2023-10-04
Ora Biden tratta con i repubblicani per ridurre gli aiuti all’Ucraina
Voci di un patto con lo Speaker della Camera, il conservatore Kevin McCarthy, che va sotto accusa nel suo partito. La Casa Bianca punta a tagliare i fondi a Kiev senza perdere la faccia. La Ue invece annuncia nuovi esborsi. Il report dal Nagorno non vede prove di pulizia etnica, ma è stato scritto dopo la fuga degli abitanti. Oggi l’Armenia ratifica l’adesione alla Corte penale internazionale.Lo speciale contiene due articoli.Non è una fase tranquilla, questa, per la politica americana. Lo Speaker della Camera, Kevin McCarthy, ha dovuto affrontare ieri una mozione di destituzione, presentata dal suo rivale interno, Matt Gaetz, che, tra le altre cose, lo aveva accusato di aver raggiunto un accordo «segreto» con Joe Biden sul sostegno all’Ucraina. Era dal 1910 che non veniva presentata una mozione del genere e ieri Donald Trump ha criticato il fatto che «i repubblicani sono sempre in lotta tra loro». Nel momento in cui La Verità andava in stampa, l’esito del voto non era ancora noto. Tuttavia, al di là della crisi parlamentare, non è da escludere che, negli scorsi giorni, si sia svolta una trattativa sotterranea tra McCarthy e Biden. D’altronde, era stato lo stesso presidente americano, domenica, a citare un non meglio precisato «accordo» sull’Ucraina tra la Casa Bianca e lo Speaker. Negli ultimi giorni, si sono inoltre verificati due eventi che è forse possibile interpretare in modo collegato. In primis, sabato è stata raggiunta un’intesa parlamentare per evitare in extremis lo shutdown, vale a dire il blocco delle attività federali non essenziali: un’intesa che, prontamente siglata da Biden, ha di fatto portato al congelamento degli aiuti a Kiev. In secondo luogo, l’altro ieri Politico ha rivelato l’esistenza di un documento «sensibile ma non classificato» del governo statunitense, che fotograferebbe una situazione assai problematica in Ucraina sul fronte della lotta alla corruzione. «I funzionari dell’amministrazione Biden sono molto più preoccupati per la corruzione in Ucraina di quanto ammettano pubblicamente», ha riportato la testata. «L’amministrazione vuole fare pressione sull’Ucraina affinché tagli la corruzione, anche perché sono in gioco i dollari americani», ha aggiunto Politico. Perché gli apparati hanno fatto trapelare tale documento proprio ora? È uno sgambetto a Biden? O è Biden che vuole inviare un segnale? Non è dato saperlo. È tuttavia possibile formulare delle ipotesi. Innanzitutto, l’accordo per evitare lo shutdown è stato approvato da una larga maggioranza bipartisan al Congresso e lo stesso presidente, come abbiamo detto, si è affrettato ad apporre la propria firma. Qualcuno potrebbe pensare che la cosa non sia troppo controversa, visto che, alla fin fine, mancavano poche ore all’avvio dello shutdown, che sarebbe iniziato il primo ottobre. Eppure qualcosa non torna. Lo shutdown è sicuramente uno scenario che si cerca di evitare. Tuttavia va anche ricordato che la maggior parte dei suoi effetti economici negativi non scatta subito e che, nella storia americana, ci sono stati casi di shutdown durati pochi giorni o addirittura poche ore. Questo vuol dire che a far danni sono gli shutdown prolungati e non quelli che, magari, durano al massimo una manciata di giorni. Ecco: se Biden avesse considerato gli aiuti all’Ucraina una priorità inderogabile, avrebbe potuto accettare il rischio di uno shutdown breve, per rafforzare la propria posizione negoziale e cercare di mettere i parlamentari riottosi con le spalle al muro (una tattica usata già da Reagan negli anni Ottanta). Tanto più che Biden avrebbe avuto anche la possibilità di scaricare sul Gop le responsabilità di un eventuale shutdown. Eppure non lo ha fatto. Perché? A tale interrogativo si aggiungono il leak pubblicato da Politico e le oscure parole del presidente su un «accordo» con McCarthy in materia ucraina. A inizio agosto, un sondaggio della Cnn ha rilevato che il 55% degli americani è contrario al fatto che il Congresso autorizzi ulteriore assistenza all’Ucraina: un dato che Biden non può trascurare nell’ambito della sua ricandidatura alla Casa Bianca. Ed è qui che potrebbe essersi registrata una convergenza tra il presidente e McCarthy. Biden infatti non può ignorare gli umori dell’elettorato ma, dopo la crisi di credibilità dovuta al disastro afgano, non può certo tirare sic et simpliciter i remi in barca sul dossier ucraino. Non a caso, il presidente ha avuto ieri una telefonata con gli alleati (a cui ha preso parte anche Giorgia Meloni) per rassicurarli del sostegno americano all’Ucraina, mentre il Pentagono ha scritto al Congresso, sottolineando che i fondi per le armi a Kiev si stanno esaurendo. Il punto di caduta potrebbe allora essere rappresentato dalla posizione espressa dal think tank conservatore Heritage Foundation, che McCarthy ha fatto in gran parte propria. Primo: mantenere gli aiuti militari e ridurre quelli civili, a cui i conservatori guardano con ostilità. Tra l’altro, nello scoop di Politico è stato riportato che, secondo un funzionario americano, l’amministrazione Biden sta tenendo colloqui con la leadership di Kiev per subordinare ulteriori aiuti non militari