azeri avevano finito il loro sporco lavoro e gli armeni erano tutti fuggiti dal Nagorno Karabakh. Oggi il Parlamento armeno ratificherà l’adesione alla Corte penale internazionale, e secondo Eghiche Kirakosian, funzionario armeno responsabile per gli affari di giustizia internazionale, «creerà ulteriori garanzie per l’Armenia». In effetti è così perché come scrive l’Ansa la ratifica di questo status garantirebbe che una potenziale invasione dell’Armenia ricadrà sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale. I russi giudicano questo atto «estremamente ostile» visto che la Corte penale internazionale è quella che ha dichiarato Vladimir Putin «criminale di guerra». Infine mentre scriviamo si apprende che Arkady Gukasyan e Bako Sahakyan, ex presidenti del Nagorno-Karabakh, il rappresentante del partito «Dashnakasutyun» e l’ex presidente del parlamento David Ishkhanyan, sono stati arrestati dagli azeri e portati a Baku.
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Voci di un patto con lo Speaker della Camera, il conservatore Kevin McCarthy, che va sotto accusa nel suo partito. La Casa Bianca punta a tagliare i fondi a Kiev senza perdere la faccia. La Ue invece annuncia nuovi esborsi. Il report dal Nagorno non vede prove di pulizia etnica, ma è stato scritto dopo la fuga degli abitanti. Oggi l’Armenia ratifica l’adesione alla Corte penale internazionale.Lo speciale contiene due articoli.Non è una fase tranquilla, questa, per la politica americana. Lo Speaker della Camera, Kevin McCarthy, ha dovuto affrontare ieri una mozione di destituzione, presentata dal suo rivale interno, Matt Gaetz, che, tra le altre cose, lo aveva accusato di aver raggiunto un accordo «segreto» con Joe Biden sul sostegno all’Ucraina. Era dal 1910 che non veniva presentata una mozione del genere e ieri Donald Trump ha criticato il fatto che «i repubblicani sono sempre in lotta tra loro». Nel momento in cui La Verità andava in stampa, l’esito del voto non era ancora noto. Tuttavia, al di là della crisi parlamentare, non è da escludere che, negli scorsi giorni, si sia svolta una trattativa sotterranea tra McCarthy e Biden. D’altronde, era stato lo stesso presidente americano, domenica, a citare un non meglio precisato «accordo» sull’Ucraina tra la Casa Bianca e lo Speaker. Negli ultimi giorni, si sono inoltre verificati due eventi che è forse possibile interpretare in modo collegato. In primis, sabato è stata raggiunta un’intesa parlamentare per evitare in extremis lo shutdown, vale a dire il blocco delle attività federali non essenziali: un’intesa che, prontamente siglata da Biden, ha di fatto portato al congelamento degli aiuti a Kiev. In secondo luogo, l’altro ieri Politico ha rivelato l’esistenza di un documento «sensibile ma non classificato» del governo statunitense, che fotograferebbe una situazione assai problematica in Ucraina sul fronte della lotta alla corruzione. «I funzionari dell’amministrazione Biden sono molto più preoccupati per la corruzione in Ucraina di quanto ammettano pubblicamente», ha riportato la testata. «L’amministrazione vuole fare pressione sull’Ucraina affinché tagli la corruzione, anche perché sono in gioco i dollari americani», ha aggiunto Politico. Perché gli apparati hanno fatto trapelare tale documento proprio ora? È uno sgambetto a Biden? O è Biden che vuole inviare un segnale? Non è dato saperlo. È tuttavia possibile formulare delle ipotesi. Innanzitutto, l’accordo per evitare lo shutdown è stato approvato da una larga maggioranza bipartisan al Congresso e lo stesso presidente, come abbiamo detto, si è affrettato ad apporre la propria firma. Qualcuno potrebbe pensare che la cosa non sia troppo controversa, visto che, alla fin fine, mancavano poche ore all’avvio dello shutdown, che sarebbe iniziato il primo ottobre. Eppure qualcosa non torna. Lo shutdown è sicuramente uno scenario che si cerca di evitare. Tuttavia va anche ricordato che la maggior parte dei suoi effetti economici negativi non scatta subito e che, nella storia americana, ci sono stati casi di shutdown durati pochi giorni o addirittura poche ore. Questo vuol dire che a far danni sono gli shutdown prolungati e non quelli che, magari, durano al massimo una manciata di giorni. Ecco: se Biden avesse considerato gli aiuti all’Ucraina una priorità inderogabile, avrebbe potuto accettare il rischio di uno shutdown breve, per rafforzare la propria posizione negoziale e cercare di mettere i parlamentari riottosi con le spalle al muro (una tattica usata già da Reagan negli anni Ottanta). Tanto più che Biden avrebbe avuto anche la possibilità di scaricare sul Gop le responsabilità di un eventuale shutdown. Eppure non lo ha fatto. Perché? A tale interrogativo si aggiungono il leak pubblicato da Politico e le oscure parole del presidente su un «accordo» con McCarthy in materia ucraina. A inizio agosto, un sondaggio della Cnn ha rilevato che il 55% degli americani è contrario al fatto che il Congresso autorizzi ulteriore assistenza all’Ucraina: un dato che Biden non può trascurare nell’ambito della sua ricandidatura alla Casa Bianca. Ed è qui che potrebbe essersi registrata una convergenza tra il presidente e McCarthy. Biden infatti non può ignorare gli umori dell’elettorato ma, dopo la crisi di credibilità dovuta al disastro afgano, non può certo tirare sic et simpliciter i remi in barca sul dossier ucraino. Non a caso, il presidente ha avuto ieri una telefonata con gli alleati (a cui ha preso parte anche Giorgia Meloni) per rassicurarli del sostegno americano all’Ucraina, mentre il Pentagono ha scritto al Congresso, sottolineando che i fondi per le armi a Kiev si stanno esaurendo. Il punto di caduta potrebbe allora essere rappresentato