all’adozione di riforme anticorruzione. Secondo: inserire l’invio di armamenti a Kiev all’interno di un piano strategico definito. Tradotto: prima è necessario stabilire precisi obiettivi militari, politici ed eventualmente diplomatici; successivamente vanno implementati i mezzi atti a conseguirli. Si punta così a stilare una strategia più oculata e misurabile. Le posizioni di Biden e McCarthy sull’Ucraina potrebbero essere quindi meno distanti di quanto appaia. E, anche venisse silurato, lo Speaker potrebbe contare su numerosi seguaci tra i repubblicani della Camera. Mentre negli Usa questo dibattito va avanti, non è chiaro se prima o poi anche a Bruxelles verranno fatte riflessioni per elaborare un piano definito e misurabile, soprattutto dopo che l’Alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell, ha proposto, per il prossimo anno, una nuova dotazione bilaterale pluriennale del Fondo europeo per la pace fino a 5 miliardi di euro. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/biden-tratta-per-ridurre-aiuti-2665795517.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="lonu-assolve-gli-invasori-azeri" data-post-id="2665795517" data-published-at="1696438841" data-use-pagination="False"> L’Onu «assolve» gli invasori azeri «È chiaro a tutti che la Russia ha tradito la popolazione armena». Questa la dichiarazione del presidente del Consiglio europeo Charles Michel a Euronews. Per Michel «la Russia voleva avere soldati dislocati sul terreno per garantire l’accordo di pace e sicurezza. Ma l’operazione militare è stata lanciata senza alcuna reazione da parte delle forze di pace russe presenti sul territorio. L’Ue, invece, non ha alcuna presenza militare sul territorio». Anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha condannato la Russia per aver ignorato i segnali di escalation che arrivavano da Baku e per non aver protetto gli armeni residenti nell’isolata regione montuosa. Il Cremlino ha accusato Pashinyan di «essere succube degli occidentali». Se è vero che la Russia si è girata dall’altra parte e ha consentito l’operazione militare lampo nel Nagorno Karabakh, che oggi è una landa desolata dopo che 100.000 armeni (su 120.000 abitanti), sono scappati per sfuggire alla pulizia etnica, l’Ue non può cavarsela solo con «è tutta colpa dei russi». Vero che lo stesso Charles Michel si è più volte speso per mediare tra azeri e armeni, ma i membri dell’Eurocamera hanno più volte definito «un fallimento totale» i suoi tentativi di mediazione. Così come non si può dimenticare il silenzio dei leader politici europei che invece di occuparsi delle sofferenze dei cristiani armeni hanno preferito l’Azerbaigian musulmano ricco fornitore di gas. Michel ha anche detto di essere «estremamente deluso dalla decisione presa dall’Azerbaigian e l’ho espresso con molta fermezza al presidente Aliyev». A proposito di questioni religiose: da giorni circolano sui social network video di soldati azeri che tolgono le croci cristiane da chiese e cimiteri armeni e anche dei video nei quali soldati armeni vengono sgozzati da soldati azeri al grido di «Allah è Grande». Non sappiamo se i video degli sgozzamenti siano recenti oppure se sono stati girati nel recente passato, ma quello che è certo è che sono autentici e che quelli che mostrano i soldati azeri armati di coltello che girano tra le case disabitate del Nagorno Karabakh sono di questi giorni. Togliere le croci dai luoghi di culto è qualcosa che fanno gli uomini dell’Isis, così come gli sgozzamenti sono una specialità degli uomini dello Stato islamico. Chissà se li ha visti il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata (Fratelli d’Italia) che ieri su X ha scritto riferendosi al report dell’Onu: «Importante notare come in questo rapporto reso dalla missione di osservatori ed esperti dell’Onu, come non siano emerse prove, testimonianze, o anche semplici indizi di distruzioni sistematiche di culture, allevamenti, abitazioni, infrastrutture, né di violenze riconducibili a pulizie etniche di cui Baku è stata in queste settimane accusata o sospettata da alcune parti». Quello che Terzi non dice - e la cosa stupisce vista la sua lunga esperienza - è che il report dell’Onu è stato fatto in un giorno e mezzo, quando gli azeri avevano finito il loro sporco lavoro e gli armeni erano tutti fuggiti dal Nagorno Karabakh. Oggi il Parlamento armeno ratificherà l’adesione alla Corte penale internazionale, e secondo Eghiche Kirakosian, funzionario armeno responsabile per gli affari di giustizia internazionale, «creerà ulteriori garanzie per l’Armenia». In effetti è così perché come scrive l’Ansa la ratifica di questo status garantirebbe che una potenziale invasione dell’Armenia ricadrà sotto la giurisdizione della Corte penale internazionale. I russi giudicano questo atto «estremamente ostile» visto che la Corte penale internazionale è quella che ha dichiarato Vladimir Putin «criminale di guerra». Infine mentre scriviamo si apprende che Arkady Gukasyan e Bako Sahakyan, ex presidenti del Nagorno-Karabakh, il rappresentante del partito «Dashnakasutyun» e l’ex presidente del parlamento David Ishkhanyan, sono stati arrestati dagli azeri e portati a Baku.
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