dalla posizione espressa dal think tank conservatore Heritage Foundation, che McCarthy ha fatto in gran parte propria. Primo: mantenere gli aiuti militari e ridurre quelli civili, a cui i conservatori guardano con ostilità. Tra l’altro, nello scoop di Politico è stato riportato che, secondo un funzionario americano, l’amministrazione Biden sta tenendo colloqui con la leadership di Kiev per subordinare ulteriori aiuti non militari all’adozione di riforme anticorruzione. Secondo: inserire l’invio di armamenti a Kiev all’interno di un piano strategico definito. Tradotto: prima è necessario stabilire precisi obiettivi militari, politici ed eventualmente diplomatici; successivamente vanno implementati i mezzi atti a conseguirli. Si punta così a stilare una strategia più oculata e misurabile. Le posizioni di Biden e McCarthy sull’Ucraina potrebbero essere quindi meno distanti di quanto appaia. E, anche venisse silurato, lo Speaker potrebbe contare su numerosi seguaci tra i repubblicani della Camera. Mentre negli Usa questo dibattito va avanti, non è chiaro se prima o poi anche a Bruxelles verranno fatte riflessioni per elaborare un piano definito e misurabile, soprattutto dopo che l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, ha proposto, per il prossimo anno, una nuova dotazione bilaterale pluriennale del Fondo europeo per la pace fino a 5 miliardi di euro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-tratta-per-ridurre-aiuti-2665795517.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lonu-assolve-gli-invasori-azeri" data-post-id="2665795517" data-published-at="1696438841" data-use-pagination="False"> L’Onu «assolve» gli invasori azeri «È chiaro a tutti che la Russia ha tradito la popolazione armena». Questa la dichiarazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel a Euronews. Per Michel «la Russia voleva avere soldati dislocati sul terreno per garantire l’accordo di pace e sicurezza. Ma l’operazione militare è stata lanciata senza alcuna reazione da parte delle forze di pace russe presenti sul territorio. L’Ue, invece, non ha alcuna presenza militare sul territorio». Anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha condannato la Russia per aver ignorato i segnali di escalation che arrivavano da Baku e per non aver protetto gli armeni residenti nell’isolata regione montuosa. Il Cremlino ha accusato Pashinyan di «essere succube degli occidentali». Se è vero che la Russia si è girata dall’altra parte e ha consentito l’operazione militare lampo nel Nagorno Karabakh, che oggi è una landa desolata dopo che 100.000 armeni (su 120.000 abitanti), sono scappati per sfuggire alla pulizia etnica, l’Ue non può cavarsela solo con «è tutta colpa dei russi». Vero che lo stesso Charles Michel si è più volte speso per mediare tra azeri e armeni, ma i membri dell’Eurocamera hanno più volte definito «un fallimento totale» i suoi tentativi di mediazione. Così come non si può dimenticare il silenzio dei leader politici europei che invece di occuparsi delle sofferenze dei cristiani armeni hanno preferito l’Azerbaigian musulmano ricco fornitore di gas. Michel ha anche detto di essere «estremamente deluso dalla decisione presa dall’Azerbaigian e l’ho espresso con molta fermezza al presidente Aliyev». A proposito di questioni religiose: da giorni circolano sui social network video di soldati azeri che tolgono le croci cristiane da chiese e cimiteri armeni e anche dei video nei quali soldati armeni vengono sgozzati da soldati azeri al grido di «Allah è Grande». Non sappiamo se i video degli sgozzamenti siano recenti oppure se sono stati girati nel recente passato, ma quello che è certo è che sono autentici e che quelli che mostrano i soldati azeri armati di coltello che girano tra le case disabitate del Nagorno Karabakh sono di questi giorni. Togliere le croci dai luoghi di culto è qualcosa che fanno gli uomini dell’Isis, così come gli sgozzamenti sono una specialità degli uomini dello Stato islamico. Chissà se li ha visti il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata (Fratelli d’Italia) che ieri su X ha scritto riferendosi al report dell’Onu: «Importante notare come in questo rapporto reso dalla missione di osservatori ed esperti dell’Onu, come non siano emerse prove, testimonianze, o anche semplici indizi di distruzioni sistematiche di culture, allevamenti, abitazioni, infrastrutture, né di violenze riconducibili a pulizie etniche di cui Baku è stata in queste settimane accusata o sospettata da alcune parti». Quello che Terzi non dice - e la cosa stupisce vista la sua lunga esperienza - è che il report dell’Onu è stato fatto in un giorno e mezzo, quando gli azeri avevano finito il loro sporco lavoro e gli armeni erano tutti fuggiti dal Nagorno Karabakh. Oggi il Parlamento armeno ratificherà l’adesione alla Corte penale internazionale, e secondo Eghiche Kirakosian, funzionario armeno responsabile per gli affari di giustizia internazionale, «creerà ulteriori garanzie per l’Armenia». In effetti è così perché come scrive l’Ansa la ratifica di questo status garantirebbe che una potenziale invasione dell’Armenia ricadrà sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale. I russi giudicano questo atto «estremamente ostile» visto che la Corte penale internazionale è quella che ha dichiarato Vladimir Putin «criminale di guerra». Infine mentre scriviamo si apprende che Arkady Gukasyan e Bako Sahakyan, ex presidenti del Nagorno-Karabakh, il rappresentante del partito «Dashnakasutyun» e l’ex presidente del parlamento David Ishkhanyan, sono stati arrestati dagli azeri e portati a Baku.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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